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La controversa figura della institutio ex re certa

Ai sensi dell’art. 587 c.c., “il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o parte di esse”.

Il successivo art. 588 comma 1 c.c. pone, poi, una summa divisio in relazione alla natura di tali disposizioni testamentarie, le quali possono essere a titolo universale, ovvero a titolo particolare.

Le prime, che comportano una istituzione di erede, comprendono una universalità o una quota dei beni del patrimonio; le altre disposizioni, che attribuiscono la qualità di legatario, sono a titolo particolare.

Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare: differenze.

Al netto delle stringate definizioni codicistiche appena richiamate, istituzione ereditaria e legato mostrano delle differenze sostanziali sotto il profilo della struttura e della disciplina, che possono essere ricondotte a sei aspetti fondamentali.

In primo luogo, diametralmente opposto è il meccanismo che porta all’acquisto, da un lato, dell’eredità e, dall’altro lato, del legato. Invero, il nostro ordinamento giuridico accoglie il principio generale secondo cui nessuno può assumere la qualità di erede contro la propria volontà, il quale è positivizzato dall’art. 459 c.c., ai sensi del quale “l’eredità si acquista con l’accettazione”, che può avvenire in forma espressa o tacita, ed ancora, pura e semplice o con beneficio d’inventario. Si precisa, tra l’altro, che non costituiscono deroga a tale principio le ipotesi di cosiddetto “acquisto senza accettazione” (artt. 485 e 527 c.c.), dove l’acquisto della qualità di erede puro e semplice discende comunque da una condotta (omissiva) del delato. Il legato, all’opposto, ai sensi dell’art. 649 c.c., si acquista senza bisogno di accettazione, fatta salva la facoltà di rinunciarvi.

Tale differenza si spiega avendo riguardo alle diverse conseguenze che l’acquisto dell’eredità e del legato possono produrre nella sfera patrimoniale dell’erede o legatario. Il primo, infatti, subentra nell’universum ius (ovvero in una quota) del de cuius, divenendo titolare di tutte le situazioni giuridiche, attive, ma anche passive, che facevano capo al defunto, con la conseguenza che l’erede è sempre responsabile dei debiti ereditari, ultras vires (dunque, anche se i debiti superano il valore del relictum), in caso di accettazione pura e semplice, ovvero inter vires (dunque, nei limiti del valore di quanto acquistato), se ha accettato con beneficio d’inventario. Il legatario, al contrario, non risponde mai dei debiti ereditari, essendo, semmai, creditore dell’eredità (in caso di legato obbligatorio): ai sensi del combinato disposto degli artt. 668 e 671 c.c., il legatario è solo responsabile dei pesi (servitù, canoni, etc.) ed oneri apposti al legato e, in ogni caso, nei limiti del valore della cosa legata. Di conseguenza, gli effetti economici dell’acquisto del legato potranno essere sempre e solo positivi per il legatario (al peggio, neutri, nel caso di onere che assorba l’intero valore del legato), mentre non altrettanto può dirsi dell’erede, che potrebbe trovarsi a rispondere davanti ai creditori del de cuius di una hereditas damnosa.

Diretta conseguenza del diverso regime di responsabilità per i debiti ereditari si apprezza anche in relazione al regime autorizzatori degli atti dispositivi dei beni che fanno parte della successione. Se, da un lato, certamente sarà libero di disporre dei beni acquistati l’erede puro e semplice, in quanto, in conseguenza dell’accettazione, i creditori ereditari potranno soddisfarsi, oltre che sul patrimonio del de cuius, anche sul patrimonio personale dell’erede, altrettanto libero sarà il legatario, il quale, come detto, non sarà mai chiamato a rispondere di detti debiti ereditari; dall’altro lato, finché la fase ereditaria non si sia chiusa (cioè, finché non saranno stati soddisfatti tutti i creditori ereditari), l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario che intenda disporre dei beni ereditari dovrà richiedere apposita autorizzazione del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione ex art. 747 c.p.c., che valuterà la compatibilità dell’atto dispositivo voluto con la necessità di preservare il patrimonio ereditario per soddisfare i creditori del defunto.

Solo la disposizione a titolo universale può portare alla costituzione di una comunione ereditaria tra i più eredi, della quale, di contro, non faranno mai parte i legatari: di conseguenza, solo gli eredi e non i legatari parteciperanno alla successiva divisione ereditaria.

Altra differenza tra eredità e legato attiene al subentro nella situazione di possesso del de cuius: in proposito, la norma di riferimento è l’art. 1146 c.c. che dispone che “il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della successione” (cosiddetta successione nel possesso); “il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti” (cosiddetta accessione nel possesso).

Da ultimo, ai sensi dell’art. 637 c.c., si considera non apposto qualsiasi termine, sia esso iniziale o finale, dal quale dipende l’effetto della disposizione a titolo universale: ciò perché l’apposizione di un termine iniziale interromperebbe la necessaria continuità di titolarità tra il de cuius e l’erede, con la conseguenza che l’eredità rimarrebbe, dal momento dell’apertura della successione, al momento dell’avveramento del termine iniziale, priva di un titolare; viceversa, sostenere l’ammissibilità del termine finale significherebbe negare il principio cardine del diritto successorio secondo cui semel heres, sempre heres.

Diversamente, il termine, iniziale o finale che sia, è certamente apponibile al legato.

La institutio ex re certa.

L’art. 588, primo comma sopra citato fonda la distinzione tra eredità e legato su un criterio di carattere oggettivo: a seconda che vi sia o no l’attribuzione dell’universalità o di una sua quota. Questo sistema, tuttavia, subisce un’attenuazione al secondo comma che dispone: «l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio».

La norma risolve l’antica questione derivante dal fatto che alcuni Autori ritenevano che per l’istituzione ereditaria fosse necessario indicare la quota aritmetica; altri, invece, reputavano, già prima dell’entrata in vigore del Codice civile del 1942, sufficiente la considerazione dei beni come quota del patrimonio, potendo poi la determinazione aritmetica essere fatta ex post all’apertura della successione. A questa seconda opinione ha aderito il legislatore del 1942: la designazione di un soggetto quale erede non segue necessariamente all’individuazione di una quota astratta del patrimonio, essendo compatibile con l’attribuzione a titolo universale anche l’individuazione di uno o più beni determinati assegnati dal de cuis non nella loro individualità, ma considerandoli quale quota del tutto.

Dunque, si ha institutio ex re certa in presenza di due elementi indefettibili, uno oggettivo, l’altro soggettivo:

– l’elemento obiettivo, costituito dall’attribuzione di uno o più beni determinati o da un complesso di beni determinato con esclusione di qualsiasi designazione aritmetica che riporterebbe la fattispecie al 1 comma;

– l’elemento soggettivo, cioè l’intenzione di assegnare i beni determinati come quota del patrimonio.

L’istituto in questione ha sollevato diverse questioni in dottrina ed in giurisprudenza, che possono essere raggruppate in tre macro-interrogativi:

i) se l’institutio ex re certa sia o meno una modalità istitutiva autonoma;

ii) se, nel silenzio del testamento, operi o meno la vis expansiva;

iii) quale sia la disciplina applicabile.

In relazione alla prima questione, due sono le tesi che sono state autorevolmente argomentate e sostenute in dottrina e giurisprudenza. Secondo la prima, l’institutio ex art 588 comma 2 c.c. sarebbe una modalità istitutiva autonoma rispetto a quella del comma primo della stessa norma e si distinguerebbe anche dall’ipotesi di divisione fatta dal testatore senza predeterminazione di quote ex art 734 c.c.: seguendo questa impostazione, mentre l’institutio ex re certa sarebbe costituita da un unico momento (assegnazione di un bene a titolo di eredità) , viceversa, la divisione del testatore si comporrebbe di due momenti distinti (l’istituzione, il primo, e l’assegnazione del bene in composizione di quota, il secondo). I sostenitori dell’opposta teoria, invece, affermano che non vi sia differenza sostanziale tra instutio ex art 588 comma 2 c.c. e divisione fatta dal testatore senza predeterminazione di quote ex art 734 c.c., ma che entrambe le norme si riferiscano di fatto al medesimo fenomeno, con la sola differenza che, come è stato icasticamente affermato “l’art. 588 comma 2 c.c. qualifica, l’art. 734 c.c. regola”.

Il secondo problema, estremamente sentito nella prassi, è quello della sorte dei beni non assegnati: ci si chiede infatti se tali beni debbano essere devoluti agli eredi istituiti ex certis rebus nelle medesime proporzioni (cosiddetta vis expansiva), ovvero no.

Secondo una prima impostazione, la vis expansiva non opererebbe mai, ma non in presenza di una apposita volontà testamentaria in tal senso: nel silenzio del testamento, secondo questi Autori, troverebbe invece applicazione il secondo comma dell’art. 734 c.c., con conseguente apertura della successione legittima. Tra coloro che negano l’operatività della vis expansiva vi è poi contrasto, tra l’altro, sulla questione se la successione legittima sui beni non assegnati si apra in favore di tutti i successibili ex lege, inclusi gli eredi istituiti ex certis rebus, se vi rientrano, oppure se questi ultimi sarebbero a prescindere esclusi dalla successione legittima, in quanto la institutio ex re certa costituirebbe un limite all’assegnazione.

A conclusione diametralmente opposta approdano, invece, quegli Autori che sottolineano che la vis expansiva è un connotato indefettibile della quota ereditaria, a nulla rilevando che tale quota sia predeterminata dal testatore, ovvero, come nel caso in esame, determinabile solo ex post, all’apertura della successione, sulla base del valore dei beni assegnati.

Una posizione, in un certo senso, mediana è stata di recente accolta dalla Cassazione, che, con sent. n. 17868 del 3 luglio 2019, ha posto una netta distinzione tra beni volutamente assegnati, da un lato, e beni ignorati, o sopravvenuti, dall’altro lato, affermando che “l’”institutio ex re certa”, quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell’art. 457, comma 2, c.c. ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell’art. 588 c.c., non ricostituiscono l’unità. Invero il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell’istituito “ex re certa”, va inteso nel senso che l’acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti”.

Da ultimo, la dottrina si è interrogata in merito alla disciplina della institutio ex re certa, con particolare riguardo a quale sia la conseguenza giuridica della alienazione da parte del testatore della res certa assegnata, nonché alla applicabilità o meno dell’art. 763 c.c.

In relazione alla prima questione, è stato convincentemente affermato che, se la institutio ex re certa consta di un unico momento attributivo-istitutivo, venendo meno l’attribuzione, non può che venir meno anche l’istituzione. Certamente inapplicabile è invece la rescissione per lesione della divisione fatta dal testatore, perché tale rimedio è esperibile in caso di sproporzione ultra quartum tra il valore della quota in cui l’erede è stato istituito ed il valore del bene assegnato in composizione della quota medesima, ma, in caso di institutio ex re certa, la quota, come detto, non è predeterminata, ma si può individuare solo all’apertura della successione, proprio sulla base del valore della res assegnata, pertanto non è possibile che tra le due vi sia una sproporzione.

Infine, si rileva che, nella prassi, in problema principale che la institutio ex re certa porta con sé è quello interpretativo della volontà del testatore, che deve essere ricostruita, al fine di comprendere se egli abbia voluto realizzare una disposizione testamentaria a titolo universale, ovvero particolare. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, negli anni, elaborato alcuni criteri ermeneutici, tra i quali possono essere ricordati i seguenti per individuare una possibile volontà istitutiva:

1. Criterio dell’assegnazione per classi di beni;

2. Criterio del rapporto proporzionale tra il valore dei beni assegnati e quello dell’intera eredità, nel senso che l’assegnazione della quasi totalità dei beni ad un solo soggetto è indicativa della volontà di istituirlo erede;

3. Criterio della parentela o coniugio, cioè l’assegnazione delle res certae in favore degli stretti congiunti;

4. Criterio della presunzione dell’attribuzione universale, nel senso che in presenza di un testamento che non contiene, almeno ex professo, alcuna istituzione ereditaria, dato che il legislatore sente l’esigenza che ci sia sempre un erede, occorre sforzarsi di verificare se tra le varie disposizioni sia possibile individuarne almeno una da cui possa discendere una delazione ereditaria.

Proprio al fine di evitare alla radice tali difficoltà interpretative, ad ogni modo, la institutio ex re certa non dovrebbe mai figurare in un testamento per Notaio, il cui compito è proprio quello di indagare ex ante e qualificare la volontà del testatore, così da assolvere alla funzione anti-processualistica, che è chiamato dall’ordinamento a svolgere.