IL PEGNO SU QUOTE DI SOCIETA’ DI PERSONE
IL PEGNO COME STRUMENTO DI TUTELA PER I CREDITORI SOCIALI
L’art. 2784 codice civile delinea il pegno come uno strumento di tutela a uso del creditore, costituibile su beni mobili, crediti e diritti aventi per oggetto beni mobili. Generalmente, il pegno, si costituisce mediante lo spossessamento del bene, nel caso di bene mobile, o del documento rappresentativo del credito, nel caso di crediti, tramite la consegna che debitore fa al creditore, oppure con la consegna a un terzo designato dalle parti. Il pegno è un diritto reale di garanzia che attribuisce al suo titolare il potere di alienare il bene che ne forma oggetto e di soddisfarsi sul ricavato della vendita con preferenza rispetto ad altri creditori, oppure di ottenere l’assegnazione del bene stesso in luogo del pagamento del credito garantito. Inoltre, la disciplina del pegno prevede che se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la possibilità di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale.
MANCANZA DI UNA DISICIPLINA NORMATIVA SPECIFICA
Il legislatore, tuttavia, non prevede una norma specifica che disciplini l’ipotesi del pegno su quote di società di persone. Infatti, il codice civile disciplina solo il pegno su azioni ex. art. 2352 codice civile e su quote di s.r.l. ex art. 2471-bis codice civile. La dottrina anteriore al codice del 1942 aveva escluso aprioristicamente l’ammissibilità del pegno di quota di società di persone, proprio perché questa non veniva fatta rientrare nella categoria dei beni mobili o universalità di mobili, né in quella dei crediti e altri diritti aventi ad oggetto beni mobili. Con l’entrata in vigore del nuovo codice, si è assistito in dottrina ad una maggior apertura verso l’applicazione dell’istituto del pegno anche alle società di persone che ad oggi appare all’unanimità ammesso, se pur in base a variegate ricostruzioni teoriche e con l’applicazione delle dovute cautele.
NATURA DELLE SOCIETA’ DI PERSONE: EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE
Alla base di tali differenze vi è ovviamente il problema sulla natura della società di persone che in dottrina si sono riscontrate e ancora trovano riscontro. Particolare seguito ha avuto la teoria che individua nella quota di s.n.c. un quid attributivo del c.d. status socii.
Ciò sta a significare che il socio, acquistando tale status, diventa titolare di una pluralità di diritti, obblighi e doveri che si accompagnano in via inscindibile all’acquisto della quota stessa. Tale ricostruzione, tuttavia, non permette di elevare in automatico tale situazione complessa di diritti e doveri ad autonomo bene giuridico. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza, al contrario, ha in passato proposto di interpretare in senso estensivo il principio, a suo tempo, sulla quota di s.r.l. quale bene immateriale.
Tuttavia, tale ipotesi, si scontrava inevitabilmente con due insormontabili problemi, ovvero:
- l’impossibilità di configurare nelle società di persone il momento dell’iscrizione nel libro soci;
- la sostanziale differenza tra il carattere intimistico e personalistico che caratterizza le quote di società di persone rispetto al carattere fluido e maggiormente circolatorio delle quote di società di capitali.
In senso negativo va, altresì, ricordata una sentenza della Corte di Cassazione secondo cui la quota di società di persone “non rappresenta un bene a sé stante, suscettibile di formare oggetto di diritto e del quale si possa disporre come qualsiasi altro bene mobile e suscettibile perciò di proprietà e possesso”. Tale impostazione porta a considerare la società come una comunione di beni e di conseguenza la partecipazione del socio viene assimilata alla partecipazione del comunista alla gestione dei beni sociali.
Secondo la Giurisprudenza più recente, invece, la quota di società di persone può formare oggetto di diritti ai sensi dell’art. 810 codice civile, in quanto rientrerebbe nella categoria residuale dei beni mobili immateriali di cui all’art. 812, 3° comma, codice civile.
Pertanto, secondo tale impostazione si può osservare che, così come la quota sociale è alienabile, allo stesso modo essa può diventare oggetto di atti di disposizione “minori”, quali la costituzione di diritti reali minori poiché la partecipazione in società di persone è considerata res mobile.
Di recente, la Cassazione ha ribadito che le quote sociali, sia delle società di capitali che delle società di persone, rappresentano posizioni contrattuali obiettivate, suscettibili, come tali, di essere negoziate poiché dotate di un autonomo valore di scambio che consente di qualificarle come beni giuridici. Nonostante tali discussioni, tuttavia, è indubbia l’idoneità delle quote a essere oggetto di atti dispositivi: vendite, donazioni, permute, e così via.
Ciò a prescindere dal fatto che le si voglia inquadrare o meno come beni mobili, in quanto si prestano ad essere oggetto seppur mediato di contratto. Per tale ragione il pegno, e allo stesso modo l’usufrutto, su quota di società di persone sono, al giorno d’oggi, generalmente ammessi da dottrina e giurisprudenza.
TEORIE SULLE MODALITÀ DI COSTITUZIONE DEL PEGNO
Assodata l’astratta configurabilità del pegno su quote di società di persone assume maggiore importanza il problema riguardante la modalità con cui esso vada costituito. In dottrina sono ravvisabili due teorie.
Una prima teoria, sostenuta anche dalla giurisprudenza di merito, sostiene che, partendo dal presupposto che le quote delle società di persone non sono un mero diritto di credito, bensì un complesso di diritti ed obblighi che, non incorporati in un documento circolano con le modalità previste dall’art. 1406 codice civile, queste sarebbero suscettibili di pegno nelle forme dell’art. 2806 codice civile.
Secondo tale impostazione, infatti, il pegno verrebbe a costituirsi nelle stesse forme previste per il trasferimento della quota ovvero previo il consenso di tutti i soci o con le maggioranze eventualmente previste nei patti sociali. La responsabilità illimitata dei soci di s.n.c. e dei soci accomandatari di s.a.s., unita al carattere intimistico e personalistico di tali modelli societari, impongono, infatti, l’assoluta unanimità dei consensi degli altri soci, salvo il caso in cui non siano stati gli stessi soci, in sede di costituzione, a prevedere maggioranze specifiche in casi simili. Al contrario, in ambito di s.a.s., nel caso in cui il pegno dovesse essere costituito sulla quota di un socio accomandante, sarebbe sufficiente il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale, visto il disposto dell’art. 2322, 2° comma codice civile.
Una seconda teoria ritiene, invece, sufficiente la costituzione del pegno mediante atto scritto con notifica o accettazione del legale rappresentante della società in applicazione dell’art. 2800 codice civile, assimilando il pegno alla quota rispetto al pegno di credito. Tale teoria, tuttavia, presta il fianco all’obiezione che in tali casi si permetterebbe l’ingresso all’interno della società a terzi estranei senza il consenso dei soci, sia esso previsto nello statuto che prestato in occasione della costituzione del pegno stesso.
Secondo tale tesi, il pegno sulla quota sarà possibile solo nel caso in cui ciò sia stato preventivamente previsto nello statuto, o mediante le maggioranze previste a tal fine dallo statuto o, in ultima ipotesi, mediante consenso unanime di tutti i soci.
