Nozione e natura giuridica
La divisione è il contratto con cui i condividenti, al fine di sciogliere la comunione tra loro esistente, procedono all’assegnazione a ciascuno di parte dei beni comuni (cosiddetta pars quanta), il cui valore coincide (salvo quanto sarà infra precisato in relazione ai conguagli e alle ipotesi di transazione divisoria) con il valore della quota astratta del singolo condividente sull’intera massa comune (cosiddetta pars quota).
La divisione, dunque, è un contratto consensuale, ad effetti reali, a più parti ma non plurilaterale, a prestazioni corrispettive e di straordinaria amministrazione, che si fonda su due elementi essenziali: l’assegnazione proporzionale (coincidenza di valore tra pars quota e pars quanta) e lo scioglimento di una comunione.
Questione tradizionalmente discussa in dottrina ed in giurisprudenza è quella della natura giuridica del negozio in esame: invero, secondo una parte degli Autori, la divisione sarebbe un negozio con natura dichiarativa, mentre per altri ha natura giuridica costitutiva.
I sostenitori della tesi dichiarativa argomentano sulla base del dettato dell’art. 757 del Codice civile (in materia di divisione ereditaria), ai sensi del quale “ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota […] e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari”: tale norma sancisce, dunque, innegabilmente, la retroattività della divisione, la quale, secondo questi Autori sarebbe indice della natura dichiarativa del negozio (al pari della sentenza che accerta la nullità, che è, appunto, dichiarativa ed opera ex tunc).
Ulteriore argomento nel senso della natura dichiarativa della divisione si rinviene, poi, nelle norme della trascrizione: secondo i sostenitori della tesi in esame, invero, se la divisione fosse un atto di natura costitutiva, al pari degli altri negozi costitutivi, dovrebbe essere trascritta ai sensi dell’art. 2643 del Codice civile, e non ai sensi del diverso art. 2646 del Codice civile, come invece è previsto per tabulas.
Da ultimo, rileva la dottrina che la divisione è certamente trattata come un atto dichiarativo dal legislatore fiscale, il quale applica al negozio divisorio l’aliquota fissa dell’1%, prevista appunto per i negozi dichiarativi.
Altra autorevole dottrina, tuttavia, ha da sempre sostenuto l’opposta ricostruzione secondo cui la divisione ha natura costitutiva, confutando gli esposti argomenti in favore della tesi dichiarativa come segue.
In primo luogo, la retroattività della divisione sancita dal citato art. 757 del Codice civile non vale ad affermarne la natura dichiarativa, in quanto, se è vero che i negozi dichiarativi producono solitamente effetti ex tunc, vi sono, tuttavia, anche atti pacificamente di natura costitutiva e nonostante ciò retroattivi, come ad esempio la sentenza che dichiara l’annullamento di un contratto.
In secondo luogo, lo stesso tenore letterale dell’art. 757 del Codice civile lascia intendere che la retroattività è una semplice fictio iuris (il coerede “è reputato”, non “è” solo e immediato successore e “si considera come se non avesse mai avuto”, non “non ha mai avuto” la proprietà degli altri beni).
In terzo luogo, è innegabile che la divisione comporti una modifica della realtà giuridica: nello specifico, con la divisione, il diritto del condividente “trasla” dalla quota astratta al bene in concreto assegnatogli.
Proprio in ragione dei contrasti giurisprudenziali sul punto, la questione della natura giuridica della divisione è stata infine rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, con Sentenza del 7 ottobre 2019, n. 25021, hanno accolto la tesi della natura costitutiva della divisione, definendola, testualmente, un “negozio costituivo sostanzialmente traslativo, senza causa di scambio”.
L’accoglimento di questa tesi, tra l’altro, si precisa, non comporta l’obbligo di inserire nell’atto di divisione di tutte le menzioni richieste per i trasferimenti immobiliari (ad eccezione delle menzioni urbanistica e catastale, che sono espressamente richieste dalla legge negli atti di divisione), in quanto, come evidenziato dal Supremo Collegio, la divisione non ha comunque natura di “trasferimento”, in quanto solo sul piano strettamente sostanziale si può parlare di un effetto “traslativo” dalla quota astratta al bene assegnato.
Nella pronuncia citata, tra l’altro, le Sezioni Unite hanno preso posizione anche su un altro tema fino ad allora largamente discusso, cioè quello della natura di atto mortis causa, ovvero inter vivos della divisione ereditaria, accogliendo la natura di negozio inter vivos, in quanto la divisione ereditaria non dipende dalla morte del de cuius, che dunque non ne permea la causa.
Elementi essenziali e disciplina
Come emerge dalla definizione del negozio sopra fornita, la divisione ha causa di apporzionamento di ogni condividente: minoritaria è invece l’opinione di chi sostiene che la causa della divisione è lo scioglimento della comunione, il quale, a ben vedere, non è la causa, ma un semplice effetto naturale del negozio.
Oggetto della divisione, poi, possono essere tutti i diritti che possono essere oggetto di comunione, dunque, il diritto di proprietà, gli altri diritti reali minori (con la precisazione che il diritto di servitù può spettare in contitolarità solo se la comunione comprende anche il fondo dominante, in quanto la peculiarità del diritto di servitù consiste nell’essere un diritto reale minore che “inerisce” al fondo dominante in modo talmente pregnante da diventarne una sorta di accessorio inscindibile) ed i crediti (anche se l’ammissibilità della comunione di crediti non è pacifica). Non è invece configurabile la comunione di debiti, in forza del brocardo latino secondo cui debita ipso iure dividuntur (i debiti si dividono automaticamente).
Infine, la forma richiesta per la validità della divisione dipende dalla natura dei beni comuni da dividere, dunque, in caso di comunione su beni immobili, è richiesta anche per la divisione la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 del Codice civile, nonché la forma dell’atto pubblico ai fini della trascrizione (e dunque dell’opponibilità ai terzi della divisione), da effettuarsi ex art. 2646 del Codice civile.
Sul piano della disciplina, si osserva che la divisione non è disciplinata dal Codice civile tra i contratti tipici, ma il Codice se ne occupa in due diverse sedi, cioè in materia di diritti reali (con riguardo alla divisione volta a sciogliere la comunione ordinaria) agli art.1111 e seguenti del Codice civile e in materia di successioni mortis causa (con riguardo alla divisione ereditaria, volta a sciogliere la comunione ereditaria) agli art.713 e seguenti del Codice civile.
Tra comunione ordinaria e comunione ereditaria vi è un rapporto di genus a species, dunque, tutte le norme della prima si applicano alla seconda, ma non viceversa (alla divisione ereditaria, tuttavia, si applicano la maggior parte delle norme della comunione ereditaria, la quale è disciplinata in modo ben più dettagliato rispetto alla divisione ordinaria: in generale, tutte le volte in cui non vi è una incompatibilità sostanziale tra le due discipline).
Ipotesi particolari
Poste queste brevi premesse sulla natura giuridica e la disciplina della divisione, si procederà adesso alla analisi di una serie di ipotesi particolari di divisione, diffuse nella prassi e che spesso portano con sé problematiche applicative di non poco conto.
Divisione con nascituro
La prima ipotesi da prendere in considerazione è quella della divisione di massa comune in cui uno dei condividenti sia un nascituro.
Si precisa che questo scenario può verificarsi solo in caso di divisione ereditaria (o divisione del bene donato in comune a più soggetti), in quanto il nascituro, non essendo titolare di capacità giuridica (che si acquista al momento della nascita ex art. 1 del Codice civile), non può essere titolare di situazioni giuridiche soggettive al di fuori delle ipotesi tassativamente previste per legge, tra le quali rientrano la capacità di succedere (ex art. 462 del Codice civile) e la capacità di ricevere per donazione (ex art. 784 del Codice civile): per questo la divisione con il nascituro è disciplinata proprio in materia di divisione ereditaria, ex art. 715 del Codice civile, che si applica per analogia anche in caso di divisione del bene donato.
Al fine di analizzare la complessa disciplina dettata dalla citata norma devono essere, preliminarmente, descritti due macro-scenari, in base al fatto che il nascituro in questione sia già concepito, ovvero figlio non concepito di persona vivente.
In presenza di nascituro concepito, ai sensi dell’art. 715 comma 1 del Codice civile non si può procedere alla divisione, ma ai sensi del terzo comma della stessa norma, la divisione può essere autorizzata dall’autorità giudiziaria, prevedendo le opportune cautele, con la seguente precisazione.
Ai fini della possibilità di autorizzare la divisione, si ulteriormente distinguere in base al fatto che il nascituro sia stato istituito erede in una quota predeterminata (ad esempio: “istituito mio erede universale nella quota di un mezzo del mio patrimonio”), ovvero senza predeterminazione di quota (ad esempio: “istituisco miei eredi universali nella quota di un mezzo del mio patrimonio tutti i figli nati e concepiti di Tizio e Tizia”. In questo caso la quota spettante a ciascun figlio sarà determinabile solo una volta accertato il numero complessivo dei figli).
Se il nascituro concepito è stato istituito erede con predeterminazione di quota, la divisione in suo favore può essere autorizzata e in questo caso intervengono all’atto, nel suo interesse, i genitori (o, in caso di conflitto di interessi tra nascituro e genitori, un curatore speciale nominato ad hoc), autorizzati ex art. 783 del Codice di procedura civile o dal Notaio rogante.
Se il nascituro concepito è stato istituito erede senza predeterminazione di quota, la divisione non può invece mai essere autorizzata, dovendosi attendere la nascita (o la mancanza della nascita) del concepito.
Tale distinzione tra nascituro istituito con o senza predeterminazione di quota rileva anche in caso di istituzione di nascituro non ancora concepito di persona vivente.
Se il nascituro non concepito è stato istituito erede con predeterminazione di quota, la divisione in suo favore può essere autorizzata, ma in questo caso intervengono all’atto, nel suo interesse, i chiamati in subordine, come individuati ex art. 642 del Codice civile, stante la sostanziale equiparazione tra nascituro ed erede istituito a condizione sospensiva, (o, in caso di conflitto di interessi tra nascituro e chiamati in subordine, un curatore speciale nominato ad hoc), autorizzati ex art. 783 del Codice di procedura civile o dal Notaio rogante.
Se il nascituro non concepito è stato istituito erede senza predeterminazione di quota, invece, ai sensi dell’art. 715 comma 4 del Codice civile, l’autorità giudiziaria può autorizzare (in questo caso ex art. 747 del Codice di procedura civile) gli altri condividenti a procedere alla divisione, disponendo le opportune cautela in favore del nascituro: in questo caso, dunque, la divisione avviene solo tra i coeredi diversi dal nascituro, che quindi intervengono in proprio (e non nell’interesse del nascituro), sostanziandosi l’autorizzazione giudiziale in un provvedimento di esclusione del nascituro non concepito.
Divisione transattiva e transazione divisoria
Divisione transattiva e transazione divisoria sono contratti atipici, che nascono dalla fusione della disciplina di divisione e transazione, ma si differenziano tra loro sotto il profilo della causa, che nella divisione transattiva è prettamente divisoria, mentre nella transazione divisoria è transattiva.
Da tale differenza causale discendono, tra l’altro, delle differenze pratiche che consentono di distinguere, in concreto, i due contratti in esame. La divisione transattiva, invero, prevede come elemento essenziale la corrispondenza di valore tra pars quota e pars quanta (e, come ulteriore conseguenza, non si tratta di un contratto traslativo, e dunque le uniche menzioni obbligatorie sono quelle urbanistiche e catastali); viceversa, la transazione divisoria prescinde dalla rispondenza di valore tra pars quota e pars quanta (e, come ulteriore conseguenza, configura un vero e proprio contratto di scambio, nel quale dovranno essere inserite tutte le menzioni richieste per i trasferimenti immobiliari).
Divisione oggettivamente parziale
La divisione oggettivamente parziale si verifica nel caso in cui, in presenza di una pluralità di beni comuni, i condividenti scelgono di procedere alla divisione tra loro solo di alcuni di essi, rimanendo in comunione sui beni non assegnati nelle medesime quote originarie: proprio per questo, rimanendo le quote immutate, la divisione oggettivamente parziale non ha alcuna rilevanza quanto ai beni non assegnati, che, quindi, non devono essere descritti in atto, né, a maggior ragione, serve inserire in atto le menzioni immobiliari relative agli immobili non assegnati.
Proprio per le esposte caratteristiche e conseguenze redazionali, la divisione oggettivamente parziale finisce per essere una scelta obbligata nel caso in cui uno dei beni comuni sia incommerciabile (caso emblematico è quello della comunione sull’immobile abusivo, per il quale è impossibile rendere le menzioni urbanistica e catastale): in questo caso, i condividenti procedono alla divisione di tutti i beni comuni, ad eccezione del bene incommerciabile, sul quale rimangono in comunione nelle quote originarie.
Divisione soggettivamente parziale
La divisione soggettivamente parziale, o stralcio divisionale, è lo strumento elaborato dalla dottrina per consentire ai condividenti di estromettere, in via definitiva, uno dei comunisti dalla massa comune, lasciando invariata la comunione tra i soggetti non apporzionati.
Così facendo, tuttavia, i condividenti non apporzionati rimangono in comunione sui beni non assegnati in quote diverse, e maggiori, rispetto a quelle originarie (a titolo di esempio: in caso di comunione tra Tizio, Caio e Sempronio nelle quote di 1/3 ciascuno sugli immobili A, B, C, a seguito dello stralcio divisionale con cui il bene A viene assegnato a Tizio, Caio e Sempronio rimangono in comunione sui soli beni B e C, ma nelle quote di ½ ciascuno).
Tale mutamento delle quote originarie comporta, secondo la dottrina notarile più tuzioristica, la necessità di inserire descrizione materiale e catastale e menzioni urbanistica e catastale di tutti i beni comuni, anche quelli non assegnati: tale modus operandi, apprezzabile per il tuziorismo che lo giustifica, non sarebbe, tuttavia, necessario, in quanto, a ben vedere, il mutamento delle quote dei condividenti non apporzionati è un effetto meramente automatico dell’apporzionamento del condividente stralciato, rispetto al quale non si rinviene una natura neppure “sostanzialmente” traslativa, come invece sostenuto per la divisione.
Lo strumento dello stralcio divisionale è utilizzato nella prassi, ad esempio, nel caso di comunione ereditaria sussistente tra coeredi solo alcuni dei quali sono beneficiari ed obbligati alla collazione. In questo caso, la divisione ereditaria si realizza in due passaggi: in primo luogo, con lo stralcio divisionale dei soggetti estranei alla collazione; in secondo luogo, alla divisione della massa residua tra i soggetti obbligati e beneficiari della collazione.
Assegno in conto futura divisione
Fattispecie diversa da quelle finora analizzate è l’assegno in conto futura divisione, il quale non è una tipologia di divisione, bensì un’operazione para-divisionale, con la quale ad uno dei condividenti viene assegnato uno dei beni comuni, il valore del quale (valutato al momento della divisione, non dell’assegno in conto) l’assegnatario dovrà imputare al valore della propria quota concreta in sede di futura divisione.
In altri termini: in caso di comunione tra Tizio, Caio e Sempronio nelle quote di 1/3 ciascuno sugli immobili A, B, C, i condividenti decidono di assegnare a Tizio il bene A in conto futura divisione, rimanendo tutti e tre in comunione sui residui beni B e C nelle originarie quote di 1/3 ciascuno; al momento della divisione, poi, sarà determinato il valore di tutti i beni, incluso il bene A assegnato in conto e Tizio imputerà al valore della sua quota il valore del bene già assegnato, al fine di valutare se debbano essergli assegnati ulteriori beni, ovvero sorga a suo carico un obbligo di conguaglio.
Dunque, emerge da quanto esposto che l’assegno in conto futura divisione consiste in un trasferimento con causa solo latamente divisoria e che deve, per questo, essere trattato alla stregua di un negozio traslativo ex art. 1376 del Codice civile a tutti gli effetti del bene assegnato (con conseguente obbligo di inserire tutte le menzioni di legge), mentre è un atto del tutto neutro quanto ai beni non assegnati, dei quali quindi non deve essere inserita la descrizione materiale e catastale né, tantomeno, le menzioni di legge.
Divisione di masse plurime
La divisione di masse plurime non è mai menzionata dal Codice civile, ma se ne rinviene un riferimento nella sola legislazione tributaria (art. 34 del d.r.p. n. 131/1986, Testo Unico delle Imposte sui Redditi), dal quale si desume che, in presenza dei presupposti di cui infra, si può procedere, con un unico negozio, alla divisione di più masse comuni.
Ciò è possibile, cumulativamente, se: le comunioni sussistono tutte tra le stesse parti; le comunioni trovano fonti in più titoli (discusso è invece se sia altresì necessario che i condividenti siano titolari della medesima quota in ognuna delle masse); la divisione produce un effetto permutativo (ad ogni condividente, cioè, vengono assegnati beni il cui valore coincide con il valore complessivo della quota astratta del condividente su tutte le comunioni, ma le assegnazioni non sono proporzionali rispetto alle singole masse.
A titolo di esempio: in caso di comunione tra Tizio e Caio nelle quote di ½ ciascuno sui beni A e B in forza di compravendita e sui beni C e D per donazione, l’effetto permutativo si produce in caso di assegnazione a Tizio dei beni A e B ed a Caio dei beni C e D, mentre non si ha effetto permutativo, ma due autonome divisioni, in caso di assegnazione a Tizio dei beni A e C ed a Caio dei beni B e D); l’ultimo acquisto di quote deriva da una successione a causa di morte (tale ultimo requisito, tuttavia, ha rilevanza meramente fiscale, non costituendo, la sua assenza, un impedimento alla divisione di masse plurime sotto il profilo civilistico).
Questione discussa è quella della natura giuridica della divisione di masse plurime, individuata da alcuni in una divisione e da altri (tra cui anche delle pronunce della Corte di legittimità) in una vera e propria permuta di quote: stante l’incertezza sul punto, tuttavia, appare altamente preferibile, quantomeno a fini tuzioristici, inserire in atto tutte le menzioni immobiliari richieste ai fini della permuta.
Sotto il profilo redazionale, poi, è discusso se sia possibile procedere direttamente alla divisione di tutte le masse comuni (“considerandole come un’unica comunione”), ovvero sia necessario concludere due negozi, contestuali, di messa in comunione (così facendo convergere i beni facenti parte di tutte le masse in una massa unica), che ha la medesima natura della divisione, e divisione dell’unica massa creata. A prescindere che si scelga di esplicitare o meno il passaggio della preliminare messa in comunione, ad ogni modo, è tuttavia necessario inserire le menzioni urbanistiche e catastali due volte per ogni bene (una volta per la messa in comunione ed una seconda volta per la divisione).
Divisione dell’esecutore testamentario.
La divisione dell’esecutore testamentario è una particolare ipotesi di divisione ereditaria prevista espressamente dall’art. 706 del Codice civile: mutuando i principi di diritto elaborati dalle Sezioni Unite del 2019 sulla divisione ereditaria, si può affermare che anche in questo caso la divisione è senza dubbio un negozio inter vivos, ma con delle peculiarità.
Invero, unica parte negoziale della divisione è l’esecutore testamentario, che divide il patrimonio ereditario tra i coeredi con efficacia reale, tramite un negozio giuridico unilaterale su patrimonio altrui.
Proprio l’efficacia reale della divisione, tra l’altro, vale ad equiparare la divisione dell’esecutore testamentario alla divisione ex art. 734 del Codice civile, potendosi dunque parla della divisione dell’esecutore testamentario come di una sorta di divisione fatta dal testatore per relationem.
Si precisa, tra l’altro, che l’efficacia reale della divisione in discorso comporta la necessità di trattarla, sotto il profilo redazionale, al pari di ogni altra divisione inter vivos, con la necessità, quindi, di inserire le menzioni urbanistica e catastale.
Tra l’altro, la divisione del patrimonio ereditario rientra tra i compiti dell’esecutore testamentario solo se il testatore lo ha espressamente a ciò autorizzato nel testamento e, proprio in forza dell’autorizzazione del testatore, l’esecutore interviene all’atto di divisione “nella sua qualità” e senza la necessità di chiedere nessuna ulteriore autorizzazione giudiziale.
