APPORTI A PATRIMONIO DI BENI IN NATURA NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI SENZA AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE E NECESSITA’ O MENO DELLA RELAZIONE GIURATA DI STIMA
INTRODUZIONE
L’apporto in società, sia esso in denaro o in natura, si caratterizza per una funzione economica analoga a quella del conferimento, in quanto rappresenta una delle forme attraverso cui i soci o i terzi che vogliono entrare in società dotano la stessa di risorse per svolgere la propria attività di impresa. Pertanto, anche se appartenenti all’ambito degli strumenti di raccolta, essi si distinguono nettamente dai conferimenti, in quanto il loro eventuale ingresso a titolo definitivo nel patrimonio sociale non implica necessariamente un’imputazione a capitale: essi rappresentano invece in tal caso riserve, come tali non soggette in alcun modo alle regole che sovrintendono alla formazione, incremento e riduzione del capitale.
Di questo argomento si è occupato un importante studio nel Consiglio Notarile Nazionale nel 2015 (276/2015.I).
AMMISSIBILITA’ DEGLI APPORTI A PATRIMONIO DI DENARO O BENI IN NATURA SENZA AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE
In dottrina è stata oggetto di disputa l’ammissibilità di prevedere nelle società di capitali degli apporti a patrimonio senza deliberare contestualmente l’aumento a titolo oneroso del capitale sociale.
Gli apporti in denaro ed in natura non sono disciplinati espressamente dal legislatore, ma non è possibile dubitare della loro liceità, visto che nessuna norma o principio societario e civilistico li impedisce.
Anche una recente autorevole dottrina ha asserito che: “pare che nulla vieti ai soci di destinare situazioni soggettive attive a servizio dell’iniziativa collettiva speculativa, escludendo che i valori della situazioni destinate siano computati nel capitale nominale; così incrementando il patrimonio netto, senza incrementare il capitale nominale”. Traccia della loro ammissibilità si trova inoltre in una norma fiscale, l’art. 88, 4° comma, TUIR, secondo cui: “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società“.
La norma fiscale in commento non solo indirettamente corrobora la ricostruzione civilistica in corso di svolgimento, ma addirittura rappresenta un incentivo al ricorso a tali strumenti, sancendo un principio di neutralità della fattispecie.
RELAZIONE GIURATA DI STIMA: E’INDISPENSABILE O NO?
Una volta risolto il dubbio sull’ammissibilità degli apporti in denaro o in natura a patrimonio senza contestuale aumento del capitale sociale, possiamo tentare di capire se ogni volta in cui un socio si renda disponibile ad apportare, spontaneamente e definitivamente, un bene in natura nel patrimonio sociale, sia sempre e comunque indispensabile applicare per analogia la disciplina dei conferimenti e quindi far predisporre una relazione giurata di stima secondo le regole previste dagli artt. 2343 ss. e 2465 codice civile.
Nella prassi occorre distinguere tra le varie ipotesi di apporti a patrimonio, poiché in alcuni casi è necessaria mentre in altri no.
IPOTESI IN CUI E’ NECESSARIA LA RELAZIONE DI STIMA
Ad esempio, ogni qual volta un socio o un soggetto terzo che aspira ad entrare in società apporta beni in natura a patrimonio e ha come obiettivo quello di destinarli ad un preciso scopo ovvero investirli per una specifica finalità, allora la dottrina è unanime a ritenere che sia necessario predisporre una relazione di stima ai sensi degli artt. 2343 o 2365 codice civile, a seconda che ci troviamo nell’ambito di S.p.a. o di S.r.l..
In questi casi non si può prescindere dalla relazione di stima perché quegli apporti prima o poi finiranno per essere imputati ai fini dell’aumento del capitale sociale.
In analoga direzione potrebbero svolgersi alcune considerazioni circa gli acquisti pericolosi ai sensi degli articoli 2343 bis e 2465, 2° comma, codice civile.
Questa fattispecie, infatti, richiede che l’acquisto di beni a titolo oneroso da parte di una società, sia supportato in determinate circostanze ovvero da requisiti soggettivi del venditore e presupposti quantitativi dell’operazione, che, come tali, richiedono il supporto di una perizia giurata di stima, anche se l’applicazione delle specifiche cautele è circoscritta ai primi due anni di vita della società.
IPOTESI IN CUI NON E’ NECESSARIA LA RELAZIONE DI STIMA
Quando, invece, l’intenzione dei soci o dei terzi è solo quella di apportare meri incrementi al patrimonio della società, senza investirli per un determinato scopo, la dottrina prevalente ha ritenuto che non sia necessaria una relazione di stima per la loro valutazione.
In questo caso, infatti, si creano soltanto delle passività reali ovvero un indebitamento, ragion per cui non è necessaria una previa stima.
Pertanto, non vi è necessità di prevedere una relazione di stima quando l’apporto si realizza nell’ambito di un programma negoziale che esclude espressamente l’imputabilità a capitale della possibile riserva emergente, in quanto la permanente destinazione della riserva esclude qualsiasi rischio.
Altra ipotesi frequente è quella in cui le parti, nel momento in cui è effettuato l’apporto spontaneo, non hanno stilato un programma negoziale che preveda un futuro aumento di capitale ovvero i cd. versamenti a fondo perduto o i cd. versamenti in conto capitale.
Tali versamenti entrano a far parte del netto, che si caratterizza per l’oggetto dell’apporto diverso dal denaro, pertanto non è richiesta una perizia di stima.
Infatti, nel caso di apporti spontanei, non è necessaria alcuna perizia di stima ad eccezione dell’ipotesi in cui le parti sin dall’ inizio manifestano la loro intenzione di una successiva imputazione a capitale. Allora, in questi casi, visto lo scopo finale dell’operazione, non si può prescindere dal predisporre una previa relazione di stima al fine di valutare i beni apportati, che in futuro diverranno dei veri e propri conferimenti.
