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Natura dei soggetti proprietari delle case di tipo economico popolare

In generale, l’espressione edilizia residenziale pubblica viene utilizzata per designare il complesso delle leggi speciali che prevedono interventi statali di vario genere diretti ad agevolare la costruzione di edifici destinati a soddisfare le esigenze abitative delle persone meno abbienti.

La disciplina dell’edilizia residenziale pubblica comprende un insieme di disposizioni legislative che vengono ripartite tra norme di edilizia sovvenzionata, edilizia agevolata ed edilizia convenzionata.

L’espressione edilizia agevolata identifica quel settore dell’edilizia caratterizzato da interventi creditizi per la realizzazione di alloggi da parte di soggetti privati, a condizioni di particolare favore e con contributo dello Stato.

Con il termine di edilizia sovvenzionata si intende quella parte di edilizia residenziale pubblica caratterizzata dal fatto che gli alloggi sono costruiti dagli enti pubblici preposti al settore edilizio per essere destinati ai cittadini in precarie condizioni economiche. Infine, per edilizia convenzionata si intende quella parte dell’edilizia residenziale pubblica caratterizzata dall’esistenza di una convenzione tra la pubblica amministrazione ed i soggetti che realizzano alloggi destinati ai ceti meno abbienti. Poiché il regime di circolazione dei beni culturali è basato essenzialmente sulla natura del soggetto proprietario del bene, è opportuno sottolineare che gli alloggi di edilizia residenziale pubblica possono essere realizzati o da enti pubblici preposti alla costruzione di case di tipo economico o popolare oppure da privati.

Gli enti pubblici preposti al settore edilizio erano originariamente costituiti da istituti quali le GESCAL, INCIS, INA CASE, ATC o enti analoghi, i quali erano persone giuridiche di diritto pubblico. Tali enti sono stati successivamente soppressi con l’art. 13 del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036, che ha previsto la costituzione degli IACP, anch’essi persone giuridiche di diritto pubblico, i quali sono succeduti agli istituti preesistenti.

Infine, il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 116 e la legge 142 del 1990 abrogata dal D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, hanno previsto la trasformazione degli IACP in ATER, che sono state istituite nelle singole province in forza di leggi regionali. Anche le ATER. sono enti pubblici economici dotati di personalità giuridica, i quali sono stati costituiti dai Comuni o dalle Province sulla base di leggi regionali.

I soggetti privati preposti alla costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica possono essere le cooperative edilizie, le imprese di costruzioni, consorzi e singoli.

In conclusione, poiché dall’analisi delle norme del codice dei beni culturali emerge che l’applicazione della disciplina in esso contenuta è strettamente collegata alla natura del soggetto proprietario e prescinde, invece, dal tipo di attività che esso concretamente svolge, relativamente agli alloggi di edilizia residenziale pubblica si possono verificare i seguenti casi:

1) qualora l’ente proprietario abbia la natura di ente pubblico, si dovranno rispettare le norme sul codice dei beni culturali ad esso relative e, in particolare, se l’edificio ha più di cinquant’anni è sottoposto alla disciplina dei beni culturali anche in assenza di un provvedimento di notifica del vincolo e la sua alienazione è soggetta ad autorizzazione;

2) viceversa, se l’edificio appartiene ad un privato, quale ad esempio la cooperativa appaltatrice o l’assegnatario dell’alloggio in proprietà, nonostante l’edificio stesso sia stato costruito secondo le regole dell’edilizia residenziale pubblica, la disciplina del codice dei beni culturali troverà applicazione solo in seguito alla notifica del vincolo artistico.

Ipotesi particolari

Per quanto riguarda la circolazione degli alloggi di tipo economico e popolare, è opportuno segnalare l’esistenza di due fattispecie particolari di atti dispositivi:

1) vendite ai sensi dell’art.1, comma 4, L. 24 dicembre 1993 n. 560;

2) atti di trasformazione in diritto di proprietà delle aree acquisite in diritto di superficie ai sensi dell’art. 31, commi 45 ss., L. 23 dicembre 1998 n.488 (legge finanziaria 1999).

Alienazione ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge 24 dicembre 1993 n. 560

L’art. 1, comma 4, L. 560/93, disciplina il procedimento attraverso il quale gli alloggi realizzati in base alle norme sull’edilizia sovvenzionata possono essere alienati ai soggetti assegnatari degli stessi, sulla base dei piani di vendita formulati dalla Regione su proposta degli enti proprietari.

Tale provvedimento normativo probabilmente non può essere considerato a stretto rigore una legge di edilizia residenziale pubblica, in quanto è stato emanato per consentire la dismissione degli alloggi degli IACP nell’ambito delle procedure di liquidazione del loro patrimonio. La circostanza che non si tratti di norma di edilizia residenziale pubblica in senso stretto emerge anche dal tenore del comma 3 dell’art. 1 della L. 24 dicembre 1993, n. 560, il quale prescrive che “sono esclusi dalle norme della presente legge gli alloggi di servizio oggetto di concessione amministrativa in connessione con particolari funzioni attribuite a pubblici dipendenti, gli alloggi realizzati con mutuo agevolato di cui all’articolo 18 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni, nonché quelli soggetti ai vincoli di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni”.

Tale disposizione esclude l’applicazione della disciplina sulla vendita degli alloggi di proprietà dell’ente pubblico proprietario agli immobili soggetti ai vincoli previsti dalla disciplina dei beni culturali. Ciò significa che nel momento in cui l’ente intende vendere gli alloggi ai sensi delle norme contenute nella L. 560/1993 occorre una verifica preventiva sulla sussistenza di tutti i presupposti richiesti per poter procedere all’alienazione. In particolare, poiché il comma 3 dell’art. 1, L. 560/1993, esclude l’applicazione delle predette disposizioni agli alloggi soggetti ai vincoli contenuti nella disciplina dei beni culturali, si potrebbe ipotizzare che l’inserimento di un bene nei piani di vendita degli alloggi di tipo economico e popolare comporti una valutazione preventiva della non culturalità dello stesso da parte della pubblica amministrazione.

Occorre, tuttavia, verificare se tale valutazione preventiva sia sufficiente ad escludere l’applicazione del codice dei beni culturali in mancanza di un provvedimento formale in tal senso. A questo proposito, appare opportuno segnalare che secondo la giurisprudenza amministrativa di merito “l’indipendenza del vincolo storico-artistico rispetto alla concomitante disciplina urbanistica dell’area in cui esso ricade non può tradursi in una costantemente precostituita prevalenza del valore costituzionale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione (art. 9, secondo comma Cost.) rispetto alla previsione, parimenti inserita in una norma di rango costituzionale (art. 47 secondo comma Cost.) di istituti che favoriscano, da parte dello Stato, l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”.

Alla luce di tale orientamento, si potrebbe ritenere che il comma 3 dell’art. 1, L. 560/1993, escluda la possibilità di alienare gli alloggi inseriti nei piani di vendita nelle sole ipotesi in cui sia certa l’esistenza dell’interesse artistico in virtù dell’emanazione di un provvedimento in tal senso.

Qualora si accogliesse una simile impostazione, per la quale non mancano dubbi, si potrebbe presumere che in caso di vendita ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge 24 dicembre 1993 n. 560, di un edificio di edilizia residenziale pubblica avente più di cinquant’anni, inserito nei piani di vendita, sia da escludere l’applicazione delle norme sui beni culturali, nel caso in cui manchi un apposito provvedimento di vincolo.

Le perplessità in ordine a tale ricostruzione trovano invero riscontro nell’esistenza di una prassi contraria adottata da gran parte degli enti di edilizia residenziale pubblica, i quali, prima dell’inserimento nei piani di cessione, di volta in volta per ogni singolo complesso immobiliare richiedono formale verifica da parte della competente Sovrintendenza.

Atti di trasformazione in diritto di proprietà delle aree acquisite in diritto di superficie ai sensi dell’art.31, commi 45 ss. Della legge 23 dicembre 1998 n.488 (legge finanziaria 1999)

Il comma 47 dell’art. 31 della legge finanziaria 1999 (legge 23 dicembre 1998, n. 448) stabilisce che: “la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sulle aree può avvenire a seguito di proposta da parte del comune e di accettazione da parte dei singoli proprietari degli alloggi, e loro pertinenze, per la quota millesimale corrispondente”.

Per valutare l’applicabilità del codice dei beni culturali a tale fattispecie occorre analizzare la natura, gli effetti ed il contenuto di tale atto.

Per quanto riguarda la natura giuridica, la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà viene realizzata attraverso una modifica della convenzione originariamente intercorsa tra il Comune e il soggetto richiedente ai sensi dell’art. 35, comma 7, L. 22 ottobre 1971, n. 865, avente ad oggetto la concessione del diritto di superficie. La prima convenzione ha natura di concessione-contratto, in quanto si sostanzia nella concessione da parte del Comune del diritto di superficie sull’area all’assegnatario, e nella convenzione da stipularsi per atto pubblico tra il privato stesso ed il Comune concedente.

Ne consegue che anche la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà debba essere realizzata attraverso una concessione-contratto: una volta che il Comune abbia adottato le determinazioni sue proprie con tutte le valutazioni del caso ed abbia deciso di addivenire alla “trasformazione” degli esistenti diritti di superficie in diritto di proprietà, dovrà essere stipulata la modifica della convenzione originaria mediante un nuovo accordo tra il Comune e l’assegnatario dell’area o il suo avente causa.

Per quanto riguarda gli effetti della concessione contratto, il proprietario superficiario dell’alloggio acquista la piena proprietà dell’alloggio stesso e la corrispondente quota di comproprietà del suolo sul quale insiste l’edificio.

In relazione al contenuto, la trasformazione del diritto di superficie nel diritto di proprietà ha ad oggetto il trasferimento da parte del Comune della proprietà dell’area gravata da un diritto di superficie a termine, avente la durata di novantanove anni.

Per valutare l’applicabilità del codice dei beni culturali alla fattispecie in esame, appare opportuno analizzare se l’oggetto mediato dell’atto di disposizione posto in essere dal Comune sia soltanto il terreno, oppure anche l’edificio che insiste su di esso. Tale circostanza assume rilievo in quanto, se il trasferimento ha ad oggetto soltanto il terreno sul quale insiste l’edificio, non si applicano le norme in materia di circolazione dei beni culturali, perché un terreno non può essere bene culturale per le sue qualità intrinseche, fatta salva l’ipotesi in cui il suolo sia bene culturale per il suo collegamento con la storia. Il problema si pone in virtù del fatto che nel caso di specie il Comune dispone della proprietà di un’area sulla quale insiste un diritto di superficie avente la durata massima di novantanove anni.

Quando il diritto di superficie è sottoposto a termine finale, trova applicazione la regola di cui all’art. 953 codice civile, il quale prevede che “allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione”.

Pertanto, qualora le parti non stipulassero la trasformazione del diritto di superficie prevista dalla l. 448/98, il Comune, proprietario dell’area concessa in superficie, diventerebbe pieno proprietario anche dell’edificio costruito sul suolo.

La trasformazione prevista nella L. 448/98, è, appunto, diretta ad evitare che, alla scadenza della superficie, il Comune diventi proprietario dell’edificio. Poiché la trasformazione ex L. 448/98, impedisce al Comune di diventare proprietario dell’edificio, potrebbe forse sorgere il dubbio che con la convenzione di trasformazione della superficie il Comune ponga in essere un atto di disposizione della proprietà non solo del suolo, ma anche della costruzione.

Tuttavia, la circostanza che la trasformazione del diritto di superficie in proprietà impedisce al proprietario del suolo di acquistare la proprietà della costruzione ai sensi dell’art. 953 codice civile, non può indurre a ritenere che il Comune disponga, seppure indirettamente, anche della proprietà dell’edificio.

L’acquisto della proprietà dell’edificio allo scadere del diritto superficie, infatti, non avviene in forza di un atto di disposizione a carattere negoziale, bensì in forza della previsione contenuta nell’art. 953 codice civile Nonostante, quindi, esista un nesso tra la trasformazione del diritto di superficie in proprietà ed il mancato acquisto della proprietà dell’edificio, non è possibile ipotizzare che la fattispecie di cui all’art. 31, comma 47, L. 448/98, possa qualificarsi come atto dispositivo della proprietà dell’edificio.

In conclusione, quindi, qualora si accolga tale impostazione, si può ritenere che con la trasformazione del diritto di superficie in proprietà il Comune dispone soltanto del terreno e, quindi, il codice dei beni culturali non dovrebbe trovare applicazione