Skip to main content

Definizione e differenze con il curatore dell’eredità giacente

L’esecutore testamentario trova la sua specifica disciplina negli artt. 700 ss codice civile.

Partendo dal presupposto che l’eredità non è un soggetto di diritto, in dottrina, in relazione all’esecutore testamentario vi sono varie ipotesi:
– Parte della dottrina sostiene che non può essere rappresentante dell’eredità perché non c’è un soggetto giuridico;
– Altri sostengono che è un rappresentante degli eredi, ma in realtà non opera nell’interesse degli stessi, bensì a tutela della volontà del de cuius ed agisce in nome proprio.

L’esecutore testamentario, inoltre, si distingue dal curatore dell’eredità giacente ex art. 528 codice civile, in quanto le due figure risultano incompatibili tra loro, anche se parte della dottrina, attualmente minoritaria, sostiene che potrebbero coesistere.

Tuttavia, prevale in dottrina la tesi della incompatibilità tra le due figure e di conseguenza non possono coesistere.

Il curatore dell’eredità giacente svolge una funzione che gli viene attribuita dalla legge ed agisce per conto di chi spetta, ovvero del futuro erede.

L’esecutore testamentario, invece, è titolare di un potere autonomo, che non deriva dalla legge, ma gli viene attribuito dal testatore ed è volto ad eseguire correttamente la volontà testamentaria.

Inoltre, le suddette figure costituiscono entrambe degli uffici di diritto privato non rappresentativo, in quanto posti a tutela di un diverso interesse.

Poteri dell’esecutore testamentario

L’esecutore testamentario ha un incarico generalmente gratuito, non retribuito, ma può essere prevista dal testatore una retribuzione ai sensi dell’art. 711 codice civile.

Inoltre, l’art. 702 codice civile prevede che la nomina deve sempre essere seguita da accettazione.
L’art 703 codice civile, al 1° comma, dispone che l’esecutore testamentario deve sempre seguire correttamente e pedissequamente la volontà del testatore.

Questo dovere deriva dal suo ufficio pubblico di diritto privato, in quanto egli si può definire come un amministratore pubblico di diritti privati.
L’esecutore si può distinguere in:
Esecutore non amministratore, il quale deve soltanto controllare che l’erede si comporti in un determinato modo, ma la sua attività non ha rilevanza giuridica;
Esecutore amministratore, che ha, invece, un ruolo attivo, poiché gli spetta sia l’amministrazione ordinaria, sia l’amministrazione straordinaria del patrimonio ereditario. In questo secondo caso, egli deve agire sempre previa autorizzazione e può recarsi dal Notaio per compiere gli atti necessari. Tuttavia, gli eredi conservano comunque il potere di disporre dei beni ereditari.

Possesso dei beni ereditari

Con riferimento al possesso dei beni ereditari, l’art. 703, 3° comma, codice civile, prevede che non può avere durata superiore ad un anno decorrente dall’accettazione della carica, salva la possibilità di proroga per un altro anno.

In dottrina ci si è posti il problema se il possesso coincidesse con l’amministrazione e se la cessazione di uno implicasse, in via automatica, la cessazione dell’altra. In dottrina, sembra prevalere la tesi secondo cui il possesso è strumentale all’amministrazione e dunque cessato il possesso cesserebbe anche l’amministrazione. In tal caso, una volta cessata l’amministrazione l’esecutore non potrebbe più compiere atti di straordinaria amministrazione dinanzi al Notaio.
La dottrina sostiene, altresì, che una volta persa l’amministrazione, l’esecutore può rimanere come esecutore-non amministratore nel possesso dei beni ereditari. Ne consegue che, l’esecutore può soltanto controllare l’erede, ma non può più compiere atti dispositivi.

La giurisprudenza, invece, ritiene che quando l’esecutore perde l’amministrazione dei beni ereditari, vi è la caducazione automatica anche della sua nomina, asserendo che qualora l’erede contesti la nullità di un atto dispositivo compiuto dall’esecutore due anni dopo la nomina, il giudice deve dare ragione al primo, sostenendo che l’esecutore ha la titolarità del potere amministrativo e del possesso limitata ad un anno, a meno che non vi sia una proroga.

Tuttavia, parte della giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità (come la Cassazione, sezione II, con sentenza n. 12241 del 2016), appoggia la dottrina minoritaria e ritiene che il termine annuale previsto dall’articolo 703 del Codice Civile riguarda solo il possesso dei beni ereditari e non anche l’amministrazione degli stessi; questo perché la gestione dell’esecutore deve permanere e proseguire finché non siano esattamente rispettate e attuate le disposizioni testamentarie, salvo contraria volontà del testatore o esonero giudiziale ex articolo 710 Codice Civile.

Nomina ed accettazione dell’incarico

La nomina dell’esecutore avviene per testamento. All’apertura della successione, egli deve accettare la carica presso la cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione, mediante una dichiarazione che viene annotata nel Registro delle successioni ai sensi dell’art. 702 codice civile.

L’esecutore testamentario non è un rappresentante, quindi in costituzione, quando si stipula un atto dal Notaio, occorre dire che interviene in qualità di esecutore del testamento. L’atto di nomina o l’atto di accettazione non devono sempre essere allegati agli atti cui si riferiscono poiché sono appositamente pubblicizzati.

Autorizzazione ex art 747 codice procedura civile

Se la nomina da parte del testatore non prevede degli incarichi specifici, il ruolo dell’esecutore è quello di mero esecutore dei legati e di estintore dei debiti ereditari.
Qualora nel patrimonio ereditario non vi sia abbastanza liquidità per far fronte ai debiti del de cuius, l’esecutore deve alienare i beni ereditari ed, in questo caso, è necessaria l’autorizzazione del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione ai sensi dell’art. 747 codice procedura civile, sentiti previamente gli eredi, contro i quali viene eseguita la trascrizione degli atti di alienazione.

A differenza dell’ipotesi di eredità giacente, quindi senza accettazione, in cui l’esecutore, che svolge la funzione di curatore, vende per conto di chi spetta e, dunque, non c’è la necessità di sentire prima gli eredi, che in questo caso sono meri chiamati.

Il curatore dell’eredità giacente, pertanto, non vende i beni ereditari ai sensi dell’art. 703 codice civile, bensì ai sensi dell’art. 783 codice procedura civile, senza sentire gli eredi.

In dottrina, inoltre, ci si è interrogati sulla necessità o meno per l’esecutore di vendere con autorizzazione ex art. 747 codice procedura civile.
Secondo parte della dottrina, tale autorizzazione non è necessaria quando la vendita è stata già autorizzata direttamente dal testatore.
Dunque, se il testatore specifica il bene, ma non il prezzo, la vendita si può fare senza autorizzazione, ma inserendo la stima per il prezzo.

Tuttavia, per una maggiore tranquillità del Notaio è opportuno che l’esecutore intervenga con l’autorizzazione.
Se, al contrario, il testatore non ha espressamente disposto la vendita occorre l’autorizzazione, la quale deve essere necessariamente allegata all’atto di vendita.

Il notaio può essere anche esecutore testamentario?

In dottrina ci si è a lungo interrogati sulla possibilità che il Notaio ricevente un testamento pubblico possa anche essere nominato nello stesso come esecutore testamentario o, se tale ipotesi, comportasse una nullità ai sensi dell’art. 597 codice civile e una violazione dell’art. 28 Legge Notarile.

Il Consiglio Nazionale del Notariato ritiene che questa ipotetica violazione delle suddette norme debba essere valutata in termini di conflitto di interessi eventuale o potenziale, essendo necessaria per l’assunzione dell’ufficio di esecutore l’accettazione dell’incarico.
In ogni caso occorre osservare che:
– Se il notaio indicato come esecutore riceve un compenso per l’attività svolta, sicuramente vi è una violazione dell’art. 597 codice civile e quindi una nullità per incapacità del Notaio;
– Se, invece, il notaio per l’attività di esecutore non riceve alcun compenso, forse non ci sarebbe violazione dell’art. 597 codice civile, ma, per prudenza, sarebbe meglio non assecondare la richiesta del testatore.

In caso di pubblicazione di testamento olografo in busta chiusa e sigillata contente la nomina del Notaio ad esecutore testamentario dietro compenso, si discute se l’art. 28, 3° comma, Legge Notarile disciplini solo l’attività del Notaio che si concretizza in un regolamento negoziale o disciplini anche le cd. funzioni notarili secondarie, tra cui la pubblicazione di testamento olografo.
Poiché la questione è ancora dibattuta e il Consiglio Nazionale del Notariato ha cambiato spesso posizione al riguardo, la scelta viene sempre rimessa alla sensibilità del Notaio.

Divisione dell’esecutore testamentario

Ai sensi dell’art. 706 codice civile, il testatore può espressamente attribuire all’esecutore testamentario, quando non è né erede né legatario, il potere di effettuare la divisione, sentiti prima gli eredi.

La divisione deve avvenire nelle seguenti modalità:
– Effettuazione della stima dei beni ereditari;
– Proposizione del progetto di divisione;
– Interpello degli eredi;
– Formazione delle porzioni spettanti a ciascun condividente;
– Attribuzione dei beni ereditari.

In dottrina ci si è posti il problema se l’art. 706 codice civile fosse un duplicato dell’art. 733 codice civile.
Sembra prevalere la tesi negativa, in quanto ai sensi dell’art. 706 codice civile l’esecutore non si limita a proporre un progetto di divisione, ma effettua egli stesso la ripartizione dei beni ed è lui che si reca dal Notaio, non gli eredi. Inoltre, tale divisione ha efficacia reale.
Nell’ipotesi di cui all’art. 733 codice civile, il testatore prevede, invece, che venga predisposto un progetto di divisione e siano poi gli eredi a recarsi dal Notaio.

Inoltre, ci si è chiesto se gli eredi potessero prevenire l’attività dell’esecutore.
Secondo una parte della dottrina, tra cui Mengoni, gli eredi non possono prevenire l’attività dell’esecutore, il quale assume un ruolo da arbitratore e pertanto la volontà dello stesso risulta insindacabile. Gli eredi, quindi, non possono dividersi i beni prima.

Altra parte della dottrina, tra cui Talmanca, che sembra essere quella prevalente, sostiene che solo i coeredi sono titolari dell’interesse sostanziale della divisione e, quindi, la funzione di esecutore presuppone il disaccordo con gli stessi, venendo meno qualora gli eredi decidano di procedere loro stessi alla divisione. Tale possibilità non può essere loro preclusa e, pertanto, si può verificare una sorta di “corsa alla divisione” tra gli eredi e l’esecutore.