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La tariffa undici anni dopo

Il 2023 sarà l’anno della rivoluzione copernicana della volontaria giurisdizione.

Al notaio, finalmente e dopo un’intensa opera di convincimento del legislatore, è stata attribuita la competenza a rilasciare autorizzazioni per il compimento di atti da lui rogati.

E ciò a partire dal 28 febbraio in virtù dell’anticipo previsto dalla Legge di Bilancio.

Questa la norma tanto agognata: “Le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.”

Il notariato già si è mosso per non farsi trovare impreparato. Due convegni di prima lettura sono stati organizzati a Milano e a Catania e Federnotizie ha pubblicato un e-book curato da Giovanni Santarcangelo, indispensabile per un primo orientamento.

Ma la novità ci spinge a qualche riflessione di carattere generale.

Se ci si ferma a pensare a quanto successo al notariato negli ultimi 20 anni non si può non individuare una precisa linea di tendenza.

A partire dal 2000, quando il controllo omologatorio è passato dai Tribunali ai Notai il legislatore ha trasferito sul notariato una serie di funzioni inquadrabili in un insieme che possiamo chiamare “responsabilità”.

In realtà già qualche anno prima la trascrivibilità del contratto preliminare aveva dato un segnale in questo senso, ma la obbligatorietà della trascrizione per gli immobili in corso di costruzione prevista dal TAIC ha riconosciuto definitivamente al notaio un ruolo di garanzia in questa delicatissima contrattazione.

E così, ancora, il deposito prezzo, l’istituzione del conto dedicato che ha valorizzato e fatto apprezzare il ruolo di escrow agent nelle trattative più delicate, l’affidamento di un ruolo “omologatorio” anche per quanto riguarda gli enti del terzo settore, la competenza a rilasciare il Certificato Successorio Europeo, il coinvolgimento della lotta al riciclaggio ed infine la nuova competenza nell’ambito della volontaria giurisdizione sono indici di quanto l’ordinamento richiede all’istituzione notariato: entrare nel cuore degli affari facendosi carico di un’assunzione di responsabilità.

A ciò si deve aggiungere l’accresciuta necessità di una preparazione proporzionata alla complessità delle relazioni economiche e sociali. La globalizzazione ha portato con se l’impellente necessità di conoscere una lingua straniera, quella di studiare e padroneggiare il diritto internazionale privato e quindi di affiancare lo studio della normativa domestica con quella europea (il Regolamento Europeo 650/2012 in materia di successioni, i Regolamenti Europei 1103 e 1104 del 2016 sui regimi patrimoniali tra coniugi e sugli effetti patrimoniali delle unioni registrate, il 1111/2019 in materia, tra le altre, di responsabilità genitoriale), ma anche quella di “reinventarsi” mediatori culturali nei confronti di soggetti che approdano in Italia provenendo da realtà con una tradizione giuridica molto distante. Basti pensare alle difficoltà di coordinare il diritto successorio islamico con le regole, anche di ordine pubblico, del nostro ordinamento.

A fronte di questa asticella sempre più alta, di queste maggiori responsabilità e difficoltà, il legislatore, nello stesso periodo ha alleggerito il notariato da alcuni compiti di mera certificazione.

L’abolizione dell’obbligo di vidimazione annuale risale ancora più indietro ma la rinuncia all’intervento notarile nel trasferimento degli autoveicoli e la legge “Bersani” sulle cancellazioni di ipoteca sono novità di questo scorcio di secolo.

Intendiamoci, non pare definitivamente tramontata nella considerazione del legislatore l’utilità della funzione certificatoria e prova ne è l’interesse dimostrato per la proposta di intervento notarile nei trasferimenti di opere d’arte di cui si è dibattuto al recente congresso nazionale. Ma è certo che la linea di tendenza porti verso un notaio meno certificatore e più gravato da responsabilità di “governo dell’affare”.

Cerchiamo quindi di spiegare quello che sembrerebbe un passaggio di palo in frasca.

Nello stesso periodo in cui il notariato veniva investito da queste novità, il legislatore, nel gennaio 2012, decideva, con un intervento che poteva sembrare esiziale per il futuro della categoria, di abolire la Tariffa. Ma sono passati ormai più di dieci anni ed il notariato è ancora qui, sopravvissuto ed acclamante nei confronti di una politica che sembra promettere un ritorno al passato e di un Consiglio Nazionale che quella parola non vuol pronunciare ma che fa intendere che sarebbe, tra tutti, il primo obiettivo da conseguire. E ci riferiamo agli esiti del congresso romano, durante il quale (magari nascosta sotto le spoglie dell’equo compenso che in realtà tutt’altro è) la tariffa (o meglio la speranza di un suo ritorno) è tornata a farla da protagonista.

In realtà, in questi dieci anni, il notariato ha imparato che si può vivere anche senza tariffa. Anzi che in certi casi la tariffa più che un aiuto era un intralcio.

È vero, ed è una lamentela di sottofondo che continua ad accompagnarci, che ci sono numerosi casi di “svendita” della professionalità, ma è anche vero che chi pratica politiche ribassiste spesso, se non sempre, svolge un’attività che vale il poco che viene fatta pagare.

Si tratta di svendita che, nella contrattazione immobiliare, è riferita a prestazioni che intervengono nella fase conclusiva della vicenda, quando si tratta di recepire accordi già presi in sede preliminare, di compilare gli esiti di un’istruttoria svolta da altri (agenzie o professionisti tecnici), di conoscere le parti solo il giorno della firma. Sicuramente non sono svenduti gli atti che chiudono una pratica nella quale si è assistito il cliente fin da prima della proposta di acquisto, accompagnandolo nelle scelte sull’intestazione, sulla pianificazione fiscale e finanziaria, pratiche che stanno interi mesi sulle nostre scrivanie.

Si tratta di svendita che, nel diritto societario, viene effettuata da chi si limita a recepire acriticamente statuti (quando non anche verbali) scritti da altri e che non è certo praticabile da chi segue l’imprenditore con un’attività di consulenza che si traduce nello scrivere le regole statutarie in maniera sartoriale sulla base delle esigenze specifiche del caso.

Verrebbe da dire che, in questi dieci anni, il notariato nel suo complesso e ciascun notaio per ogni singola pratica abbia (naturalmente non è un concetto generalizzabile) imparato a farsi pagare il giusto da ciascuno.

Viene anche da considerare che se oggi si dovesse applicare, con le sue rigidità, la tariffa abrogata nel 2012, il notaio sarebbe nell’imbarazzo di dover far pagare a qualcuno molto più del dovuto e a qualcun altro importi non proporzionati alle difficoltà. Infatti, sotto il vigore della tariffa accadeva spesso che l’impegno profuso per l’uno (in una pratica che rapportata alle ore impiegate era in perdita), venisse pagato dall’altro (non nascondiamoci che alcune pratiche, i mutui e le cancellazioni di ipoteca, venissero pagate molto rispetto all’impegno profuso; ed infatti sono quelle in cui tutti ancor oggi si fanno pagare meno rispetto al 2011).

Ricordiamo che, con la vecchia tariffa, un complicato atto di vendita di una cantina condominiale che richiede l’esame di molteplici provenienze veniva pagato meno della rivendita di un bene di valore superiore e con provenienza dello stesso notaio, risalente a pochi mesi prima.

E che la stessa vendita di bene di (auto)provenienza recente costava la medesima cifra di quella di un bene di uguale valore con complicatissima provenienza da molteplici successioni e con implicazioni urbanistiche.

E che un verbale di trasferimento sede in altro comune doveva essere fatto pagare come quello che adottava uno statuto con complicate clausole di waterfall, diritti di trascinamento e covendita etc.

Non entusiasmo quindi, ma attenzione e preoccupazione merita l’intenzione del Consiglio Nazionale di cavalcare l’apertura politica per una nuova tariffa.

Attenzione perché la sempre crescente complessità delle pratiche affidate al notaio richiede che sia lasciato al singolo professionista un amplissimo margine di discrezionalità che consenta di non considerare il valore della pratica come unico criterio di determinazione del prezzo, ma che accanto a questo debbano essere considerate la responsabilità, la difficoltà ed il tempo impiegato.

Preoccupazione perché la demagogia che permea la politica potrebbe portare a livelli tariffari insufficienti rispetto al tempo ed alle reponsabilità.

Addirittura, contrarietà, netta contrarietà, se si pensa ad una tariffa che ricalchi nella struttura quella che ci è stata tolta nel 2012 e di cui, francamente, non sentiamo la mancanza.

Insomma, tariffa si (forse), ma non qualsiasi tariffa.

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