di Beppe Calafiori
Perché ricordare Alberto Gallizia a un mese dalla sua scomparsa? Perché era un collega noto a Milano, erede – e sua volta capostipite – di una famiglia di importanti notai milanesi? No, va ricordato prima l’uomo poi il notaio: lui faceva il notaio, non era notaio.
La vocazione professionale e notarile l’avrà certamente respirata in famiglia, ma aveva soprattutto una forte vocazione umana: vocazione al servizio del prossimo, che gli derivava da un’altra vocazione, questa volta con la V maiuscola.
La sua era infatti una fede vissuta, silenziosa e operosa, come quella della sua Cloti, compagna e moglie di una vita, che ha sposato con lui la causa dei più deboli: ha convinto tante agiate e brave signore milanesi a cucinare per i più bisognosi, per una comunità di recupero prima di carcerati e poi di persone affette dalle dipendenze, tanto da ricevere persino un Ambrogino d’oro.
Ma dietro o, meglio, al suo fianco c’era lui, con i loro dieci figli e tutta la schiera di amici che riuscivano a coinvolgere.
Anche nel notariato è stato così: più propenso a fare, che ad apparire o a collezionare cariche nella categoria (che poi per alcuni non scadono mai) faceva il notaio, sì certamente, alacremente e con successo, ma lavorava anche con i primi nel sindacato milanese, artefice di tante battaglie e conquiste, progettava un primo software notarile, partecipava attivamente e concretamente alle prime meccanizzazioni dei registri immobiliari e a tanti altri progetti, sempre con il pallino dell’informatica, persino in età avanzata.
Insomma, lavorava molto, ma sempre per servire, non per apparire.
Allora grazie Alberto dell’esempio di Uomo e Collega che ci hai dato: con te le maiuscole non sono sprecate.
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