LE SOCIETÀ BENEFIT
Introduzione.
Nel panorama delle forme societarie, le società benefit (SB) rappresentano ormai un modello consolidato per imprese che intendono operare con un duplice scopo: generare profitto e al contempo produrre un impatto positivo misurabile sulla società, l’ambiente e altri stakeholder.
Tale configurazione non implica la nascita di una nuova forma giuridica, bensì una speciale qualifica di società già esistenti o di nuova costituzione, in grado di affiancare obiettivi di beneficio comune all’interesse dei soci. Invero, il legislatore italiano ha riconosciuto questa forma imprenditoriale come strumento valido per promuovere una cultura d’impresa responsabile e sostenibile.
Il presente contributo mira ad analizzare la definizione normativa, i requisiti, le implicazioni pratiche e soprattutto i vantaggi fiscali che possono derivare da questa scelta statutaria.
Quadro normativo e definitoria.
Il modello della società benefit è stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, nota come Legge di Stabilità 2016, in vigore dal 1 gennaio 2016. Con questa normativa si apre la possibilità di coniugare profitto e impatto positivo, una vera e propria “intersezione” tra impresa for-profit e logiche di bene comune.
Secondo l’art. 1, commi 376–384 della L. 208/2015, una società benefit è definita come una società che, nell’esercizio di un’attività economica, persegue:
- l’obiettivo di dividere gli utili tipico delle imprese profit;
- una o più finalità di beneficio comune, inteso come realizzazione di effetti positivi — o riduzione di effetti negativi — nei confronti di persone, comunità, ambiente, territori, beni culturali e altri stakeholder.
Si precisa che il beneficio comune deve essere effettivo e tangibile, radicato nella missione dell’impresa, non meramente formale o decorativo.
Come sopra accennato, tutte le principali forme societarie italiane possono assumere lo status di società benefit, che può quindi riguardare:
- società di persone (S.s., S.n.c., S.a.s.);
- società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.A.); e
- consorzi e cooperative, con alcune eccezioni
Sono, tuttavia, previste alcune ipotesi di esclusione. Non possono, infatti, rivestire la qualifica di società benefit le S.r.l. semplificate, le cooperative sociali e le imprese sociali.
Per acquisire lo status di società benefit, è necessaria una modifica statutaria in forza della quale la società in questione rispetti tutti i seguenti requisiti:
- oggetto sociale esteso, con indicazione esplicita dello scopo di lucro affiancato dal beneficio comune;
- nomina di un soggetto responsabile, interno o esterno, incaricato del perseguimento delle finalità di beneficio comune, con compiti specifici e autonomia gestionale;
- obbligo di trasparenza, mediante la redazione annuale di una relazione di impatto, allegata al bilancio e pubblicata, nella quale si diano conto obiettivi, azioni e risultati concreti.
Questi adempimenti assicurano l’accountability della società e contrastano il rischio di greenwashing, per tale intendendosi una strategia di comunicazione ingannevole con cui un’impresa si presenta come “sostenibile” o “attenta all’ambiente”, pur non avendo in realtà adottato pratiche concrete in quella direzione.
Dimensione dottrinale e comparativa.
La società benefit si colloca come un modello ibrido: un punto intermedio tra impresa tradizionale e organizzazione socialmente orientata.
Pur con finalità di lucro, le società benefit incorporano infatti la visione dell’impresa come strumento di progresso sociale.
Ciò vale a distinguere le società benefit dall’impresa sociale, che è per sua natura non profit, con divieto di distribuzione di utili e focus su settori predefiniti, laddove le società benefit, al contrario:
- consentono la distribuzione di utili;
- operano in qualsiasi ambito privato, senza vincoli di settore; e
- conciliano profitto e impatto verso stakeholder diversi.
L’Italia è stato il secondo Paese, dopo gli Stati Uniti, a riconoscere formalmente questa figura societaria. A livello pratico, l’Assobenefit (cioè, l’associazione nazionale per le società benefit) ha rilevato un numero crescente di società benefit:
- 3.619 società nel 2024, +37,8 % rispetto al 2023 (2.626 nel 2023);
- Performance economiche superiori rispetto alle non-benefit: crescita del fatturato (+37 % vs +18 %), margine EBITDA (9 % vs 8,3 %), produttività per addetto (62.000 € vs 57.000 €);
- Diffusione capillare sul territorio: 35 % in Lombardia, 11 % nel Lazio, 10 % in Veneto.
Ciò evidenzia come le società benefit stiano affermando un modello imprenditoriale basato su valore condiviso e resilienza.
Vantaggi fiscali.
4.1 Il credito d’imposta per la costituzione o trasformazione
In ragione dello scopo meritorio che perseguono, l’ordinamento ha riconosciuto fin da subito alle società benefit una serie di vantaggi di varia natura.
Il principale incentivo fiscale era, originariamente, il credito d’imposta pari al 50% dei costi sostenuti per la costituzione o trasformazione in società benefit, fino a un massimo di euro 10.000: un incentivo che ha favorito la diffusione iniziale del modello. Le spese agevolabili includevano, ad esempio, gli onorari notarili, i costi di consulenza e quelli legati all’iscrizione presso il Registro delle imprese.
Questa agevolazione, prevista inizialmente dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020), con termine al 31 dicembre 2020 è stata successivamente prorogata fino al 30 giugno 2021 (Decreto Milleproroghe) e poi fino al 31 dicembre 2021 (Decreto Sostegni-bis). Tuttavia, ad oggi (agosto 2025) non risulta alcuna ulteriore proroga. Pertanto, il credito d’imposta è utilizzabile solo per le operazioni concluse entro la fine del 2021.
Benché il credito d’imposta sia stato l’incentivo più significativo, le società benefit possono beneficiare anche di vantaggi indiretti.
In particolare, l’assunzione della qualifica comporta spesso un migliore posizionamento competitivo nelle procedure di selezione pubblica e privata, grazie alla crescente attenzione ai criteri ESG da parte delle stazioni appaltanti e degli investitori istituzionali.
Non meno rilevante è il ritorno in termini reputazionali: la qualifica di società benefit rappresenta infatti un elemento di attrattività nei confronti di clienti, fornitori, dipendenti e, più in generale, di tutti i portatori di interesse.
A ciò si aggiunge la possibilità di allinearsi con le metriche internazionali di sostenibilità, che costituisce oggi un fattore decisivo per accedere a canali di finanziamento e partnership a livello globale.
Considerazioni conclusive e prospettive.
A ben vedere, le società benefit rappresentano una risposta concreta alle sfide attuali dell’imprenditoria: sostenibilità, responsabilità sociale, trasparenza e resilienza.
Tuttavia, l’assenza attuale di incentivi fiscali diretti (come il credito d’imposta, ormai scaduto) può ridurne l’appeal per alcune imprese.
Inoltre, l’onere gestionale (relazione d’impatto, responsabilità trasparenza, nomine) richiede risorse dedicate e competenze specifiche.
In fase di costituzione e trasformazione, il ruolo del notaio è fondamentale per garantire la correttezza formale dello statuto e l’efficacia degli adempimenti, ma anche i consulenti legali, fiscali e ESG rivestono un ruolo cruciale nel disegnare e attuare il percorso strategico.
A valle di tutto quanto osservato, risulta auspicabile che il legislatore valuti nuove misure incentivanti, dato il potenziale dimostrato dalle società benefit nella produzione di valore condiviso, che rappresentano un modello imprenditoriale avanzato e in continua crescita in Italia e offrono un framework normativo e operativo capace di coniugare profitto e impatto sociale, grazie anche a una normativa robusta orientata alla trasparenza e all’accountability. Il sempre maggiore interesse degli investitori e dei mercati verso le metriche ESG potrebbe anticipare spinte regolamentari o fiscali favorevoli.
