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Per la Corte Costituzione con il divorzio cessa anche l’affinità

La Corte Costituzionale con Sentenza del 20 marzo – 18 giugno 2024, n. 107 (in G.U. 1ª s.s. 19/06/2024, n. 25) si è pronunciata in merito all’illegittimità dell’art. 64 comma 4 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico sull’ordinamento degli Enti Locali) nella parte in cui tale norma prevede che non possano fare parte della Giunta, né essere nominati rappresentanti del Comune e della Provincia, gli affini entro il terzo grado del Sindaco o del Presidente della Giunta Provinciale anche quando l’affinità deriva da un matrimonio rispetto al quale il giudice abbia pronunciato, con sentenza passata in giudicato, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili per una delle cause previste dall’art. 3 L. n. 898/1970 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).

La Corte di Cassazione sezione I Civile ha sollevato questione di legittimità costituzionale (in relazione agli artt. 2, 3 e 51 Cost.) dell’art. 78 terzo comma c.c., implicitamente richiamato dall’art. 64, quarto comma, D. Lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.).

L’art. 78 c.c. al terzo comma sancisce che l’affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all’art. 87 n. 4.

La norma non è stata modificata a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento del divorzio ed è tuttora discusso se il rapporto di affinità sopravviva o meno alla cessazione degli effetti civili del matrimonio[1].

Per l’attività notarile la questione non è di poco conto.

Basti qui pensare al divieto per il notaio di ricevere atti o autenticare la sottoscrizione di atti in cui intervengano i suoi affini in linea retta, in qualunque grado, o collaterale, fino al terzo grado (art. 28, comma 1, n. 2 L. n, 89/1913); oppure, alla qualifica di “familiare” del collaboratore che possa partecipare all’impresa familiare (riconosciuta dall’art. 230, bis, comma 3, cod. civ., anche agli affini entro il secondo grado); oppure, ancora, alla rilevanza dell’affinità, sotto il profilo fiscale, quando si tratta di determinare l’aliquota dell’imposta di successione o di donazione (che ex art. 2, commi 48, lettera b) e 49, lettera b)  del D.L. n. 262/2006, convertito dalla L. n, 286/2006 è del 6% per le devoluzioni o donazioni a favore degli affini in linea retta, di qualunque grado, nonché di quelli in linea collaterale fino al terzo grado).

L’evoluzione legislativa e sociale sembra indurre all’equiparazione tra divorzio e nullità del matrimonio, per quanto riguarda il profilo che qui interessa[2].  

In tal senso anche il ragionamento del giudice a quo, il quale, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, ha evidenziato che il divorzio condivide con la nullità del matrimonio la pronuncia giudiziale funzionale alla demolizione del vincolo matrimoniale e la natura di atto contrario al protrarsi della vita coniugale, pur nella loro distinta incidenza sul “matrimonio rapporto” e sul “matrimonio negozio”.

Nullità e divorzio hanno natura comune di atto contrastante con la fonte del rapporto di affinità e si fondano entrambi su un interesse contrario al protrarsi della vita coniugale.

La Corte di Cassazione ha così evidenziato la violazione del principio di ragionevolezza, nella non corrispondenza alla realtà sociale di una categoria di “affini del divorziato” destinata ad affermarsi in modo indissolubile pur originando da un rapporto, quello matrimoniale, che secondo l’ordinamento ha natura dissolubile, perpetuando senza senso un legame che trova significato proprio quale proiezione sociale della relazione originaria.

La Consulta ha ritenuto che le cause di incompatibilità alla carica sono costituzionalmente legittime in quanto non introducano differenze nel trattamento tra categorie omogenee di soggetti che siano manifestamente irragionevoli e sproporzionate al fine perseguito; è manifestamente irragionevole che l’incompatibilità non sussista per l’ex coniuge del sindaco ma permanga per i suoi affini ove l’affinità derivi da matrimonio per il quale siano cessati gli effetti civili, dichiarando quindi l’ illegittimità costituzionale della norma del T.U.E.L.

Si noti che, tuttavia, con operazione “chirurgica”, la Corte Costituzionale si è limitata a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 64, quarto comma, T.U.E.L., non già dell’art. 78, comma 3, cod. civ. [3].

Sembra però ragionevole ritenere che la conclusione cui pervengono i giudici costituzionali abbia portata più ampia e possa valere, dunque, anche per gli altri casi cui sopra si accennava.

Note

[1] Per una panoramica di dottrina e giurisprudenza in materia, cfr. P. Guida, Divorzio e affinità: riflessi sull’attività notarile e spunti per moderne soluzioni applicative, in Notariato, 6/2021, 600 e ss.

[2] Come osserva P. Guida, Divorzio, cit., 603 che “con la diffusione del divorzio e la nascita di nuovi nuclei familiari, l’affermazione circa l’esistenza di un rapporto di affinità tra ex coniugi urta contro la realtà”.

[3] Al par. 6.2 del Considerazioni in diritto si legge “Nella specie, peraltro, lo scrutinio di costituzionalità va condotto in modo tale da riallineare la parte dispositiva dell’ordinanza di rimessione ai più articolati contenuti della motivazione, in cui il sospetto di illegittimità costituzionale viene riguardato come incidente non già sull’art. 78, terzo comma, cod. civ., ma sull’art. 64, comma 4, t.u. enti locali, quale specifica declinazione di una regola che non vive se non nei singoli, e differenti, contesti di riferimento“.

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