La nozione e le caratteristiche generali
Ai sensi dell’art. 1766 del Codice civile, il deposito è il contratto con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) una cosa mobile, con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura alla scadenza del contratto.
Si tratta di un contratto reale ad effetti obbligatori, che, cioè, si perfeziona solo con la consegua della cosa (cosiddetta traditio rei), ma fa sorgere in capo alle parti solo pretese obbligatorie, senza incidere sul regime di titolarità della cosa in oggetto, che rimane di proprietà del depositante (salvo quanto sarà detto con riferimento al deposito irregolare).
Il deposito è, poi, un contratto a forma libera e ad esecuzione continuata, avente ad oggetto la custodia di cose mobili fino alla loro restituzione.
Sono esclusi dal novero dei beni affidabili in deposito gli immobili e le cosiddette universalità di diritto, mentre dovrebbe considerarsi ammissibile un deposito avente ad oggetto una universitas facti (purché composta da soli beni mobili), con l’estensione dell’obbligo di custodia a tutte le cose singolarmente considerate, pur se appartenenti ad un complesso unitario dall’unica destinazione economica.
Di regola, il deposito ha per oggetto cose infungibili da restituire in natura e di cui il custode non può servirsi, né disporre, come emerge dall’art. 1770 del Codice civile.
Il deposito è un contratto connotato da un forte intuitus personae (in cui, cioè, la figura del depositario non è fungibile, rilevando le specifiche caratteristiche dello stesso, che lo rendono un soggetto meritevole della fiducia del depositante).
Come disposto dall’art. 1767 del Codice civile, poi, il deposito si presume gratuito, salvo che sia diversamente previsto dal titolo o che dalla qualità professionale del depositario o da altre circostanze si debba desumere una diversa volontà delle parti: oggi, dunque, la gratuità è un mero elemento naturale del deposito, non più un elemento essenziale dello stesso (com’era, invece, nella vigenza del Codice del 1865), il che comporta la possibilità giuridica di un deposito oneroso, inquadrabile tra i contratti bilaterali a prestazioni corrispettive. La primaria conseguenza della gratuità od onerosità del deposito si apprezza in relazione al sindacato sulla colpa del depositario per mancata diligenza nella custodia della cosa, che sarà valutata con minor rigore nella fattispecie del deposito gratuito, mentre quella del deposito oneroso sarà soggetta alle regole previste per i contratti a prestazioni corrispettive.
Figura diversa dal deposito in senso tecnico è, invece, il cosiddetto deposito di cortesia, svincolato da qualsiasi obbligo giuridico e fondato sulle dinamiche proprie delle mere relazioni sociali, in relazione al quale pare illegittima la pretesa di un corrispettivo e rispetto al quale la responsabilità del depositario verso il depositante è quantomai attenuata.
Gli elementi essenziali del contratto di deposito
Allo schema del contratto di deposito viene genericamente associata un’ampia varietà di fattispecie, caratterizzate tutte dalla presenza di un’obbligazione di custodia, ma diversamente qualificate per la presenza di elementi di atipicità rispetto al tipo negoziale vero e proprio (come nel caso del posteggio e del rimessaggio) o alla natura dell’obbligo custodiale soltanto accessoria, non autonoma e derivante dall’obbligo principale (si veda il caso del deposito alberghiero).
Tutte queste figure consentono, dunque, di evincere che ciò che rende un contratto ascrivibile al genus del deposito è la simultanea ricorrenza dei tre elementi essenziali della consegna, della custodia e della restituzione di una cosa mobile, che saranno, dunque, analizzati singolarmente.
La consegna della cosa e la realità del deposito
Come sopra accennato, l’atto di consegna che si realizza quando un soggetto affida la cosa, materialmente o simbolicamente, a un altro soggetto, determina il momento perfezionativo del deposito e presuppone sempre una volontà negoziale all’assunzione dell’obbligo: il consenso tra le parti, dunque, costituisce elemento necessario, ma non sufficiente a far sorgere le rispettive posizioni obbligatorie.
Piuttosto, è discussa in dottrina ed in giurisprudenza (anche se ammessa dall’opinione forse prevalente) l’ammissibilità di un contratto atipico di deposito consensuale, che si perfeziona, quindi, a prescindere dalla consegna della cosa, in quanto alcuni Autori hanno sostenuto, in questo caso, una mancanza di attualità dell’obbligazione in assenza del bene da custodire, ricostruendo la fattispecie, piuttosto, come un contratto preliminare di deposito reale.
Sul punto, si osserva che il contratto di deposito consensuale ed il contratto preliminare di deposito reale appaiono entrambi schemi contrattuali ammissibili e meritevoli di tutela, dovendosi rimettere la valutazione dell’una o dell’altra figura ad un’analisi in concreto della volontà delle parti.
L’obbligo di custodia
Ai sensi dell’art. 1768 del Codice civile, il depositario deve custodire la cosa con l’uso della media diligenza, senza vincoli di subordinazione e con l’assunzione dei rischi correlati allo svolgimento dell’attività.
La scelta delle modalità concrete da attuare per adempiere a tale obbligazione è caratterizzata, comunque, da un’autonomia non assoluta del custode che può essere condizionata dall’impiego di mezzi e soluzioni contrattualmente stabilite, idonee allo scopo, ovvero richieste dalla prassi e dagli usi.
Conseguentemente, il depositario non può utilizzare la cosa per fini propri, né affidarla in deposito ad altri senza il consenso del depositante (così l’art. 1770 del Codice civile) e solo se circostanze urgenti lo richiedono, può cambiare le modalità di custodia concordate, sempre informando tempestivamente il depositante.
Nel peculiare caso di depositario incapace, previsto e disciplinato dall’art. 1769 del Codice civile, quest’ultimo è, comunque, responsabile della conservazione del bene affidatogli nei limiti in cui può essere tenuto a rispondere per fatti illeciti, secondo un regime di responsabilità attenuata: il depositante, in ogni caso, ha diritto di conseguire la restituzione della cosa, finché presente presso il depositario, potendo altrimenti pretendere il rimborso di quanto lucrato da quest’ultimo, seppur incapace.
L’obbligo di preservare e proteggere la cosa da qualsiasi evento dannoso cui potrebbe andare soggetta a causa della sua natura o di agenti esterni, naturali e umani, non contempla, invece, la tutela alla conservazione giuridica della cosa e dei diritti ad essa inerenti: il depositario, infatti, non è tenuto a sostenere in giudizio le ragioni giuridiche del depositante, ma solo a segnalargli i giudizi intentati da terzi per consentirgli di provvedere alla difesa.
L’obbligo di restituzione
Ai sensi dell’art. 1771 del Codice civile, la cosa custodita deve essere restituita non appena il depositante la richiede, salvo che sia convenuto un termine nell’interesse del depositario che, a sua volta, potrà richiedere che il depositante riprenda la cosa, sempre che non sia stato fissato un termine nel suo interesse.
In mancanza, comunque, di termini pattuiti, il giudice può concederne uno congruo al depositante, se il recesso è deciso dal depositario.
Un’ipotesi peculiare è quella in cui vi è una pluralità di depositanti o depositari. In questo caso, se non c’è accordo sulla restituzione, sarà il giudice a stabilirne le modalità, mentre in presenza di più depositari anche sopravvenuti, l’art. 1772, comma 2, del Codice civile attribuisce al depositante la facoltà di richiedere la restituzione al detentore della cosa che dovrà darne tempestiva notizia agli altri. Si precisa, comunque, che il depositante non perde il diritto di richiedere la restituzione al depositario non detentore che, se interpellato, dovrà procurarsi la disponibilità del bene, pena l’inadempimento e il risarcimento del danno.
Nel caso, invece, di deposito anche nell’interesse del terzo, previa la sua preventiva adesione, ai fini della liberazione del depositario non è sufficiente la restituzione al depositante, dovendo il primo altresì ottenere il consenso del terzo medesimo (così l’art. 1773 del Codice civile). Il depositante, comunque, rimane l’unico creditore dell’obbligazione restitutoria, quindi l’unico legittimato a chiedere il risarcimento dei danni da eventuale inadempimento.
La cosa deve essere, salvo diverso accordo tra le parti, restituita nel luogo in cui doveva essere custodita (cfr. art. 1774 del Codice civile) con i frutti percepiti (ex art. 1775 del Codice civile), mentre le spese della restituzione rimangono a carico del depositante.
L’art. 1776 del Codice civile prevede, poi, l’ipotesi dell’erede del depositario che, ignaro dell’obbligazione assunta dal de cuius, venda la cosa, credendo di averne acquisito la proprietà per successione ereditaria: in questo caso, l’erede è tenuto a restituire il corrispettivo ricevuto dalla vendita al depositante che subentra direttamente nei suoi diritti in caso di pagamento non ancora avvenuto. La prova della buona fede solleva l’erede del depositario da ogni responsabilità per il danno da inadempimento; diversamente se l’erede ha agito in malafede dovrà rispondere del valore totale della cosa, ove non sia in grado di restituirla in natura.
Si precisa, inoltre, che la cosa deve essere restituita al depositante, senza ch’egli debba provare di esserne proprietario (così l’art. 1777, comma 1, del Codice civile), in quanto unico soggetto attivo dell’obbligazione di restituzione, indipendentemente dal fatto che vanti o meno il diritto di proprietà sulla stessa. L’atto della restituzione avviene, invece, nelle particolari forme previste dal secondo comma del citato art. 1777 del Codice civile, nell’eventualità di un giudizio instaurato dal terzo in ragione di un preteso diritto di proprietà sulla cosa: il depositario non può restituire la cosa al depositante ma, a pena del risarcimento del danno, deve informarlo circa la controversia in corso e ottenere l’estromissione dal giudizio indicando la persona del medesimo, potendo depositare la cosa nei modi stabiliti dal giudice.
Altra ipotesi peculiare è quella del deposito di cosa proveniente da reato: se il depositario apprende tale provenienza illecita, avendo anche individuato il proprietario derubato, deve a quest’ultimo denunziare il deposito presso di sé e trascorsi dieci giorni dalla stessa senza alcuna opposizione, il depositario è liberato restituendo la cosa al depositante (così dispone l’art. 1778 del Codice civile).
Infine, nessun obbligo può gravare sul depositario se risulta che la cosa appartiene in realtà al depositario stesso e che il depositante non aveva sulla stessa alcun diritto (cfr. art. 1779 del Codice civile): in questo caso, il contratto in via eccezionale si estingue per confusione e il rapporto non ha più ragione d’essere per mancanza originaria o sopravvenuta della causa.
La tipologia di eventi propri della fase della restituzione prevede infine l’ipotesi della perdita della detenzione della cosa per cause non imputabili al depositario: in tal caso, egli è liberato dall’obbligo di restituzione, ma deve denunziare immediatamente al depositante, a pena di risarcimento del danno, il fatto per cui ha perso la detenzione. Il depositante ha quindi diritto di ricevere ciò che, in conseguenza del fatto stesso, il depositario abbia conseguito e subentra nei diritti a quest’ultimo spettanti.
Focus: il deposito irregolare e il deposito bancario
Poste le superiori premesse sul deposito in generale, si ritiene opportuno, adesso, soffermarsi su una figura peculiare di deposito, cioè il deposito irregolare, in ragione della sua considerevole diffusione sociale.
Tale figura è espressamente prevista e disciplinata dall’art. 1782 del Codice civile e consiste nel deposito avente ad oggetto denaro e altre cose fungibili di cui, al momento della traditio, il custode acquista la proprietà ed assume l’obbligo di restituire non le medesime cose, ma tantundem eiusdem generis (i.e. la stessa quantità di cose dello stesso genere): il deposito irregolare si configura, quindi, come un contratto reale ad effetti reali.
Inquadrato propriamente fra i contratti di prestito, si distingue ad esempio dal mutuo, in quanto la disponibilità della cosa non costituisce lo scopo tipico e primario del contratto. Ad esso possono essere applicate alcune disposizioni proprie dello schema classico del deposito, compatibili con l’acquisto della proprietà e con alcune norme, appunto, sul mutuo.
In ambito bancario assume una propria autonoma regolamentazione (deposito bancario) e svolge nell’interesse del depositante una funzione di custodia, nell’interesse del depositario una funzione di credito; si distinguono depositi semplici, depositi a risparmio e depositi in conto corrente.
Nel deposito semplice, il cliente riceve dalla banca un documento attestante l’importo della somma depositata che gli andrà restituita alla scadenza o alla richiesta, senza che, nelle more, sia possibile effettuare prelievi parziali o versamenti aggiuntivi.
Il deposito a risparmio, invece, prevede il rilascio di un libretto che può essere nominativo o al portatore sul quale vengono annotati, con efficacia probatoria tra le parti, i versamenti e i prelevamenti di volta in volta effettuati.
Infine, il deposito in conto corrente consente al cliente di variare l’entità della somma depositata con successivi versamenti e prelievi.
Focus:le cassette di sicurezza in banca
Da ultimo, un tema connesso a quello del deposito appare il rapporto contrattuale relativo alle cassette di sicurezza in banca (artt. 1839 e seguenti del Codice civile): concretamente, si tratta di una vera e propria cassetta collocata all’interno di un locale blindato (caveau o similare) in un istituto di credito abilitato a tale servizio, all’interno del quale il cliente della banca potrà riporre gli oggetti preziosi, i documenti o altri beni che riterrà preferibile custodire in tale modo, garantendosi un accesso continuo e una gestione particolarmente flessibile della stessa.
In tal caso, ai sensi del citato art. 1839 del Codice civile, “nel servizio delle cassette di sicurezza la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito”: invero, stante la natura di “custode qualificato” della banca, la sua responsabilità per la sorte degli oggetti riposti nelle cassette di sicurezza è ben maggiore di quella sopra esposta che grava sull’ordinario depositario, potendo la banca liberarsi dalla responsabilità nella sola ipotesi del caso fortuito.
A differenza del deposito, tuttavia, il contratto relativo alle cassette di sicurezza è un contratto consensuale, che, dunque, si perfeziona al momento della manifestazione del consenso, attenendo la consegna alla mera fase esecutiva del contratto: in altre parole, è come se il cliente “locasse” la cassetta di sicurezza, per poi disporne, riponendovi i propri beni, quando e se lo riterrà utile.
Si precisa che la banca non può verificare il contenuto della cassetta di sicurezza del proprio cliente, salvo rari casi in cui dovrà consentire l’apertura della stessa anche in assenza del cliente (ad esempio, su ordine del giudice).
Ai sensi dell’art. 1840 del Codice civile, “se la cassetta è intestata a più persone, l’apertura di essa è consentita singolarmente a ciascuno degli intestatari, salvo diversa pattuizione. In caso di morte dell’intestatario o di uno degli intestatari, la banca che ne abbia ricevuto comunicazione non può consentire l’apertura della cassetta se non con l’accordo di tutti gli aventi diritto o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria”.
Il principio generale che emerge dalla norma, dunque, è quello per cui l’apertura della cassetta di sicurezza non può prescindere dalla volontà in tal senso del cliente (o di tuti i clienti, in caso di loro pluralità), tuttavia, il Codice prevede, altresì, l’ipotesi dell’apertura forzata della cassetta di sicurezza, al successivo art. 1841, ai sensi del quale “quando il contratto è scaduto, la banca, previa intimazione all’intestatario e decorsi sei mesi dalla data della medesima, può chiedere al tribunale l’autorizzazione ad aprire la cassetta. L’intimazione può farsi anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento. L’apertura si esegue con l’assistenza di un notaio all’uopo designato e con le cautele che il tribunale ritiene opportune. Il tribunale può dare le disposizioni necessarie per la conservazione degli oggetti rinvenuti e può ordinare la vendita di quella parte di essi che occorra al soddisfacimento di quanto è dovuto alla banca per canoni e spese”.
