Premessa
Ai sensi dell’art. 462, comma 1, del Codice civile, “sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione”: la capacità di succedere (cioè l’idoneità ad acquistare mortis causa), dunque, si pone come corollario della capacità giuridica, con la conseguenza che nessuno può esserne privato.
Il Codice civile prevede, tuttavia, alcune ipotesi specifiche di incapacità relativa a succedere, per tali intendendosi delle circostanze, tassative, in presenza delle quali un soggetto non può succedere ad uno specifico altro soggetto.
Tra tali ipotesi di incapacità relativa a succedere, sono annoverabili le fattispecie di cui agli artt. da 596 a 599 del Codice civile, l’indegnità a succedere ex art. 463 del Codice civile e la sospensione dalla successione ex art. 463-bis del Codice civile.
Tra le fattispecie ricordate deve, poi, essere effettuata una bipartizione, in quanto l’incapacità del protutore, del notaio, dei testimoni, dell’interprete e di colui che ha scritto o ricevuto il testamento (artt. 596 e seguenti del Codice civile) non è superabile per volontà del testatore, salvo che nei modi e nei termini specificamente dettati dalle norme; viceversa, l’incapacità a succedere dell’indegno o di colui che è stato sospeso dalla successione può essere superata, se ciò risponde ai desiderata del testatore, tramite l’istituto della riabilitazione dell’indegno, disciplinato dall’art. 466 del Codice civile, al quale è dedicato il presente contributo.
La riabilitazione in generale
Ai sensi dell’art. 466 del Codice civile, “1. Chi è incorso nell’indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento. 2. Tuttavia l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria”.
La norma, dunque, attribuisce rilevanza giuridica alla volontà dell’offeso di perdonare l’offensore ed in forza di tale volontà il de cuius riammette l’indegno alla propria successione ereditaria.
Tale volontà si fonda sul sentimento del perdono e ciò produce due importanti conseguenze.
In primo luogo, in deroga ad uno dei principi fondamentali della volontà testamentaria (cioè, il principio di revocabilità, come sancito dall’art. 679 del Codice civile), la riabilitazione è, secondo opinione ormai pacifica, irrevocabile, salvo quanto infra precisato.
In secondo luogo, la riabilitazione può operare solo in relazione a fatti già verificati e conosciuti dal testatore, non invece con riguardo a fatti non ancora verificati, o già verificati ma ancora sconosciuti al testatore: in tal senso, infatti, non è ammessa una riabilitazione “generica” (in altri termini, non sarebbe, ad esempio, ammissibile una disposizione con cui Tizione prevede di riabilitare il figlio Tizio da qualsiasi causa di indegnità in cui Tizio dovesse incorrere nei confronti del padre fino al momento della di lui morte). Da ciò discende, poi, che gli effetti dell’indegnità a succedere non possono essere evitati se derivano da fatti contemporanei o successivi alla morte (si pensi al caso del figlio che uccide il padre o ne distrugge il testamento dopo la sua morte: in questi casi è chiaro che il figlio non potrà mai ricevere il perdono del padre, e, per quanto qui d’interesse, la riabilitazione).
L’atto di riabilitazione, ad ogni modo, sebbene trovi la propria giustificazione morale nella volontà di perdonare, non coincide non l’atto del perdono, non costituendo una mera dichiarazione atipica di sentimento, ma un autonomo negozio giuridico tipico, avente proprie caratteristiche e specifici effetti. In altri termini, ad esempio, la mera dichiarazione testamentaria di volere perdonare il proprio figlio per il tentato omicidio ai propri danni non fa in alcun modo venire meno l’indegnità a succedere del colpevole.
La riabilitazione è un negozio che incide in via diretta sul regolamento successorio e, di conseguenza, produce effetti giuridici solo a decorrere dalla morte del de cuius, poiché solo in tale momento si concretizza la delazione dell’indegno.
Poste queste comuni premesse, come emerge dalla lettera dell’art. 466 del Codice civile, come sopra riportato, la riabilitazione può essere realizzata, in concreto, in due diversi modi, dovendosi, invero, distinguere sia sotto il profilo della struttura sia sotto il profilo degli effetti, tra riabilitazione espressa e riabilitazione tacita.
La riabilitazione espressa
La riabilitazione espressa (o riabilitazione in senso tecnico), ricondotta alla previsione del primo comma dell’art. 466 del Codice civile, è un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, personalissimo, post mortem, formale ed irrevocabile.
In relazione, infine, all’irrevocabilità della riabilitazione espressa, la dottrina si è tradizionalmente interrogata in merito alla sorte della riabilitazione
Trattandosi di un negozio personalissimo, dunque, non ammette rappresentanza (né legale, né volontaria) e può solo rivolgersi ad un soggetto determinato. D’altro canto, la riabilitazione non è anche negozio necessariamente unipersonale ed autonomo, quindi, qualora sia fatta per atto pubblico, è valida anche qualora intervengano all’atto altri soggetti e/o sia inserita in un più ampio contesto, contente altre manifestazioni negoziali riconducibili ad altri soggetti.
Secondo autorevole dottrina, poi, la riabilitazione è un atto non patrimoniale, in quanto le conseguenze patrimoniali dell’atto (cioè, la devoluzione dell’eredità del defunto in favore dell’indegno riabilitato) sono meramente indirette, rispetto alla natura e al significato della riabilitazione: a fini esplicativi, si osserva che il soggetto riabilitato in un testamento, qualora alla riabilitazione non segua un’espressa istituzione ereditaria in suo favore, alla morte del testatore viene chiamato a succedergli per legge, non per testamento (in altri termini, la riabilitazione si limita ad eliminare un “ostacolo legale”, cioè l’indegnità, alla delazione ereditaria).
Coerentemente, la riabilitazione espressa, anche quando contenuta in un testamento, non è una disposizione mortis causa (cioè, non è sorretta dalla causa di disporre delle sostanze del testatore per il tempo in cui avrà cessato di vivere), ma rientra nel cosiddetto contenuto atipico del testamento (art. 587, comma 2, del Codice civile), con efficaciapost mortem.
Si precisa, poi, che la riabilitazione ha natura di atto non recettizio anche se formulata fuori dal testamento (con atto tra vivi, alla presenza di due testimoni), pertanto, nemmeno in questo caso deve essere comunicata o notificata al soggetto interessato.
Da ultimo, la riabilitazione espressa è un negozio formale, in quanto la volontà riabilitativa deve necessariamente essere manifestata in modo espresso con atto pubblico o testamento. Sul punto si precisa che, secondo opinione unanime, non occorre il rispetto di formule sacramentali, ma devono emergere in modo chiaro ed inequivoco i due elementi essenziali del negozio, consistenti nella consapevolezza della specifica causa di indegnità e nella volontà di riabilitare l’indegno. Di conseguenza, la dottrina afferma l’inammissibilità della riabilitazione per facta concludentia, a tal fine, ad esempio, sostenendo che la donazione in favore dell’indegno, sebbene nella consapevolezza della sua indegnità, non ne implica la riabilitazione.
La natura negoziale della riabilitazione, poi, rende applicabili le cause di invalidità della medesima per vizio della volontà, cioè errore, violenza e dolo: tuttavia, accogliendo l’opinione di autorevole dottrina notarile sul punto, si deve affermare che, nel caso della riabilitazione, tali vizi non comportano l’annullabilità del negozio (come previsto ex artt. 1427 e seguenti del Codice civile in materia di contratto in generale), ma la radicale nullità della riabilitazione: invero, accogliendo l’opposta tesi dell’annullabilità della riabilitazione affetta da un vizio del consenso, si finirebbe per rendere possibile a soggetti diversi dal defunto, mediante la convalida, di porre in essere l’atto di riabilitazione, che, invece, deve necessariamente dipendere, in via esclusiva, da un’espressa e valida volontà del defunto.
Tra l’altro, in forza della medesima ratio, gli stessi Autori concordano nel considerare inapplicabile alla riabilitazione nulla perché affetta da un vizio del consenso la possibilità di conferma generalmente prevista per tutte le disposizioni testamentarie nulle dall’art. 590 del Codice civile.
Alla stessa conclusione può pervenirsi in caso di riabilitazione proveniente da soggetto incapace, tranne che si tratti di soggetto privo di capacità d’agire (o avente capacità di agire limitata), ma in possesso della capacità di testare: è infatti valida la riabilitazione contenuta nel testamento dell’inabilitato, o dell’interdetto legale, mentre è da considerarsi nulla (e non annullabile) la riabilitazione fatta dal soggetto incapace di testare ex art. 591 del Codice civile.
In relazione, infine, all’irrevocabilità della riabilitazione espressa, la dottrina è unanime nel sostenere che la riabilitazione rimane efficace anche in caso di revoca del testamento in cui la stessa è inserita. È, invece, è tradizionalmente discussa la sorte della riabilitazione contenuta all’interno di un testamento speciale (cioè ricevuto nelle forme di cui agli artt. 609 e seguenti del Codice civile), che abbia perso efficacia ex art. 610 del Codice civile, essendo trascorsi tre mesi dalla cessazione della causa che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie di testamento: in questo caso, invero, alcuni Autori hanno sostenuto che l’irrevocabilità della riabilitazione non varrebbe a salvarne l’efficacia, in quanto il ricordato art. 610 del Codice civile fa riferimento, appunto, ad un’ipotesi di inefficacia sopravvenuta, che è cosa diversa dalla revoca.
La riabilitazione parziale o tacita
Fattispecie diversa da quella finora analizzata, sia sotto il profilo della struttura che sul piano degli effetti, è quella delineata dal sopra riportato secondo comma dell’art. 466 del Codice civile, definita in dottrina e giurisprudenza riabilitazione parziale o tacita.
Contrariamente a tutto quanto sopra osservato con riferimento alla riabilitazione espressa, invero, la cosiddetta riabilitazione tacita non è una dichiarazione testamentaria atipica non patrimoniale, bensì un’ordinaria disposizione mortis causa, cioè una disposizione con cui il testatore dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere, che, quindi, può avere solo la forma dell’istituzione ereditaria o del legato.
Di conseguenza, a tale disposizione si applica l’intera disciplina dettata dal Codice civile con riferimento alle disposizioni testamentarie: è, dunque, una disposizione revocabile, nulla nei soli casi di cui all’art. 606 del Codice civile e meramente annullabile se affetta da vizi diversi, confermabile ex art. 590 del Codice civile, se nulla.
La peculiarità della disposizione in oggetto consiste, dunque, nella circostanza che si tratta di un lascito disposto in favore dell’indegno, dal quale emerge, in modo inequivoco, la consapevolezza del testatore in ordine alla causa di indegnità: tale consapevolezza, nel caso in esame, non fa venire meno gli effetti dell’indegnità, ma consente di attribuire efficacia a quella specifica disposizione testamentaria in favore dell’indegno. In altre parole, l’indegno rimane tale, con le conseguenze giuridiche che da ciò derivano, ma, anche qualora sia dichiarata la sua indegnità, non perderà quanto attribuitogli con la specifica disposizione in suo favore.
