LA REVOCA DEL TESTAMENTO:
DISCIPLINA E CASI PRATICI
Introduzione.
Tra i principi fondamentali che regolano il negozio testamentario, la revocabilità occupa un posto centrale. Il testamento, quale espressione della volontà del de cuius destinata a produrre effetti solo dopo la morte, deve necessariamente rimanere soggetto alla più ampia libertà di modifica da parte del testatore. L’art. 679 del Codice civile sancisce infatti il principio secondo cui il testatore può revocare in ogni tempo le disposizioni di sua ultima volontà. Si tratta di una regola inderogabile, espressione di un principio di ordine pubblico, il cui fine è tutelare la spontaneità e l’attualità della volontà testamentaria. In altri termini, l’ordinamento riconosce al testatore una piena autonomia nel determinare e modificare, anche ripetutamente, il contenuto delle proprie disposizioni di ultima volontà.
Natura giuridica e ambito di applicazione.
La revoca del testamento è un negozio giuridico unilaterale, mortis causa, non recettizio, accessorio rispetto al testamento e a contenuto essenzialmente negativo.
Essa non comporta un trasferimento patrimoniale, ma incide sull’efficacia di un precedente atto testamentario, privandolo in tutto o in parte dei suoi effetti. Si distingue quindi dal testamento stesso, in quanto non esprime una volontà dispositiva, ma esclusivamente eliminativa.
Nonostante la sua apparente semplicità, l’istituto della revoca è particolarmente delicato, poiché implica una nuova dichiarazione di volontà del testatore e può generare dubbi interpretativi, specie in presenza di più testamenti successivi.
La revoca può essere totale, cioè riferita all’intero testamento, oppure parziale, nel caso in cui colpisca solo singole disposizioni o anche elementi accessori delle stesse. Ad esempio, è possibile revocare esclusivamente un legato, lasciando inalterata la restante parte del testamento.
Un caso interessante riguarda la revoca della revoca. Secondo una tesi minoritaria, tale operazione non costituirebbe una revoca in senso proprio, ma piuttosto darebbe vita ad una nuova disposizione testamentaria che riproduce il contenuto della volontà precedentemente annullata. Tuttavia, la dottrina prevalente ritiene che la revoca della revoca configuri un autonomo negozio giuridico, che comporta la reviviscenza del testamento originariamente revocato. Tale effetto si produce ex tunc, ossia come se la revoca precedente non fosse mai avvenuta.
Forme della revoca.
La revoca espressa.
L’art. 680 del Codice civile prevede che la revoca del testamento possa avvenire esclusivamente tramite un nuovo testamento o mediante un atto pubblico ricevuto da notaio con le forme previste per i testamenti. Il legislatore, dunque, impone requisiti formali precisi, proprio al fine di evitare che un atto di tale rilievo possa essere frutto di leggerezza o impulso momentaneo. L’atto pubblico redatto dal notaio, sebbene formalmente strutturato come atto inter vivos, conserva la natura di atto mortis causa, poiché destinato a produrre effetti solo dopo la morte del disponente.
La revoca espressa può essere condizionata, mentre non è ammesso apporvi un termine. Invero, la condizione, sospensiva o risolutiva, è ritenuta compatibile con la natura della revoca, a condizione che sia chiaramente espressa. Diversamente, l’apposizione di un termine risulta incompatibile con la funzione del testamento, che per sua natura produce effetti solo al momento della morte del testatore. Un esempio potrebbe aiutare a comprendere meglio: se Tizio dichiara di revocare il proprio testamento solo se entro due anni non dovesse riconciliarsi con il figlio, tale condizione è ammissibile. Se invece dichiara di revocare il testamento solo fino a una certa data, la clausola è nulla.
Revoca tacita.
Oltre alla revoca espressa, il nostro ordinamento riconosce la revoca tacita, che si realizza attraverso comportamenti del testatore incompatibili con la volontà precedentemente manifestata. Si tratta di una revoca desumibile indirettamente, in via interpretativa. Le ipotesi più ricorrenti sono quattro.
Anzitutto, il caso del testamento posteriore: quando il testatore redige un nuovo testamento, le disposizioni in esso contenute che risultino incompatibili con quelle del precedente documento testamentario determinano la revoca tacita di quest’ultime. L’incompatibilità non deve essere necessariamente esplicita, ma può anche essere solo logica o materiale.
Un secondo caso è rappresentato dalla distruzione, cancellazione o lacerazione volontaria del testamento olografo. Si tratta di un comportamento che, secondo il Codice civile, produce una presunzione di revoca. Tuttavia, trattandosi di presunzione semplice, essa può essere superata con prova contraria. Ad esempio, se si dimostra che il testatore ha distrutto il testamento per errore o sotto costrizione, la revoca non ha luogo.
Una terza ipotesi è quella del ritiro del testamento segreto. Se il documento non può valere come testamento olografo, il ritiro volontario dal notaio determina la perdita di efficacia del testamento stesso.
Infine, la revoca tacita può derivare dall’alienazione del bene oggetto di un legato. L’art. 686 del Codice civile stabilisce che la disposizione testamentaria si intende revocata se il testatore ha alienato la cosa legata, a meno che non si tratti di una vendita forzata o viziata da errore. La ratio sottesa a tale disposizione è che la volontà di disporre del bene in vita sia incompatibile con l’intenzione di trasmetterlo mortis causa.
Revoca legale.
Esiste infine una forma di revoca che non dipende dalla volontà del testatore, ma opera automaticamente in forza di legge: la cosiddetta revoca ope legis.
Si tratta della revoca per sopravvenienza di figli, disciplinata dall’art. 687 del Codice civile. Secondo tale disposizione, il testamento redatto da chi non aveva figli o discendenti perde efficacia se successivamente sopraggiungono figli, anche adottivi o riconosciuti successivamente per via giudiziale. Il legislatore, in questo caso, presume che il testatore non avrebbe disposto in quel modo se avesse saputo della presenza di un figlio. La revoca non opera tuttavia automaticamente in ogni caso: essa può essere esclusa se il testatore ha fatto espressa menzione della eventualità della sopravvenienza e ha comunque inteso confermare le proprie disposizioni.
I limiti alla revocabilità.
Il principio della revocabilità testamentaria, pur essendo ampio, incontra alcuni limiti.
Anzitutto, non è possibile rinunciare in anticipo al potere di revoca: ogni clausola con la quale il testatore dichiari di non voler mai modificare le proprie disposizioni è da considerarsi nulla. Lo stesso dicasi per i patti successori istitutivi, vietati dall’art. 458 del Codice civile, proprio in quanto ostacolano la libertà del testatore di mutare le proprie volontà.
Vi sono poi alcune ipotesi particolari in cui determinati atti contenuti nel testamento non sono soggetti a revoca. Si pensi al riconoscimento di figlio, alla confessione stragiudiziale: si tratta di atti che, pur se inseriti in un documento testamentario, non sono soggetti alla disciplina propria del testamento, poiché hanno una disciplina autonoma e producono effetti immediati e irrevocabili. L’unica disposizione strettamente mortis causa che non può essere revocata è la riabilitazione espressa dell’indegno (art. 466, comma 1, del Codice civile): in questo caso, la ratio dell’esclusione della revoca è da rinvenirsi nell’intrinseca irretrattabilità del sentimento di perdono che sorregge la riabilitazione.
Conclusioni.
La revoca del testamento rappresenta dunque una delle manifestazioni più evidenti della libertà testamentaria garantita al disponente dal nostro ordinamento. Essa assicura che il testamento non diventi mai un vincolo fisso, ma possa essere liberamente modificato ogniqualvolta il testatore ritenga opportuno aggiornare le proprie volontà, fino all’ultimo istante della sua vita. La varietà delle forme di revoca, dalle più formali alle più implicite, impone tuttavia una grande attenzione nella redazione e conservazione degli atti di ultima volontà. Il ruolo del notaio, in questo senso, è fondamentale per orientare il disponente nella scelta dello strumento più adeguato e per prevenire possibili contenziosi tra gli eredi. Comprendere appieno le implicazioni della revoca, tanto nella teoria quanto nella prassi applicativa, significa pertanto, in ultima analisi, contribuire a dare effettività alla volontà testamentaria e garantire un ordinato svolgimento della successione.
