GLI AUMENTI IN CONTO FUTURO AUMENTO DI CAPITALE
(NOTA A CASS. N. 24093 DEL 8 AGOSTO 2023)
Il tema dei versamenti dei soci “fuori capitale” rappresenta, da tempo, un terreno di particolare complessità sistematica e di rilevante interesse operativo, nel quale si intersecano questioni di diritto societario, contabile e obbligatorio. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 24093 del 8 agosto 2023 offre un’importante occasione per tornare a riflettere sulla natura e sulla qualificazione di tali versamenti, chiarendone la causa giuridica e gli effetti patrimoniali, nonché la distinzione rispetto ad altre figure affini, quali i versamenti in conto capitale e i versamenti a fondo perduto.
Al centro della questione si colloca il principio, consolidato in dottrina e in giurisprudenza, secondo cui la società non può imporre ai soci prestazioni ulteriori rispetto ai conferimenti. Ciò non esclude, tuttavia, la possibilità per i soci di effettuare spontaneamente apporti patrimoniali non imputati a capitale, i quali assumono forme e funzioni diverse a seconda dell’intento perseguito e della struttura negoziale prescelta. È su questo terreno intermedio — tra conferimento vero e proprio e finanziamento soci ex art. 2467 del Codice civile — che si collocano i versamenti “in conto futuro aumento di capitale”, oggetto dell’odierna analisi.
I versamenti dei soci: quadro sistematico.
La dottrina, a partire dagli studi classici sulla patrimonializzazione atipica, distingue tradizionalmente quattro categorie di apporti dei soci che non costituiscono conferimenti in senso tecnico:
- i versamenti in conto capitale,
- i versamenti in conto futuro aumento di capitale,
- i versamenti a fondo perduto,
- e i finanziamenti dei soci ai sensi dell’art. 2467 del Codice civile.
Ciascuna di queste figure si distingue per la diversa causa concreta, per il trattamento contabile e per le conseguenze giuridiche che ne derivano.
In particolare, i versamenti in conto capitale e quelli a fondo perduto hanno in comune la mancanza di un obbligo restitutorio, ma divergono quanto alla vincolatività della destinazione: i primi, costituiscono una riserva patrimoniale liberamente utilizzabile, i secondi, invece, una dazione irreversibile senza controprestazione.
I finanziamenti dei soci, al contrario, configurano veri e propri mutui, con obbligo di restituzione e conseguente iscrizione tra le passività, soggetti alla regola della postergazione di cui all’art. 2467 del Codice civile.
Tra queste tipologie, i versamenti in conto futuro aumento di capitale occupano una posizione peculiare, in quanto collegano la dazione di denaro a un evento societario futuro (la deliberazione e sottoscrizione di un aumento di capitale), assumendo così una causa “finalizzata”, ossia targata, rispetto a uno specifico scopo.
La causa e la funzione dei versamenti in conto futuro aumento di capitale.
I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono dazioni di denaro effettuate dal socio alla società con l’intento di adempiere anticipatamente all’obbligo di conferimento che egli assumerà in occasione di un aumento di capitale già previsto o programmato. Si tratta dunque di apporti aventi natura di conferimenti anticipati, effettuati prima non solo della sottoscrizione, ma anche della stessa delibera di aumento.
La loro causa giuridica è vincolata: le somme, come accennato, vengono accantonate in una riserva “targata”, cioè, destinata esclusivamente a essere imputata all’aumento di capitale per il quale sono state versate. Ciò comporta che tali importi non possono essere liberamente utilizzati dalla società per finalità diverse da quella prevista, né possono essere distribuiti o impiegati per coprire perdite o finanziare l’attività corrente.
Elemento essenziale della validità di tale operazione è la determinatezza dell’oggetto, ex art. 1346 del Codice civile. Affinché la causa sia meritevole di tutela, è necessario che l’aumento di capitale cui il versamento si riferisce sia almeno individuabile (quanto all’importo, alla natura dell’aumento e alla finestra temporale in cui la delibera dovrà essere approvata), anche se non ancora deliberato. L’indeterminatezza totale dello scopo — ossia l’assenza di un preciso collegamento con un aumento specifico — comporta la nullità del patto per difetto di causa, determinando la riqualificazione del versamento come “in conto capitale” o la sua restituzione in quanto indebito.
Effetti e disciplina in caso di mancata deliberazione dell’aumento.
Diretta conseguenza delle considerazioni appena svolte è che, se l’aumento di capitale non viene deliberato, la causa del versamento viene meno.
In tale ipotesi, la dottrina e la giurisprudenza concordano nel riconoscere al socio il diritto alla restituzione della somma versata. Non si tratta, però, di una restituzione a titolo di rimborso, come accadrebbe per un finanziamento, bensì di una conseguenza della nullità del patto, in forza della quale il versamento diventa indebito, ai sensi dell’art. 2033 del Codice civile.
Il socio, dunque, riacquista un credito verso la società, esigibile secondo le regole ordinarie e soggetto alle limitazioni derivanti dall’eventuale stato di liquidazione (dove il socio, come noto, è un creditore residuale).
Differenze rispetto ai versamenti in conto capitale e a fondo perduto.
La distinzione tra le diverse categorie di versamenti, inoltre, incide direttamente sulla disciplina contabile, sulla disponibilità delle somme e sulla posizione giuridica del socio.
Nei versamenti in conto capitale, l’apporto patrimoniale è destinato genericamente a rafforzare il patrimonio netto della società, senza vincoli di destinazione. Le somme confluiscono in una riserva “libera”, di norma iscritta tra le voci del patrimonio netto, utilizzabile per coprire perdite, distribuire dividendi, o effettuare future capitalizzazioni. Il socio non vanta (e non vanterà mai) alcun diritto alla restituzione.
Nei versamenti a fondo perduto, la dazione assume carattere irrevocabile e definitivo, configurando una liberalità non formale (ma causalmente non donativa) in favore della società: il versamento, invero, viene effettuato allo specifico fine di ripianare una perdita che si è già verificata, quindi, viene “assorbito” nel momento stesso in cui è incamerato dalla società. Questo tipo di versamenti, dunque, non comporta mai obblighi restitutori della società verso il socio.
Diversamente, nei versamenti in conto futuro aumento di capitale, come già detto, la somma resta giuridicamente vincolata alla finalità per cui è stata versata e il socio conserva un interesse qualificato alla destinazione della somma, potendo opporsi all’uso improprio della stessa o chiederne la restituzione qualora la causa venga meno.
È possibile, infine, che la destinazione vincolata venga rimossa con il consenso negoziale del socio versatore (consensus uti singuli), determinando una sorta di novazione causale — in senso atecnico — del versamento, che può così trasformarsi in un versamento in conto capitale o in un versamento a fondo perduto.
La sentenza della Cassazione n. 24093/2023: la centralità della causa in concreto.
Se, dunque, la distinzione teorica tra i vari tipi di versamento è, tutto sommato, chiara, nella prassi, incasellare una specifica dazione di somme dal socio in favore della società in una delle categorie analizzate può non essere agevole.
La pronuncia della Cassazione n. 24093 del 2023 mira, infatti, a fornire all’operatore del diritto degli strumenti pratici per operare tali distinzioni in concreto, riaffermando un principio ormai consolidato: la denominazione formale attribuita dalle parti al versamento non è decisiva ai fini della qualificazione giuridica dell’operazione, dovendo il giudice accertare la causa in concreto della dazione di denaro.
Nel caso esaminato, ad esempio, la controversia nasceva dalla pretesa di un socio di ottenere la restituzione di somme versate “in conto futuro aumento di capitale”, in assenza di successiva deliberazione. La società, opponendosi, sosteneva che si trattasse di versamenti in conto capitale, non soggetti dunque a restituzione.
La Suprema Corte ha rigettato l’argomento della mera etichetta contabile, affermando che la natura del versamento deve essere ricostruita in base al complessivo comportamento delle parti, agli elementi documentali (bilanci, scritture contabili, verbali assembleari) e al fine economico perseguito. Ne discende che la qualificazione di un versamento come “in conto futuro aumento di capitale” richiede l’esistenza di un collegamento causale specifico con un aumento di capitale determinato, anche se non ancora deliberato; in difetto, il versamento deve considerarsi in conto capitale, con conseguente acquisizione definitiva da parte della società.
La Corte ha dunque confermato che l’indeterminatezza della destinazione non è un vizio meramente formale, bensì un elemento che incide sulla stessa validità del negozio, poiché rende incerta la causa dell’obbligazione. Tale ricostruzione si pone in continuità con la giurisprudenza che valorizza la causa concreta come elemento qualificante di tutti i versamenti dei soci, distinguendo le ipotesi in cui essi producono un effetto patrimoniale immediato da quelle in cui generano un vincolo temporaneo e condizionato.
Profili applicativi e riflessi sul ruolo notarile.
La sentenza in commento offre indicazioni di rilievo anche per la prassi notarile, che si trova frequentemente a dover gestire operazioni di ricapitalizzazione atipiche o accordi parasociali relativi a versamenti dei soci.
Il Notaio, in quanto garante della legalità sostanziale dell’atto, è chiamato a svolgere una duplice funzione: da un lato, accertare la volontà effettiva delle parti e assicurare che la causa dell’operazione sia emerga in modo chiaro ed inequivoco nell’atto; dall’altro, prevenire l’indeterminatezza della destinazione, chiarendo se il versamento sia da riferirsi a un aumento di capitale già deliberato, programmato, o meramente ipotizzato.
In sede di verbalizzazione di assemblee o di redazione di patti parasociali, è opportuno, inoltre, precisare espressamente se la società potrà utilizzare le somme per finalità diverse, ovvero se le stesse debbano restare vincolate.
Dal punto di vista contabile, il Notaio deve verificare la corretta imputazione delle somme nel patrimonio netto, in una riserva distinta e non distribuibile, e vigilare sulla coerenza tra le scritture contabili e la volontà negoziale dichiarata.
La prassi mostra, inoltre, un crescente ricorso ai versamenti in conto futuro aumento nell’ambito di operazioni di private equity o di ristrutturazioni societarie, dove si preferisce anticipare la patrimonializzazione senza procedere immediatamente a un aumento formale. In tali contesti, il controllo notarile diviene essenziale per evitare che la flessibilità operativa si traduca in incertezza giuridica.
Considerazioni conclusive.
La sentenza in commento, quindi, non afferma principi di diritto “innovativi”, ma contribuisce a consolidare una linea interpretativa fondata sulla valorizzazione della causa in concreto quale criterio dirimente nella qualificazione dei versamenti dei soci. Essa riafferma che la certezza dei rapporti patrimoniali societari non può essere affidata a formule contabili o denominazioni di comodo, ma deve poggiare sulla ricostruzione effettiva della volontà negoziale delle parti.
In questa prospettiva, i versamenti in conto futuro aumento di capitale si configurano come strumenti di flessibilità, utili per sostenere le esigenze finanziarie della società in attesa di una formale ricapitalizzazione, ma che richiedono un’attenta delimitazione causale per evitare ambiguità interpretative.
Il ruolo del Notaio si conferma, ancora una volta, essenziale, al fine di preservare tali esigenze, assicurando che la patrimonializzazione atipica non si traduca in una violazione del principio di determinatezza o in un’alterazione della disciplina dei conferimenti.
La linea tracciata dalla giurisprudenza e recepita dalla prassi notarile restituisce così coerenza a una materia che, pur muovendosi ai margini del diritto dei conferimenti, ne condivide la logica di fondo: quella di assicurare la stabilità del capitale sociale e, al contempo, la libertà dei soci di contribuire alla vita della società secondo modalità elastiche ma giuridicamente certe.
