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Il nostro Paese racchiude in sé una consistente parte del patrimonio artistico mondiale, pertanto, non stupisce che il legislatore abbia tradizionalmente dedicato ai beni culturali una specifica disciplina giuridica, volta a preservarne il buono stato e, nei limiti infra analizzati, ad attribuire allo Stato e alle altre Pubbliche Amministrazioni un canale preferenziale nell’acquisizione di tali beni.
La disciplina dei beni culturali è oggi interamente contenuta all’interno del cosiddetto Codice dei Beni Culturali (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

Quali sono i beni culturali

Prima di passare all’analisi delle previsioni sostanziali contenute nel Codice dei Beni Culturali, è necessario individuare l’esatto ambito di applicazione di tale normativa, cioè, in altre parole, definire esattamente quali sono i beni culturali.
A fini classificatori, i beni culturali possono essere tali ex lege o in forza di un’espressa dichiarazione ministeriale.

Rientrano nel primo macro-gruppo, ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 10 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
2. Sono inoltre beni culturali:
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616”.
Il primo comma, dunque, attribuisce la qualifica di “culturalità” a determinati beni sulla base di un criterio soggettivo, cioè in ragione del soggetto (pubblico) che ha la titolarità del bene, mentre il secondo comma individua alcuni beni che si considerano culturali, a prescindere da chi ne è titolare, sulla base di un criterio oggettivo.

Per i beni rientranti nell’ambito di applicazione del riportato art. 10 comma 1, che “siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni” (art. 12 comma 1 Codice dei Beni Culturali), in particolare, opera la cosiddetta presunzione di culturalità, nel senso che, come previsto dal citato art. 12 comma 1, sono sottoposti “alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2”.
Come emerge dal tenore letterale della norma, si tratta di una presunzione meramente relativa, in quanto può essere superata tramite un apposito procedimento amministrativo di accertamento negativo, descritto ai successivi commi 2 e 3 dell’art. 12 (“2. I competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.
3. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta di cui al comma 2 è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l’Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all’amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Il Ministero fissa, con propri decreti, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di verifica, e della relativa documentazione conoscitiva, da parte degli altri soggetti di cui al comma 1.”).

Tutti i beni non rientranti nel novero disegnato dall’art. 10 comma 1 del Codice dei Beni Culturali, al contrario, sono sottoposti alla normativa in esame solo all’esito di un apposito procedimento di accertamento positivo, descritto all’art. 14, ai sensi del quale “1. Il soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale, anche su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto.
2. La comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini, l’indicazione degli effetti previsti dal comma 4, nonché l’indicazione del termine, comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni.
3. Se il procedimento riguarda complessi immobiliari, la comunicazione è inviata anche al comune e alla città metropolitana.
4. La comunicazione comporta l’applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II, dalla sezione I del Capo III e dalla sezione I del Capo IV del presente Titolo.
5. Gli effetti indicati al comma 4 cessano alla scadenza del termine del procedimento di dichiarazione, che il Ministero stabilisce ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo.
6. La dichiarazione dell’interesse culturale è adottata dal Ministero. Per le cose di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), la dichiarazione è adottata dal competente organo centrale del Ministero.”.
Sul punto, si precisa che tali beni, in pendenza del procedimento di verifica devono, comunque, essere trattati come beni culturali, quindi, applicando la relativa disciplina.

La disciplina dei beni culturali

Come accennato all’inizio, il regime di tutela, che spetta al Ministero per i beni e le attività culturali applicare, si realizza attraverso l’esercizio di una serie di poteri amministrativi strumentali a garantire la conservazione fisica del bene.
La disciplina si basa sul principio per cui “i beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” (art. 20 del Codice dei Beni Culturali), mentre ogni altro intervento sulla cosa è soggetto ad autorizzazione (un’apposita autorizzazione è prevista anche per l’allestimento di mostre che abbiano ad oggetto beni sia pubblici che privati).
Tale scopo è perseguito mediante una pluralità di misure cautelari, di prevenzione, volte a imporre il restauro, prevedere la custodia coattiva, prescrizioni indirette su altri beni allo scopo di tutelare l’accessibilità e la luce dei beni culturali immobili.

La parte della disciplina che assume maggior rilievo, soprattutto sotto il profilo dell’attività notarile, ad ogni modo, è quella concernente la circolazione dei beni culturali: in quest’ottica, tra i beni culturali possono essere effettuate alcune distinzioni.
In primo luogo, l’art. 54 del Codice dei Beni Culturali individua i beni culturali inalienabili, a pena di nullità dell’atto di trasferimento: “1. Sono inalienabili i beni del demanio culturale di seguito indicati: a) gli immobili e le aree di interesse archeologico; b) gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all’epoca vigente; c) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche; d) gli archivi; d-bis) gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d); d-ter) le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53.
2. Sono altresì inalienabili: a) le cose appartenenti ai soggetti indicati all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall’articolo 12. Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice, ai sensi dell’articolo 12, commi 4, 5 e 6; b) (lettera abrogata); c) i singoli documenti appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53, nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici diversi da quelli indicati al medesimo articolo 53; d) (lettera abrogata)
”.
Tali beni, tuttavia, come precisato dal successivo terzo comma, “possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali”.

Tutti gli altri beni culturali, invece, possono essere alienati ad ogni titolo dal proprietario, ma, in presenza delle condizioni di cui infra, l’alienazione fa sorgere un diritto di prelazione legale in favore del Ministero dei Beni Culturali, della regione o degli altri enti pubblici territoriali interessati.
Tale prelazione, ai sensi dell’art. 60 del Codice dei Beni Culturali, opera in caso in caso di alienazione a titolo oneroso o di conferimento in società: si tratta, dunque, di una prelazione impropria, che opera, cioè, anche in assenza di parità di condizioni (essendo, in questo caso, esercitabile per un corrispettivo pari al valore attribuito dalle parti al trasferimento).
La peculiarità di prelazione, tuttavia, consiste nel fatto che la stessa, invece di essere esercitabile prima dell’acquisto (come tutte le prelazioni) può essere esercitata solo dopo l’acquisto che l’ha fatta sorgere. Nello specifico, “la prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dall’articolo 59” (così l’art. 61 comma 1 del Codice dei Beni Culturali) e “in pendenza del termine prescritto dal comma 1 l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all’esercizio (rectius: al mancato esercizio) della prelazione e all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa” (cfr. art. 61 comma 4 del Codice dei Beni Culturali).
Durante la pendenza della condizione, vige il divieto di consegna del bene culturale, la cui violazione comporta la nullità dell’atto, oltre a delle sanzioni penali.
Precisa, infine, il comma 5 dell’art. 61 che “le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato”: invero, in caso di esercizio della prelazione, il titolo di acquisto del bene in favore dello Stato è il provvedimento amministrativo con cui lo Stato esercita la prelazione, non il contratto tra privati.
Si segnala che l’esposta disciplina della prelazione artistica applicata al conferimento in società di un bene culturale ha sollevato alcune questioni interpretative ed applicative in dottrina e giurisprudenza, che non saranno approfondite in questa sede, in quanto sono state oggetto di un apposito contributo presente sul sito, a cui si rinvia.

Tra i beni culturali alienabili, poi, solo per alcuni, cioè quelli elencati all’art. 55 (“1. I beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale e non rientranti tra quelli elencati nell’articolo 54, comma 1”) e all’art. 56 (“1. E’ altresì soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero: a) l’alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1; b) l’alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.2. L’autorizzazione è richiesta inoltre: a) nel caso di vendita, anche parziale, da parte di soggetti di cui al comma 1, lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie; b) nel caso di vendita, da parte di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di archivi o di singoli documenti.”) del Codice dei Beni Culturali, l’alienazione richiede un’espressa autorizzazione del Ministero.
Ai soli beni culturali di cui all’art. 55, inoltre, si applica il disposto dell’art. 55-bis, ai sensi del quale “1. Le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione di cui all’articolo 55 sono riportate nell’atto di alienazione, del quale costituiscono obbligazione ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile ed oggetto di apposita clausola risolutiva espressa. Esse sono anche trascritte, su richiesta del soprintendente, nei registri immobiliari.
2. Il soprintendente, qualora verifichi l’inadempimento, da parte dell’acquirente, dell’obbligazione di cui al comma 1, fermo restando l’esercizio dei poteri di tutela, da’ comunicazione delle accertate inadempienze alle amministrazioni alienanti ai fini della risoluzione di diritto dell’atto di alienazione.
”.

Diverso è, invece, l’ambito applicativo dell’obbligo di denuncia posto ex art. 59 del Codice dei Beni Culturali: la denuncia, invero, deve essere effettuata tutte le volte in cui muta l’intestatario catastale del bene culturale, dunque, non solo in caso di alienazioni che fanno sorgere il diritto di prelazione, ma anche di caso di trasferimenti a titolo gratuito, a causa di morte, operazioni societarie straordinarie.

Il Codice dei Beni Culturali prevede, poi, l’espropriazione per causa di pubblica utilità, quando risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi (art. 95 del Codice); possono, inoltre, essere espropriati edifici e aree, quando ciò sia necessario per isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso (art. 96 del Codice); il Ministero può procedere, inoltre, all’espropriazione di immobili al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell’articolo 10 (art. 97 del Codice).