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Natura giuridica, definizione e ratio

La collazione, prevista e disciplinata dagli artt. 737 e ss. del Codice civile, è l’operazione divisionale con cui determinati soggetti (coniuge, figli e discendenti del de cuius) che hanno accettato l’eredità conferiscono alla massa ereditaria le liberalità, dirette o indirette, ricevute in vita dal defunto.

La collazione si sostanzia, dunque, in un’obbligazione restitutoria ex lege, che si attua mediante il conferimento alla massa ereditaria di quanto donato, in relazione alla quale sono previste due alternative modalità di esecuzione (per imputazione e in natura), di cui si dirà infra.

Tecnicamente, la natura giuridica della collazione è quella di prelegato anomalo ex lege, in quanto si tratta di un obbligo posto a carico del donatario-erede, ma il cui adempimento avviene nell’interesse di tutti gli eredi, incluso il donatario stesso (come nel caso di prelegato tipico ex art. 661 del Codice civile, dunque, vi è una parziale coincidenza soggettiva tra onorato ed onerato del legato, ma strutturata in modo opposto rispetto al meccanismo legale tipico, che definisce il prelegato come il legato disposto in favore di un solo erede ed a carico di tutta l’eredità, incluso il legatario).

L’erede tenuto alla collazione, invero, beneficia egli stesso, al pari di tutti gli altri coeredi della collazione, in quanto conferendo alla massa ereditaria quanto ricevuto per donazione, aumenta il valore complessivo della massa da dividere e, conseguentemente, il valore della pars quanta che spetterò al donatario in sede di divisione.

La ratio dell’istituto in esame, secondo consolidata dottrina, è quella di evitare disparità tra coeredi: ciò si comprende partendo dalla considerazione per cui le liberalità, dirette o indirette che siano, fatte a degli stretti congiunti sono verosimilmente intese dallo stesso donante alla stregua di anticipazioni o “acconti” sulla quota di riserva che comunque spetterà al donatario all’apertura della successione del donante, il quale intende però, in aggiunta, garantire al primo il godimento anticipato del bene in questione.

La collazione deve, poi, essere tenuta distinta dalla cosiddetta imputazione ex se, che è una espressione ambivalente, utilizzata per fare riferimento, da un lato, ad una modalità attuativa della collazione (sul punto ci si soffermerà infra), dall’altro lato, ad un istituto autonomo, avente la natura di onere che grava sul legittimario che vuole agire in riduzione.

Come detto, invero, il legislatore considera le liberalità realizzate dal de cuius in favore dei legittimari (in vita o per legato) come acconti sulla quota di riserva, con la conseguenza che anche il legittimario del tutto pretermesso (che, cioè, non ha ricevuto nulla per testamento) oppure il legittimario che non sia stato istituito erede, ma sia comunque beneficiario di un legato, non può considerarsi “leso” e non può dunque agire in riduzione se ha già ricevuto in vita dal de cuius, a titolo di donazione o liberalità indiretta, oppure per legato, beni per un valore pari all’ammontare della sua quota di riserva all’apertura della successione.

La ratio dell’imputazione ex se, dunque, è quella di calcolare esattamente il quantum della quota di riserva (cioè quanto ancora il legittimario ha il diritto di ottenere dalla successione del de cuius) e dunque delineare l’ambito dell’azione di riduzione.

A titolo di esempio, se Tizione, dopo avere donato (o legato) al figlio Tizio 200.000 euro, lo pretermette (o disereda), nel caso in cui Tizio, all’esito della riunione fittizia come descritta ex art. 556 del Codice civile (relictum + donatum – debitum), abbia diritto ad una quota di riserva sull’eredità del padre pari ad euro 500.000, non potrà agire in riduzione per l’intera somma di euro 500.000, ma dovrà imputare alla propria quota (salvo dispensa) quanto già ricevuto in vita per donazione (o legato), agendo dunque in riduzione per soli euro 300.000.

Presupposti soggettivi e oggettivi

La legge prevede, poi, specifici requisiti soggettivi ed oggettivi in presenza dei quali l’operatività della collazione consente di realizzare l’auspicata parità di trattamento tra gli eredi.

I requisiti soggettivi espressamente previsti dalla legge sono i seguenti: il donatario deve essere coniuge, figlio (anche adottivo), o discendente del de cuius; il donatario deve essere coerede (quindi, deve avere accettato l’eredità).

Vi è, poi, un ulteriore requisito soggettivo considerato indispensabile dalla unanime dottrina e giurisprudenza, anche se non espressamente previsto dalla legge.

La collazione, invero, coerentemente con la ratio che la giustifica, ha senso solo se il coerede beneficiario della collazione rientra a sua volta tra coloro che sarebbero tenuti alla collazione, se fossero donatari, con la conseguenza che la collazione opera soltanto se vi sono almeno due coeredi in possesso dei requisiti soggettivi ed opera a vantaggio di questi soli soggetti (reciprocità della collazione).

Per fare un esempio, nel caso in cui, ad esempio, la comunione ereditaria si instaura tra il solo coniuge (donatario) ed il fratello del de cuius, la collazione non opera, mentre in caso di comunione ereditaria tra coniuge (donatario), figlio e fratello del de cuius, al fine di fare in modo che la collazione operi solo tra coniuge e figlio, si procede, preliminarmente ad uno stralcio divisionale (cioè, una divisione soggettivamente parziale), estromettendo dalla comunione il fratello del de cuius e, solo dopo, si procede alla divisione tra coniuge e figlio e, in questa sede, il donatario effettua la collazione.

Per quanto attiene, invece, ai presupposti oggettivi, questi consistono nella presenza di una comunione ereditaria (infatti, l’opinione per cui la collazione opererebbe anche in assenza di relictum è assolutamente minoritaria, il che è coerente con la natura della collazione quale operazione divisionale, che non ha quindi ragion d’essere in assenza di una massa ereditaria da dividere) e nella assenza di dispensa da collazione (la disciplina della collazione è, infatti, interamente derogabile dal de cuius, come sarà infra esposto).

Quanto all’imputazione ex se, invece, il presupposto soggettivo consiste nell’essere un soggetto legittimato attivo all’azione di riduzione, mentre sotto il profilo oggettivo devono sussistere i presupposti per l’azione di riduzione (cioè l’accettazione con beneficio d’inventario, se il legittimario è stato comunque istituito, e l’imputazione ex se di legati e donazioni).

Oggetto

Oggetto della collazione, come anticipato, sono le donazioni, dirette o indirette.

Vi sono, tuttavia, alcuni casi peculiari su cui vale la pena spendere qualche ulteriore considerazione.

In caso di donazioni indirette, ad esempio, è stato, soprattutto in passato, discusso se oggetto della collazione dovesse essere quanto materialmente donato dal de cuius, ovvero il bene finale acquistato dal donatario (in altri termini, se il padre Tizio dona al figlio Tizietto 500.000 affinché egli li usi per acquistare una casa, all’apertura della successione di Tizio, Tizietto sarà tenuto a collazionare la somma di denaro, o la casa con esse acquistata?).

Tale questione può, tuttavia, considerarsi oggi risolta, in quanto la giurisprudenza, anche di legittimità, è ormai pacifica nell’affermare che, in caso di donazione indiretta l’oggetto della collazione è quanto effettivamente acquistato dal donatario (nell’esempio fatto, Tizietto sarà quindi tenuto a collazionare la casa acquistata, non il denaro: ciò varrebbe anche nel caso in cui Tizio, invece di disporre una donazione di somma di denaro in favore del figlio, avesse direttamente pagato il prezzo di acquisto della casa ai sensi dell’art. 1180 del Codice civile, oppure avesse egli stesso acquistato e pagato la casa, ma inserendo nella compravendita una clausola di stipulazione in favore del figlio, ex art. 1411 del Codice civile).

In caso di negotium mixtum cum donatione è, invece, discusso se oggetto della collazione sia la somma di denaro pari alla differenza tra il valore del bene al momento del negozio ed il prezzo pagato, ovvero la “porzione” del bene donata quale che ne sia il valore all’apertura della successione: in altri termini, se Tizio vende al proprio figlio Tizietto una casa del valore di euro 500.000 al prezzo di euro 250.000 ed all’apertura della successione di Tizio lo stesso immobile vale ormai 1.000.000 di euro, Tizio sarà tenuto alla collazione della somma di euro 250.000, scomputati dal prezzo pagato al momento dell’acquisto, ovvero del valore della quota di ½ del bene acquistata a titolo gratuito, che quindi, all’apertura della successione, è pari ad euro 500.000?

Si tratta di questione ad oggi ancora discussa, pertanto, entrambe le impostazioni sono da ritenere sostenibili.

Sono, invece, escluse per legge dal meccanismo della collazione le donazioni di modico valore, i trasferimenti disposti in esecuzione di patto di famiglia per espressa previsione dell’art. 768-quater comma 4 del Codice civile, nonché quelle di cui all’art. 742 del Codice civile, cioè le spese per il mantenimento, l’educazione, le malattie e quelle ordinarie fatte per abbigliamento o nozze (comma 1), mentre le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto notevolmente eccedente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto.

Tutto quanto finora detto vale, altresì, per individuare l’oggetto dell’obbligo dell’imputazione ex se; tuttavia, a questi fini, rilevano non solo le donazioni dirette e indirette come sopra delineate, ma anche i legati in favore del legittimario.

Modalità attuative della collazione

Due sono le possibili modalità attuative della collazione, come emerge dall’art. 746 del Codice civile, il quale prevede, da un lato, la collazione per imputazione e, dall’altro lato, la collazione in natura.

Tuttavia, mentre la collazione per imputazione è possibile sempre (ed obbligatoria in caso di collazione di beni mobili), viceversa, la collazione in natura è possibile solo in caso di collazione di beni immobili che non siano stati alienati o ipotecati dal donatario e, comunque, sempre per libera scelta del donatario stesso: in questo caso, dunque, la collazione si configura come un’obbligazione con facoltà alternativa (è cioè dovuta la collazione per imputazione, salvo che il donatario scelga di procedere con collazione in natura).

Invero, nonostante la generale derogabilità della disciplina della collazione, è discussa in dottrina (e negata dall’opinione più tuzioristica) la possibilità per il testatore di prevedere, in deroga all’art. 746 del Codice civile, con quale modalità il donatario debba effettuare la collazione dell’immobile donato: sul punto, tuttavia, anche la dottrina più permissiva ammette soltanto la possibilità di imporre che la collazione avvenga per imputazione, non essendo mai possibile che la collazione in natura prescinda da una libera scelta del donatario.

In particolare, la collazione per imputazione si realizza tramite due passaggi: in primo luogo, il coerede-donatario addebita alla propria quota ereditaria il valore di quanto ricevuto per donazione (calcolato all’apertura della successione, non al momento della divisione); in secondo luogo, il coerede non donatario esercita il diritto potestativo di prelevare, ai sensi dell’art. 725 del Codice civile, dalla massa ereditaria beni della stessa natura e qualità (per quanto possibile) di ricevuto per donazione dall’altro.

La collazione in natura, invece, si realizza con la materiale restituzione alla massa ereditaria del bene ricevuto per donazione, tramite un negozio di trasferimento ai sensi dell’art. 1376 del Codice civile (che richiederà quindi tutte le menzioni richieste per i trasferimenti immobiliari) recettizio, retroattivo, irrevocabile, unilaterale da parte del donatario, che perde il diritto di piena ed esclusiva proprietà del bene, che diventa oggetto di comunione ereditaria.

Si pensi al caso di divisione ereditaria tra Tiziona, Tizio e Tizia, rispettivamente, coniuge e figli del defunto Tizione, che è morto intestato, avendo lasciato un patrimonio pari a complessivi euro 700.000 (al netto dei debiti ereditari) ed avendo donato in vita al figlio Tizio un immobile che, all’apertura della successione vale 200.000 euro.

In questo caso, essendo gli eredi tutti soggetti tenuti alla collazione, per rispettare il principio di reciprocità non è necessario procedere ad un previo stralcio divisionale, ma si può effettuare direttamente la divisione.

A questo punto, effettuata la riunione fittizia e scoperto che ogni erede dovrà ricevere alla fine 300.000 euro (relictum + donatum = 900.000, diviso per tre eredi = 300.000), Tizio potrà scegliere se effettuare la collazione in natura, cioè materialmente conferendo il bene donato nella massa, il cui valore diviene quindi pari ad euro 900.000 per poi procedersi alla divisione in tre quote uguali di 300.000 euro ciascuno, ovvero per imputazione, tenendo per sé il bene donato, imputandone il valore alla quota e vedersi assegnato in sede di divisione solo 100.000 euro (quota di euro 300.000, meno il valore della donazione di euro 200.000), mentre la residua massa (600.000 euro) verrà assegnata a Tiziona e Tizia in quote uguali di euro 300.000 ciascuna.

Dispensa e revoca dalla dispensa: analogie e differenze tra collazione e imputazione ex se

Il donante può espressamente decidere di escludere l’obbligo di collazione del donatario, tramite apposita dispensa, come emerge dall’art. 737 del Codice civile, ai sensi del quale i soggetti di cui sopra sono obbligati alla collazione “salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”.

Ciò si spiega in quanto l’istituto della collazione muove dalla premessa che il de cuius, disponendo una liberalità in favore di un discendente o del coniuge, non lo abbia comunque voluto avvantaggiare rispetto agli altri soggetti di cui all’art. 737 del Codice civile. Tuttavia, l’intento del donante ben può essere quello di prevedere un migliore trattamento per il donatario rispetto a quello previsto per gli altri, ma ciò è possibile a condizione che non siano lesi i diritti riservati dalla legge ai legittimari (coniuge, figli e, in assenza di questi, ascendenti): infatti, precisa il secondo comma dell’art. 737 del Codice civile che “la dispensa da collazione non produce effetti se non nei limiti della quota disponibile”.

Per effetto della dispensa, dunque, il donatario trattiene la liberalità ricevuta, che viene quindi imputata alla quota disponibile e, in aggiunta a questa, ottiene in sede di divisione la quota di eredità che gli spetta.

Questione discussa è quella della struttura della dispensa da collazione, considerata da alcuni Autori un negozio accessorio, quindi, bilaterale e formale se contenuto in una donazione, mentre unilaterale se contenuto in un testamento, mentre secondo l’opinione oggi prevalente si tratta di un negozio autonomo, unilaterale e a forma libera.

Le considerazioni svolte sulla dispensa da collazione sono integralmente mutuabili in relazione alla dispensa da imputazione ex se, che è ammissibile nei soli limiti della quota disponibile e, essendo secondo l’opinione prevalente un negozio unilaterale e autonomo, può sempre essere contenuta in un testamento non solo quando oggetto della dispensa sia un legato, ma anche nel caso in cui si tratti di una donazione diretta o indiretta (nel caso di donazione, tuttavia, la dispensa può anche essere contenuta nello stesso negozio inter vivos di liberalità, senza che ciò ne muti la natura): in caso di dispensa, dunque, il valore del legato o della donazione sono imputati alla quota disponibile del patrimonio, con la conseguenza che, qualora il legittimario-donatario/legatario agisca in riduzione potrà chiedere l’intero valore della quota di riserva (come calcolata con la riunione fittizia), trattenendo quando già acquistato per donazione o legato, il cui valore quindi si aggiunge a quello della riserva.

La medesima struttura deve, quindi, sicuramente essere condivisa altresì dalla revoca della dispensa da collazione o imputazione ex se, che fa riemergere l’obbligo legale, trattandosi di un atto di secondo grado rispetto alla dispensa.

Pertanto, i sostenitori della tesi della dispensa da collazione o imputazione ex se quale negozio accessorio negano la possibilità di revocare per testamento la dispensa contenuta nella donazione, ammessa, invece, dai sostenitori della natura della dispensa quale negozio autonomo.

Derogabilità della disciplina legale: la collazione volontaria e inammissibilità della imputazione ex se volontaria

Da quanto finora detto emerge chiaramente che l’intera disciplina della collazione è volta a tutelare un interesse privatistico del defunto (quello, cioè, di garantire la parità di trattamento tra il proprio coniuge ed i propri discendenti): da ciò discende la derogabilità di tutta la disciplina esposta, che può essere modificata, in senso ampliativo o restrittivo (mediante la dispensa) dal defunto, sia per quanto riguarda i presupposti oggettivi che quelli soggettivi.

L’unico presupposto soggettivo che non può essere derogato è il meccanismo della reciprocità, quindi, qualora in de cuius estenda l’obbligo di collazione ad un donatario che non rientra tra i soggetti di cui all’art. 737 del Codice civile (ad esempio, un fratello) quest’ultimo sarà obbligato a collazionare quanto ricevuto per donazione, ma, al contempo, beneficerà della collazione effettuata dagli altri soggetti tenuti.

Se prevista per testamento, secondo l’opinione prevalente e preferibile, la collazione volontaria assume la struttura di un prelegato anomalo, a carico del donatario ed a favore di tutti gli eredi, donatario incluso (stessa natura, quindi, della collazione “legale”, con la sola differenza che fonte del prelegato anomalo è il testamento, non la legge).

Infine, sul piano dell’oggetto, il testatore può prevedere l’obbligo di collazione anche per quelle liberalità sopra menzionate per le quali la collazione è espressamente esclusa per legge.

A considerazioni del tutto opposte si ritiene, invece, di potere giungere in relazione alla derogabilità della imputazione ex se: tale istituto, invero, come messo in luce fin dall’inizio del presente contributo, costituisce uno strumento previsto dal legislatore a tutela dei diritti che la legge riserva al legittimario, facendo dunque parte di un insieme di norme di ordine pubblico e per questo sottratte alla disponibilità dei privati.

Invero, se, come visto, è ammissibile che il legittimario ottenga più della mera riserva (il che avviene mediante la dispensa da imputazione ex se), non è invece ammissibile estendere l’obbligo di imputazione al di là dei limiti oggettivi fissati dalla legge e sopra delineati, in quanto ciò comporterebbe, di fatto, una riduzione del valore della quota di riserva del legittimario.

A tal fine, valga il seguente esempio: se Tizione obbligasse il figlio Tizio ad imputare alla sua quota di riserva le spese sostenute per il di lui matrimonio, ammontanti ad euro 10.000 (escluse dall’obbligo di imputazione e di collazione, ex art. 742 comma 1 del Codice civile), e la quota di riserva di Tizio calcolata con la riunione fittizia fosse pari ad euro 100.000, Tizio, in sede di divisione (o di azione di riduzione) potrebbe pretendere solo ulteriori euro 90.000 (quota di riserva, detratte le spese per le nozze), dunque 10.000 euro in meno rispetto a quanto gli assicurerebbe la legge.