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Il contenuto patrimoniale del testamento

Ai sensi dell’art. 587 comma 1, c.c., il testamento “è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”: tale comma si riferisce al contenuto patrimoniale del testamento, che può avere natura attributiva, ovvero non attributiva. Nella prima categoria, rientrano le istituzioni a titolo universale (in quota, ovvero ex re certa), mentre la seconda categoria si riferisce alla diseredazione, alla dispensa da collazione e imputazione ex se e, per chi l’ammette, considerandolo un atto mortis causa a struttura inter vivos, la revoca dalla dispensa da collazione e imputazione ex se.

Il contenuto non patrimoniale del testamento.

Il testamento, poi, può avere anche un contenuto di tipo non patrimoniale, come espressamente previsto dal secondo comma dell’art. 587 cit., il quale fa espresso riferimento a “le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento […]”: si tratta, dunque, delle disposizioni non patrimoniali tipiche (appunto, previste, tipizzate, dalla legge), le quali, tuttavia, non sono le uniche disposizioni non patrimoniali ammissibili, essendovi spazio anche per disposizioni non patrimoniali atipiche.

Le disposizioni non patrimoniali tipiche.

Cinque sono le disposizioni non patrimoniali tipiche che possono essere contenute in un testamento, cioè: il riconoscimento di figlio, nomina di tutore o protutore, nomina di un curatore speciale ex art 356 c.c., nomina di un esecutore testamentario, clausola arbitrale.

Il riconoscimento di figlio.

Il riconoscimento di figlio può essere contenuto in un testamento, per espressa previsione dell’art. 254 c.c. e costituisce un atto giuridico in senso stretto, avente natura di atto post mortem, non mortis causa.

Sotto il profilo del contenuto, ai sensi dell’art. 257 c.c., il riconoscimento deve essere puro, dunque, è inammissibile l’apposizione di elementi accidentali, quali condizioni, termini o oneri; è altresì inammissibile il riconoscimento parziale.

Il riconoscimento di figlio è, poi, una disposizione testamentaria del tutto sui generis, in quanto costituisce una importante deroga ad uno dei quattro principi generali della volontà testamentaria, cioè la revocabilità: il riconoscimento, invero, ex art 256 c.c., è irrevocabile e rimane, tra l’altro, efficace anche qualora contenuto in un testamento speciale, il quale abbia perso efficacia ai sensi e per gli effetti dell’art. 610 c.c.

Infine, il principio generale è quello per cui il riconoscimento del figlio è sempre ammesso, in quanto, generalmente, risponde sempre ad un interesse del riconosciuto, essendo, per converso, precluso soltanto quando rischierebbe di danneggiare il riconosciuto, il che avverrebbe se fosse ammesso il riconoscimento di figlio adulterino anche in contrasto con lo stato di figlio già sussistente: tuttavia, la sussistenza di uno status di figlio in contrasto con il riconoscimento può essere valutato solo all’apertura della successione del testatore, pertanto la disposizione sarà medio tempore ricevibile nel testamento. Discusso è, piuttosto, quale sia la sorte del riconoscimento nel caso in cui il contrasto con lo stato di figlio già dichiarato sussista ancora all’apertura della successione, essendo state sostenute sia la teoria della nullità, sia quella dell’inefficacia della disposizione.

La nomina di un tutore o protutore o amministratore di sostegno.

La nomina per testamento è espressamente ammessa dagli artt. 348 (per tutore e protutore) e 408 (per l’amministratore di sostegno) c.c., con la precisazione che il caso di nomina di tutore e protutore del minore la nomina può essere fatta solo dal genitore che è l’ultimo ad avere esercitato la responsabilità genitoriale, costituendo tale circostanza condizione di efficacia del riconoscimento.

È pure testualmente previsto dalle norme citate che la nomina fatta dal testatore è vincolante per il giudice tutelare, ma non in assoluto, potendo egli discostarsi dalla volontà del testatore qualora sussistano gravi motivi che lo impongono.

È altresì ammessa la possibilità per il testatore di escludere un soggetto dal novero di coloro che possono essere nominati tutore, protutore o amministratore di sostegno di un determinato soggetto: tuttavia, l’esclusione rientra tecnicamente tra le disposizioni testamentarie non patrimoniali atipiche, in quanto gli artt. 350 n.2 e 411 comma 3 c.c. fanno solo generico riferimento alla necessità che l’esclusione sia contenuta in un “atto scritto”, tra i quali la dottrina fa dunque rientrare anche il testamento.

L’esclusione, poi, si distingue dalla nomina altresì sotto il profilo dell’efficacia, in quanto l’esclusione è in assoluto vincolante per il giudice tutelare.

La nomina di un curatore speciale ex art 356 c.c.

La ratio della previsione dell’art. 356 c.c. è individuabile nella volontà del legislatore di riconoscere al testatore, o al donante, la possibilità di individuare il soggetto deputato ad amministrare quando lasciato per testamento o donato, nel caso in cui il legatario/donatario sia un minore (o nascituro), un interdetto o un beneficiario di amministrazione di sostegno, nel solo caso in cui il decreto di nomina dell’amministratore faccia integrale rinvio alla normativa sull’interdizione.

Si tratta, tra l’altro, di una norma di natura certamente eccezionale, dunque, non suscettibile di applicazione analogica e, pertanto, non applicabile in caso di donazioni indirette, ovvero se beneficiari siano soggetti parzialmente incapaci (come il minore emancipato, l’inabilitato o il beneficiario di amministrazione di sostegno, al di fuori della specifica ipotesi di cui sopra).
Il testatore o donatario, nominando il curatore speciale può, tra l’altro, dispensarlo dalla necessità di chiedere l’autorizzazione del giudice tutelare per compiere gli atti di straordinaria amministrazione: è tuttavia opinione consolidata quella per cui il testatore/donatario non ha la facoltà di derogare all’autorizzazione alla continuazione dell’impresa commerciale o a quella necessaria per la disposizione dei beni ereditari ex art. 747 c.p.c.

La nomina di un curatore speciale, poi, secondo autorevole dottrina, non comporta altresì l’esclusione dell’usufrutto legale del minore legatario/donatario su quanto legato/donato, essendo a tal fine necessaria una espressa previsione del testatore/donatario in tal senso, ammissibile, comunque, nei soli limiti della quota disponibile.

Infine, questione ad oggi ancora altamente controversa è se la nomina di un curatore speciale per testamento, nel caso in cui il beneficiario della disposizione sia un erede legittimario, costituisca o meno un peso, con conseguente applicazione, in caso di risposta affermativa, del divieto dell’art. 549 c.c.: la tesi negativa è stata sostenuta, tra gli altri, da Mengoni, il quale ha sottolineato che la nomina del curatore speciale è finalizzata ad una migliore gestione del bene legato, comportando, dunque, un vantaggio per l’incapace legatario.

La nomina di un esecutore testamentario.

Quello di esecutore testamentario è, secondo l’opinione prevalente in dottrina, un ufficio di diritto privato con fonte negoziale (il testamento) e disciplina legale (artt. 700 e ss. c.c.), che attribuisce all’esecutore un potere di amministrazione del patrimonio del testatore, che tuttavia non si spinge fino al compimento degli atti di straordinaria amministrazione, ai fini del compimento dei quali sarà comunque necessaria l’autorizzazione del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, ex art 747 c.p.c., che non serve solo se l’atto in questione sia stato espressamente previsto ed autorizzato del testatore.

Soggetto nominabile è chiunque abbia la piena capacità d’agire, inclusi, dunque, persone giuridiche e minore emancipato autorizzato all’esercizio dell’impresa commerciale ex art 397 c.c.

Oggetto di accesa controversia è stata, invece, per anni la possibilità di nominare esecutore testamentario il Notaio rogante il testamento, dovendosi valutare l’ammissibilità di tale disposizione alla luce degli artt. 597 c.c. e 28 L.N.

Secondo un primo orientamento, sostenuto dal Consiglio Nazionale del Notariato, la nomina del notaio rogante sarebbe ammissibile anche con la previsione di un compenso, a condizione che tale compenso possa essere definito “equo”; secondo altri, invece, solamente la nomina senza consenso avrebbe costituito una disposizione rispetto alla quale il Notaio non potesse considerarsi soggetto interessato.

La questione è stata tuttavia recentemente affrontata e risolta dalla Cassazione (sent. 17 gennaio 2023, n. 1174), la quale ha affermato che la nomina del Notaio rogante non è mai disposizione nulla ex art. 597 c.c., in quanto tale norma di applica solo alle disposizioni testamentarie patrimoniale, ma comporta responsabilità del Notaio ex art. 28 L.N., in quanto il Notaio avrebbe sempre un interesse all’atto, assicurandosi un futuro incarico.

Discussa è anche la natura del compenso eventualmente previsto in favore dell’esecutore. Sul punto, è stata proposta la distinzione tra compenso congruo e compenso sproporzionato, riconoscendo solo a quest’ultimo la natura di legato in senso tecnico.

La clausola arbitrale.

La clausola arbitrale è l’accordo con cui le parti devolvono le controversie relative all’interpretazione o all’attuazione di un determinato negozio giuridico (in questo caso, il testamento) ad un arbitro, o ad un collegio arbitrale.

Tale clausola può essere prevista per testamento, ma solo in via indiretta, tramite lo strumento giuridico dell’onere. È poi possibile per il testatore predeterminare il numero degli arbitri, mentre non è ammissibile che con il testamento siano nominati gli arbitri, stante l’inderogabilità dell’art. 810 c.p.c., che prevede che gli arbitri debbano essere nominati dalle parti.

Quanto all’oggetto, la clausola arbitrale testamentaria incontra due diversi limiti: il primo, quello della disponibilità dei diritti di cui trattasi; il secondo, quello del divieto di pesi e condizioni ex art. 549 c.c., potendo la clausola arbitrale operare nei soli limiti della quota disponibile.

Diversa è, infine, la cosiddetta condizione arbitrale, cioè la condizione che subordina, o fa cessare, l’efficacia di una disposizione testamentaria alla circostanza che le parti devolvano in arbitri le liti dalla stessa derivanti. Sul punto, è necessario distinguere tra condizione arbitrale sospensiva e risolutiva: irricevibile la prima, poiché rischia che il beneficiario, per ottenere il lascito, intenti una lite temeraria; ricevibile la secondo, che non espone ad un tale rischio.

Le disposizioni non patrimoniali atipiche.

Tra le disposizioni testamentarie non patrimoniali atipiche sono annoverabili quelle relative allo ius sepulchri, alla cremazione ed alla disposizione di organi.

Ius sepulchri.

Il diritto al sepolcro è un diritto estremamente variegato nel contenuto, il quale non può dunque essere oggetto di una trattazione unitaria.

È invero necessario distinguere, innanzitutto, tra diritto al sepolcro primario e secondario: il primo, consistente nel diritto di essere sepolto all’interno di una cappella funeraria; il secondo, avente ad oggetto il diritto di andare a trovare il defunto presso la sua sepoltura, pertanto intrinsecamente personale e non disponibile.

Il diritto al sepolcro primario, poi, si distingue tra diritto al sepolcro familiare (nel silenzio) e diritto al sepolcro ereditario. Il primo, spetta unicamente agli stretti congiunti del testatore, quale diritto iure proprio, non essendo dunque disponibile in favore di terzi, e solo l’ultimo superstite tra tali stretti congiunti può trasformare il sepolcro familiare in sepolcro ereditario, il quale invece può essere attribuito dal testatore in favore di chiunque, attraverso lo strumento del legato.

Cremazione.

Con il testamento, il testatore può anche disporre che il suo corpo sia cremato ed altresì dettare delle specifiche disposizioni relative alla dispersione delle ceneri, nel rispetto dei limiti legali, previsti dall’art. 3 comma 1, let. c) l. n. 130/2001.

Nel caso in cui il testatore individui, poi, uno specifico soggetto che debba curare la dispersione delle ceneri, tale incarico si qualifica come un mandato post mortem in senso stretto, ammissibile, in quanto ha ad oggetto una attività meramente materiale, non un’attività giuridica.

Disposizione di organi.

Infine, il testatore può utilizzare il testamento per dare delle indicazioni in merito alla disposizione dei propri organi dopo la morte, ciò nel presupposto del rispetto delle leggi speciali in materia.

Si precisa che tali disposizioni sono cosa diversa dalle disposizioni anticipate in materia di trattamento sanitaria (cosiddetta D.A.T.), le quali costituiscono a tutti gli effetti atti inter vivos, in quanto la legge richiede l’accettazione espressa del soggetto nominato ad eseguirle (che certo non può essere contenuta nel testamento), ma soprattutto perché riguardano un momento precedente alla morte, a differenza che testamento, la cui efficacia presuppone proprio che l’evento morte si sia verificato.