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Profili introduttivi sulla questione e nozione di contratto preliminare a parziale indeterminatezza soggettiva

In questa sede ci occuperemo della questione riguardante il fenomeno successorio nell’ambito dei rapporti preliminari a “parziale indeterminatezza soggettiva”. Questo argomento, infatti ha dato origine ad un dibattito in dottrina sull’ammissibilità o meno di tale fenomeno in ambito di trasferimenti mortis causa. La criticità della circolazione successoria di tali fattispecie dipende da un duplice ordine di ragioni delle quali si è occupato un importante studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 416/2012).

In primo luogo, la dottrina notarile si è posta il problema di accertare quale fosse il reale “oggetto” della vicenda successoria, in quanto l’indeterminatezza soggettiva, dovuta all’inserimento nel contratto preliminare della perifrasi “per sé o per persona da nominare”, non sconta l’univoca funzione indicata dall’art. 1401 codice civile. La riserva di nomina, nell’ambito dell’autonomia negoziale e nelle prassi consolidate può, infatti, costituire un efficace consegno per realizzare differenti interessi negoziali.

Specificatamente, siffatta riserva, lungi dal ridursi a mera clausola di stile, una volta inserita in un contratto preliminare. Essa, infatti, può comportare, la diversificazione degli interessi sottostanti tale contratto, ovvero: la configurabilità di un contratto con autorizzazione preventiva alla cessione, ex artt. 1406 e 1407 codice civile; di un contratto preliminare per persona da nominare, ex art. 1401 codice civile o di un contratto preliminare a favore di terzo eventualmente da designare, ex art. 1411 codice civile.

Caduta in successione della riserva di nomina

Una volta qualificato in concreto il contratto preliminare a parziale indeterminatezza soggettiva, “in ragione della natura degli interessi affidati alle singole esplicazioni di autonomia e dei valori costituzionali ai quali questi interessi sono riconducibili”, e verificata la sua riconducibilità all’art. 1401 codice civile, si pone il secondo problema.

Bisogna stabilire se l’ereditando possa sciogliere la riserva di nomina direttamente all’interno del testamento (cd. electio amici testamentaria), e se lo stesso potere di nomina possa costituire oggetto di lascito testamentario (cd. legato della dichiarazione di nomina). In questa prospettiva, spetta all’interprete ricercare l’esatta qualificazione dell’atto di autonomia negoziale. La qualificazione giuridica non costituisce una entità predefinita dal legislatore, ma il risultato del bilanciamento degli interessi e dei valori protetti.

La riserva di nomina costituisce il prius indefettibile per stabilire, in relazione al singolo caso concreto, l’ammissibilità dello scioglimento per testamento della stessa, nonché l’attribuzione della facultas amicum eligendi per atto mortis causa. È necessario, tuttavia, distaccarsi da antichi formalismi, verificarne la relatività e la storicità, analizzare, in una prospettiva evolutiva, il profilo assiologico del testamento, senza incasellarlo in schemi giuridico-formali, nell’osservanza del principio “etiam in claris semper fit interpretatio”.

La funzionalità della clausola “per sè o per persona da nominare”

Nei rapporti a parziale indeterminatezza soggettiva è frequente l’inserimento della clausola “per sé o per persona da nominare”, specie nei contratti preliminari.

Tale figura crea una dissociazione fra colui che sarà l’avente diritto alla prestazione e l’originario contraente del contratto preliminare. Incidendo sul profilo lato sensu soggettivo del rapporto obbligatorio, nella maggior parte dei casi, essa è finalizzata ad attuare una circolazione dei diritti senza trasferimenti intermedi.

Ora se la formula “per sé o per persona da nominare” è interpretata letteralmente, ne consegue una meccanica sussunzione dell’atto di autonomia negoziale nell’alveo dell’ipotesi contenuta nell’art. 1401 codice civile, a tenore del quale “nel momento della conclusione del contratto, una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso”.

La riserva di nomina si profila quale clausola legittimante la designazione della parte contrattuale in un momento successivo alla sua stipulazione. Pertanto, tale dichiarazione costituisce un negozio giuridico unilaterale, complementare al contratto originario. Con essa lo stipulante non si limita a comunicare al promittente l’electus, ma, nel designare il soggetto che deve acquistare i diritti ed assumere gli obblighi, compie una valutazione di interessi sotto il profilo dell’omissio adquirendi.

Lo stipulante, nominando un altro soggetto, rinuncia agli effetti del contratto e tale valutazione d’interessi deve discendere da una espressa volontà. La tecnica della sussunzione, però, nel porre in correlazione automatica “il dato letterale” con la “fattispecie astratta”, soddisfa una esigenza meramente descrittiva della riserva di nomina, mentre lascia inesplorati gli interessi delle parti all’interno del singolo regolamento negoziale.

Rimane, in questo modo, ignorata la funzione della riserva di nomina ovvero il potere dei privati ex art. 1322 codice civile di modularla nella maniera più idonea a perseguire un proprio e specifico interesse, nel rispetto del giudizio di meritevolezza.

La prima ipotesi ricorre quando, dall’interpretazione del profilo effettuale, risulti che le parti abbiano inteso pattuire la sostituzione dell’originario contraente ex tunc. La seconda ipotesi si ha, invece, quando le parti attraverso la clausola in questione abbiano inteso prevedere il preventivo consenso alla cessione del contratto, in caso di sostituzione dell’originario contraente con efficacia ex nunc.

L’ultima ipotesi è configurabile se è prevista la mera attribuzione al terzo del diritto alla prestazione da parte del promittente senza alcuna modifica delle parti del contratto.

La medesima conclusione, per le stesse ragioni, è stata anche ribadita dalla giurisprudenziale di merito, la quale, seguendo un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ha sostenuto che “in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la clausola che prevede che il promissario acquirente acquisti per sé o per persona da nominare può comportare la configurabilità sia della cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 ss. codice civile, con il preventivo consenso della cessione a norma dell’art. 1407 codice civile, sia di un contratto per persona da nominare di cui all’art. 1401 codice civile, e ciò sia in ordine al preliminare che con riferimento al contratto definitivo. Tale pluralità di configurazioni giuridiche va pertanto riferito al contenuto effettivo della volontà delle parti contraenti, che l’interprete deve ricercare in concreto”.

In definitiva, ciò che suole definirsi “riserva di nomina” costituisce, in realtà, un idoneo congegno negoziale per realizzare diversi modelli contrattuali, con dinamiche operative ed applicative eterogenee. Quanto detto giustifica la ragione per la quale si rende necessario accogliere una lettura aperta della clausola contrattuale “nei due profili che concorrono ad individuarne la natura: la funzione (a che serve) e la struttura (com’è)”. La precedenza del profilo assiologico rispetto a quello strutturale dipende dall’essere la funzione predicato determinativo della struttura.

É la sintesi complessiva degli interessi ad orientare i contraenti nella scelta della struttura dell’atto di autonomia negoziale maggiormente corrispondente agli effetti che essi intendono realizzare: all’unità assiologica corrisponde una struttura, variabile in astratto, ma determinata in concreto.

L’electio amicii testamentaria

Stante quanto asserito fin ora, bisogna, a questo punto, verificare, una volta qualificato l’atto negoziale come contratto preliminare per sé o persona da nominare, ex art. 1401 codice civile, se l’ereditando possa sciogliere la riserva di nomina per mezzo di una clausola testamentari e se lo stesso potere di nomina possa, a sua volta, costituire oggetto di lascito. Secondo autorevole dottrina che “nel contratto stipulato con la clausola per sé o per persona da nominare possa aversi successione (…) per atto mortis causa (…) non sembra possibile dubitare”.

Tale affermazione potrebbe considerarsi la naturale conseguenza dell’accoglimento del principio, in precedenza descritto, del subingresso dell’erede, all’ apertura della successione, nelle posizioni contrattuali in atto, salva diversa incidenza che ha su di essi la morte del de cuius.

La trasmissione testamentaria dei rapporti contrattuali non intuitus personae costituisce un fenomeno naturale, al contempo necessario, in quanto diversamente, in presenza di rapporti privi di titolare, sarebbe pregiudicata fatalmente la certezza dei traffici giuridici.

Quando il contraente muore ab intestato, allora, l’intera situazione giuridica nascente dal contratto da lui stipulato in vita si trasmette ai suoi eredi, secondo le regole della successione legittima, a meno che si tratti di rapporti intuitus personae intrasmissibili.

Così, in presenza di un contratto preliminare per sé o per persona da nominare, non seguito da successiva stipula del definitivo, al tempo della morte di una delle parti, il successore subentra, a seconda dei casi, ora nella posizione del promittente alienante ora in quella del promittente acquirente. Se questo è vero,si può ritenere ammissibile anche la caduta in successione della electio amici.

Non sembrerebbero, secondo la già citata dottrina, sussistere ragioni ostative a riconoscere al de cuius il potere di disciplinare direttamente nel testamento, nei limiti di legge, la sorte dei contratti a parziale indeterminatezza soggettiva all’atto di apertura della successione, nominando direttamente l’eletto nel testamento. Ostacoli al riconoscimento di siffatte clausole testamentarie, a contenuto non patrimoniale, potrebbero porsi qualora si accolga quell’orientamento dottrinale che limita l’ammissibilità delle clausole testamentarie a contenuto non patrimoniale alle sole ipotesi previste dal legislatore, sulla scorta di un’interpretazione restrittiva dell’art. 587 codice civile.

Secondo parte della dottrina il contenuto del testamento è meramente “attributivo”, giusta la formula “taluno dispone” contenuta nella predetta norma contenuta nell’art. 587 codice civile.

La patrimonialità è stata ritenuta un elemento qualificante del negozio testamentario, con la conseguenza che costituirebbero contenuto del testamento soltanto le disposizioni patrimoniali attributive di beni giuridici, quali l’istituzione di erede e il legato, e le disposizioni patrimoniali non attributive e quelle non patrimoniali “che la legge consente siano contenute in un testamento”, secondo il disposto dell’art. 587, comma 2 codice civile. In realtà, una simile visione del contenuto del testamento sconta un eccessivo condizionamento ermeneutico del dato letterale della normativa in questione.

Ciò comporta, quale immediata conseguenza, la formazione di una zona grigia per quelle clausole non coperte dalla disciplina di rinvio del secondo comma dell’art. 587 codice civile.

In verità, le disposizioni testamentarie non previste dalla legge possono essere validamente inserite nel testamento laddove si riconosca al de cuius una piena autonomia testamentaria, elevando la regula iuris dell’art. 1322 codice civile a principio generale dell’ordinamento giuridico non circoscrivibile ai soli contratti.

Così la portata normativa dell’art. 587 codice civile diviene armonizzabile con la funzione propria del testamento, la quale è quella di consentire al de cuius di regolamentare i propri interessi per il tempo successivo alla morte.

Il testatore, cioè, al di là dei limiti imposti a tutela dell’intangibilità della legittima, del divieto di patti successori e del fedecommesso, delle norme imperative, può inserire nel testamento qualunque disposizione di ultima volontà meritevole di tutela in quanto conforme alla tavola valoriale dell’ordinamento giuridico, unitariamente inteso, pur nella pluralità delle fonti.

Chiarito ciò, l’ammissibilità della electio amici testamentaria potrebbe anche giustificarsi alla luce della funzione, meritevole di tutela, che essa è in grado di realizzare una volta inserita all’interno del testamento. Essa consentirebbe allo stipulante di potere beneficiare direttamente sé stesso o una determinata persona, evitando l’inconveniente di una futura designazione ad opera degli eredi, semmai di segno opposto alla propria volontà.

Questa funzione diverrebbe ancora più pregnante di significato quando lo stipulante risulti essere legato al futuro eligendo da un contratto di mandato, e muoia senza avere effettuato la dichiarazione di nomina nei termini convenzionalmente convenuti, mentre gli eredi non intendano designare il mandante superstite. In tal caso, l’electio amici testamentaria permetterebbe di arginare le conseguenze correlate alla morte del mandatario.

Infatti, in base al combinato disposto degli artt. 1722 e 1728 codice civile, la sopravvivenza del contratto di mandato non opera nel caso di morte del mandatario, né tantomeno può trasmettersi agli eredi l’adempimento della prestazione, in quanto ad essi non risulta essere imponibile un determinato comportamento cui era tenuto il mandatario. Si trasmettono, invece, agli eredi le obbligazioni che in esito all’esecuzione del mandato si siano consolidate a carico del mandatario prima della sua morte, e, quindi, prima dell’estinzione del mandato nei confronti del mandante.

In definitiva, gli eredi del mandatario devono soltanto, laddove abbiano conoscenza del mandato, avvertire prontamente il mandante e prendere intanto nell’interesse di quest’ultimo i provvedimenti resi necessari dalle circostanze.

Trasmissione mortis causa della facultas amicum eligendi

Per quanto riguarda la trasmissione mortis causa della facultas amicum eligendi, una risalente dottrina, sotto il diritto comune, non esitava a risolverla negativamente, una volta assunta la dichiarazione come una qualità personale del disponente.

In realtà, è utile osservare che una parte autorevole della dottrina perviene a conclusioni maggiormente permissive. Si è infatti osservato che: “il potere di nomina è certamente trasmissibile per atto mortis causa, mentre per quanto riguarda la trasmissione inter vivos essa è concepibile solo mediante cessione del contratto (che peraltro potrà avvenire anche senza il consenso del promittente ceduto): la cessione del solo potere di nomina si configurerebbe in realtà come una mera delega e gli effetti del mancato esercizio ricadrebbero, senza dubbio, sulla sfera dello stipulante”.

In senso contrario alla circolazione successoria del diritto di scelta si rileva che non potrebbe neppure addursi l’interesse del promittente a non vedere modificato il profilo soggettivo del rapporto senza il proprio consenso.

Per il promittente sarebbe cioè indifferente che la nomina venga direttamente effettuata, per sé o per persona da nominare, dallo stipulante oppure, a sua volta, da un terzo, in quanto in entrambi i casi l’eligendo ben potrà essere un terzo diverso dallo stipulante. In altri termini, secondo l’orientamento in commento, il promittente, acconsentendo all’inserimento della clausola per sé o per persona da nominare nel contratto, avrebbe pienamente rimesso all’esclusiva ed unilaterale facultas dello stipulante il potere di incidere sulla modificazione del profilo soggettivo del rapporto giuridico.

Risulta, pertanto, evidente come autorevole dottrina ritenga ammissibile la trasmissione per atto mortis causa del diritto di nomina, diversamente dall’orientamento vigente sotto il diritto comune. Tale ricostruzione apre alla considerazione dell’ulteriore problema relativo alla determinazione dei “criteri” attraverso i quali è possibile la circolazione testamentaria del diritto medesimo. Infatti, trattandosi di un diritto di potestativo, sembrano qui riproporsi le stesse problematiche relative al legato del diritto di opzione.

Considerazioni conclusive

Quanto trattato fin qui ci conduce alle seguenti conclusioni.

Innanzitutto, in generale, si ammette l’esistenza nel nostro ordinamento giuridico di un principio generale di trasmissibilità a causa di morte dei rapporti giuridici patrimoniali, a meno che si tratti di rapporti intuitus personae. Quando la morte di uno dei contraenti interviene prima della conclusione del contratto, bisogna distinguere a seconda che la vicenda successoria investa la proposta contrattuale “semplice”, quella “irrevocabile”, e quella “fatta dall’imprenditore”.

Nel primo caso, la proposta contrattuale diviene inefficace. Mentre nel secondo caso cadono in successione, trasmettendosi agli eredi, sia la proposta ferma, a meno che risulti diversamente dalla natura dell’affare o da altre circostanze, sia quella fatta dall’imprenditore, salvo si tratti di piccolo imprenditore o la natura dell’affare o le altre circostanze lo escludono.

In queste ultime ipotesi, se la successione è un fenomeno, oltre che naturale, anche necessario, ragion per cui l’ereditando può scegliere a chi, fra erede e legatario, debba essere trasmessa la situazione giuridica soggettiva di cui era titolare in vita.