Nozione generale
Con la locuzione “socio moroso” si intende in generale quel soggetto (persona fisica o giuridica) che partecipando al capitale sociale di una società, avendo sottoscritto, in sede di costituzione della società, i conferimenti da imputare allo stesso, risulta essere in mora con i versamenti nei confronti della stessa.
Questo fenomeno di “ritardo” nei versamenti genera delle importanti conseguenze sul capitale sociale di una società ed il legislatore prevede, a tal proposito, un’apposita disciplina sia nelle S.p.a. sia nelle S.r.l., che in questa sede esamineremo nel dettaglio.
Disciplina del socio moroso nelle S.P.A.
Nell’ambito delle società per azioni, al fine di agevolare l’acquisizione dei conferimenti, il legislatore ha dettato una speciale disciplina per il caso in cui un socio non esegua il pagamento dei centesimi ancora dovuti.
Il comma 4 dell’art. 2344 codice civile prevede che: “il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto”.
Una parte della dottrina ha ritenuto che la sanzione in questione non si riferisca alla persona del socio, bensì alle azioni “scoperte”, con la conseguenza che, ove il socio titolare del pacchetto azionario non avesse coperto con i versamenti parte delle sue azioni, avrebbe diritto di voto solo per la parte di azioni interamente liberate, ovvero dallo stesso “coperte” con i versamenti.
Il legislatore, pertanto, limita la capacità del socio moroso di influire sul procedimento decisionale delle società, ma non dice nulla sugli altri diritti amministrativi e patrimoniali.
La dottrina prevalente, invece, partendo dal presupposto che le azioni del socio moroso non sono istituzionalmente prive del diritto di voto, ma solo occasionalmente, attribuisce al socio in mora il diritto di intervento in assemblea ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2370 comma 1 e 2368 comma 3 codice civile, nonché il diritto di impugnare le delibere.
Tuttavia, alcuni autori ritengono che, in osservanza del principio “inadimplenti non est adimplendum”, al socio moroso non può essere riconosciuto il diritto di intervento, poiché legato intrinsecamente al diritto di voto e dunque anch’esso sospeso, trovando applicazione, in via analogica, la disciplina sulle azioni proprie in portafoglio.
In riferimento ai diritti patrimoniali, la dottrina è quasi del tutto unanime a ritenere che il socio in mora abbia diritto alla percezione agli utili in distribuzione finché resta titolare delle azioni; fermo restando il diritto della società di compensare il credito da conferimento con il debito da corresponsione degli utili.
Procedura di messa in mora
Il comma 1 dell’art. 2344 codice civile dispone che: “se il socio non esegue i pagamenti dovuti, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nelle Gazzetta Ufficiale della Repubblica, gli amministratori se non ritengono utile promuovere azione per l’esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci (compresi quelli che rivestono la qualità di amministratori), in proporzione della loro partecipazione per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti”.
Ad esempio, se un socio ha già versato il 25% in denaro, la vendita può avvenire ad un prezzo pari al 75% ancora dovuto, perché la società può trattenere il 25% già versato.
“In mancanza di offerte possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati”.
Anche se la norma, riferendosi ai “pagamenti”, disciplina direttamente solo i conferimenti in denaro, è discusso se essa possa estendersi anche ai conferimenti in natura, ad esempio in caso di evizione subita dalla società di un immobile conferito in proprietà oppure di perimento del bene conferito in godimento; o anche alle prestazioni accessorie.
La tesi positiva ritiene che la norma in commento possa riguardare tutti i tipi di conferimenti, in quanto l’art. 2344 codice civile è un’applicazione generale della disciplina sull’inadempimento.
La tesi negativa, al contrario, evidenzia come sia impossibile che si verifichi una mora relativa ai conferimenti in natura, in coerenza del principio dell’integrale liberazione di tali tipi di conferimenti.
Campobasso sostiene una tesi intermedia, ritenendo applicabile l’art. 2344 codice civile alle ipotesi di inadempimento conseguente alla conversione coattiva derivante dalle garanzie di cui agli artt. 2254 e 2255 codice civile o volontaria, a seguito del perimento della res conferita in godimento, in prestazione equivalente.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 2344 codice civile: “qualora la vendita non possa avere luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni”.
In questa ipotesi ha luogo l’esclusione del socio moroso, le cui azioni devono essere rimesse in circolazione.
Parte della dottrina, sostiene che tali azioni debbano essere attribuite temporaneamente alla società, con conseguente applicazione della disciplina sulle azioni proprie.
Altro orientamento, invece, ritiene che dette azioni, sul piano della titolarità debbano considerarsi quiescenti, ovvero in attesa o di essere assegnate a terzi o di essere annullate a seguito della riduzione del capitale sociale.
Infatti, il comma 3 della norma in esame prevede che: “le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l’esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale”.
La riduzione del capitale sociale a seguito dell’esclusione del socio moroso
Abbiamo visto che le azioni del socio moroso devono essere, in prima battuta, offerte agli altri soci e, in mancanza di offerte da parte degli stessi, a terzi. Se non vi sono acquirenti, l’organo amministrativo può dichiarare decaduto il socio, rimettendo le azioni in circolazione entro l’esercizio in cui è stata pronunziata la decadenza, ma se ciò non è possibile, queste devono essere annullate deliberando una riduzione del capitale.
Questa operazione pone però una serie di interrogativi, fondamentali per l’attività del Notaio.
Il primo riguarda la competenza, in quanto, trattandosi di una riduzione obbligatoria, si discute se la competenza a deliberare spetti all’assemblea straordinaria o a quella ordinaria.
La dottrina prevalente sembra, tuttavia, propendere per la competenza dell’assemblea straordinaria, al pari di quanto affermato per la riduzione a seguito della revisione di stima dei conferimenti in natura ex art. 2343 codice civile e perché si tratta di una modifica dell’atto costitutivo.
Altra questione, ancora più spinosa, riguarda la natura della riduzione, tanto è vero che in dottrina ed in giurisprudenza si contendono il campo tre tesi.
La dottrina più tradizionalista sostiene che tale riduzione sia qualificabile come nominale, in quanto l’estinzione della partecipazione del socio moroso è assimilabile ad una perdita.
Per tale ragione, si applicherebbe in toto la disciplina di cui agli artt. 2446 e 2447 codice civile.
Secondo altra parte della dottrina, tra cui Genghini, si tratta di una riduzione reale, anche se obbligatoria, per un importo pari all’intera partecipazione del socio escluso e non solo per la parte già versata, trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 2445 codice civile, la quale subordina l’efficacia della delibera di riduzione alla mancata opposizione dei creditori sociali nel termine di novanta giorni dall’iscrizione della stessa nel Registro delle imprese.
Altra parte della dottrina, avallata dall’opinione della sentenza della Cassazione n. 1185 del 2020 (emessa in materia di S.r.l, ma estesa anche alle S.p.a.), asserisce, invece, che: “in caso di esclusione del socio moroso, la riduzione del capitale ad essa conseguente si configura quale riduzione nominale per la parte corrispondente ai conferimenti non eseguiti e come riduzione reale per la parte che, invece, era stata liberata dai conferimenti effettuati dal socio”.
La Cassazione, dunque, qualifica tale riduzione come “mista”, ovvero nominale per la parte di capitale ancora non versata e reale per la parte di capitale già versata.
Questa sentenza, addirittura, ritiene che non sia necessario applicare la disciplina di cui all’art. 2445 codice civile, in quanto tale riduzione sarebbe immediatamente efficace.
Si discute, invece, sull’applicabilità dell’art. 2446 codice civile, in quanto la parte “scoperta” di capitale sarebbe assimilabile ad una perdita oltre il terzo del capitale.
La pronuncia in commento fa leva, però, sul fatto che tale perdita sia qualificabile come “economica” e non “giuridica”, pertanto gravante soltanto sul socio moroso e non sulla totalità dei soci e, come tale, non rilevante ai sensi dell’art. 2446 comma 1 codice civile.
In sintesi, secondo questo recente orientamento giurisprudenziale non sarebbe necessario inserire nel verbale assembleare la documentazione di cui all’art. 2446 codice civile, facendo riferimento soltanto all’art. 2344 codice civile.
Tuttavia, la vexata quaestio sulla natura giuridica di tale riduzione sembra non aver ancora trovato una conclusione.
La disciplina del socio moroso nelle S.R.L.
Al pari di quanto si verifica nelle S.p.a., anche nelle S.r.l. il legislatore ha dettato un’apposita disciplina in tema di morosità del socio dovuta al mancato pagamento delle quote dovute.
Tuttavia, questa disciplina sembra non divergere più di tanto da quella prevista per le S.p.a.
Nelle S.r.l., innanzitutto, è previsto dal comma 4 dell’art. 2466 codice civile che: “il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci”.
Rispetto a tale previsione normativa sono prospettabili due opzioni.
La prima, secondo cui sarebbe escluso sia il diritto di voto che il diritto di intervento in assemblea per il socio in mora.
La seconda, invece, partendo dall’interpretazione secondo cui l’inciso “partecipare alle decisioni” significherebbe “esercitare il diritto di voto”, sostiene che il socio moroso avrebbe diritto di intervento in assemblea, ma non il diritto di voto.
Procedura di messa in mora e conseguente riduzione del capitale sociale
I commi 1 e 2 dell’art. 2466 codice civile prevendono che: “se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni” e che “decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato”.
Nell’atto di vendita delle quote del socio moroso intervengono, per prassi, sempre gli amministratori della società, ma mai il socio stesso, anche se titolare della partecipazione.
La vendita deve essere effettuata sempre per il valore della quota, ovvero per il suo “intero” valore, comprendendo nel prezzo anche il 75% che avrebbe dovuto versare il socio in mora.
Inoltre, a differenza di quanto previsto per le S.p.a., la norma in commento nei commi 2 e 3, stabilisce che: “in mancanza di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto e, se la vendita non può avere luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente”.
Autorevole dottrina sottolinea che l’esclusione è disposta in via diretta dagli amministratori, non essendo, pertanto, necessaria una preventiva deliberazione assembleare per escludere il socio moroso.
Pertanto, la successiva riduzione del capitale sociale appare come un “atto dovuto” da parte dell’assemblea, in quanto nei quorum costitutivi e deliberativi non si potrà computare la partecipazione del socio escluso.
Anche nell’ambito delle S.r.l. la riduzione in presenza di socio moroso pone delle questioni analoghe a quelle previste in tema di S.p.a., per cui si rinvia a quanto sopra esposto.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 2466 codice civile continua disponendo che: “le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche nel caso in cui per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell’articolo 2464”.
In merito a questo inciso normativo, è discusso se il riferimento sia solo alla polizza e alla garanzia del comma 4 oppure anche a quella del comma 6 dell’art. 2464 codice civile.
La norma continua concludendo che: “Resta salva in tal caso la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del corrispondente importo in denaro”.
