Nozione generale e presupposti della riduzione reale
La riduzione del capitale sociale si definisce “reale” quando la cifra del capitale sociale nominale è accompagnata da una contestuale riduzione del patrimonio della società.
Pertanto, a differenza di quanto accade nella riduzione nominale, l’operazione può pregiudicare i creditori sociali, i quali hanno diritto di opposizione.
La riduzione reale è disciplinata dall’art. 2445 codice civile per le s.p.a. (art. 2482 codice civile per le s.r.l.) ed è qualificabile come una riduzione “volontaria”, in quanto non è imposta da alcuna norma di legge.
I presupposti della riduzione reale sono elencati nell’art. 2445 codice civile, ovvero:
1) Devono essere rispettati i limiti di cui all’art. 2327 codice civile ed il capitale sociale non deve essere ridotto al di sotto del minimo legale;
2) Se la società ha emesso obbligazioni, la riduzione non può essere attuata se non nel rispetto delle obbligazioni ancora in circolazione, altrimenti non viene rispettato il limite di cui al 1° comma dell’art. 2445 codice civile;
3) Solo per le società cd. aperte, in caso di detenzione di azioni proprie è necessario che, anche a seguito della riduzione reale, risulti rispettato il limite del 20% ai sensi dell’art. 2357 3° comma codice civile;
4) Il valore nominale delle azioni a voto limitato “non può complessivamente superare la metà del capitale sociale” come previsto dal 2° comma dell’art. 2445 codice civile;
5) In caso di costituzione di patrimoni destinati, questi non possono essere costituiti per un valore superiore nel complesso al 10% del patrimonio netto della società, come risulta dall’art. 2447 bis 2° comma codice civile;
6) L’ultimo presupposto riguarda l’assenza di perdite.
Non costituisce un presupposto per la riduzione reale, invece, il fatto che la società non versi in stato di liquidazione, in quanto secondo la massina n.93 del Consiglio Notarile di Milano prevede che la riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2445 codice civile può essere effettuata anche durante la fase di liquidazione della società, ma la sua esecuzione è soggetta ai limiti e alle condizioni di cui all’art. 2491 codice civile.
Riduzione reale attuata mediante assegnazione di beni in natura ai soci
Tra le modalità concrete di attuazione della riduzione reale non risulta espressamente disciplinata dal codice civile l’assegnazione di beni in natura, tanto è vero che è stata oggetto di discussione in dottrina.
In primis, il 1° comma dell’art. 2445 codice civile nel prevedere espressamente il rimborso del capitale, sembra riferirsi ad un’attribuzione di denaro e non di beni in natura in favore dei soci.
Inoltre, una simile modalità di attuazione può pregiudicare sia i creditori sociali, sia i soci.
Andiamo ad esaminare queste possibilità nel dettaglio.
Pregiudizio per i creditori sociali
La riduzione reale attuata mediante assegnazione ai soci di beni in natura potrebbe arrecare un pregiudizio ai creditori sociali in quanto la mancanza di criteri di valutazione dei beni può comportare una lesione del patrimonio sociale.
Parte della dottrina, infatti, al fine di garantire che il valore dei beni da rimborsare non si discosti dall’ammontare del capitale ridotto, ritiene opportuna una relazione di stima redatta con i criteri previsti dall’art. 2343 codice civile, la quale deve essere allegata al verbale notarile.
Come è stato più volte sottolineato, invece, dalla dottrina prevalente, mentre il legislatore, a tutela dell’integrità del capitale sociale, dispone una serie di circostanziate cautele nel caso di conferimenti di beni in natura, non altrettanto fa nel caso di dismissione degli stessi.
Infatti, al pari di quanto accade nei normali atti di disposizione degli stessi, la società può liberamente stabilire il valore di beni in natura assegnati in sede di riduzione del capitale sociale.
Tutto ciò, fermo restando che il valore contabile, risultante dal bilancio, del bene assegnato deve corrispondere al valore nominale della porzione di capitale sociale ridotto, qualora il valore reale di detto bene dovesse essere sottostimato, con evidente pregiudizio in danno dei creditori sociali, i quali possono, in ogni caso, esercitare il diritto di opposizione ai sensi dell’art. 2445 codice civile.
Posizione dei soci
Questa modalità di attuazione della riduzione reale potrebbe, altresì, incidere negativamente anche sulla posizione dei soci, in quanto l’attribuzione di beni in natura violerebbe il loro diritto al rimborso in denaro, pacificamente riconosciutogli dalla dottrina.
Il rimborso del capitale mediante assegnazione di beni in natura, secondo parte della dottrina, risulterebbe lesivo del principio di “parità di trattamento”, in quanto tutti i soci vedrebbero non riconosciuto il diritto al rimborso mediante denaro.
Tuttavia, il citato principio deve considerarsi rispettato qualora a ciascun socio venga attribuito quanto gli sia dovuto, a prescindere dalla modalità attributiva utilizzata.
Pertanto, non può essere messa in dubbio l’ammissibilità di un’attribuzione in natura in luogo del denaro ai sensi dell’art. 1197 codice civile, poiché la delibera di riduzione determina la nascita del credito pecuniario al rimborso e l’attribuzione del bene in natura è una mera datio in solutum intercorrente tra la società e il socio assegnatario.
Parimenti, nulla quaestio se la modalità attributiva in esame venga assunta con il consenso unanime di tutti i soci, venendo meno la questione di un eventuale pregiudizio.
Si discute se l’assegnazione dei beni in natura possa essere deliberata o meno a maggioranza.
Sembra prevalere in dottrina la tesi secondo cui la maggioranza possa tout court imporre al socio di minoranza l’assegnazione in natura piuttosto che in denaro, salvo che siano adottati i dovuti accorgimenti volti ad assicurare la parità di trattamento tra i soci.
Occorre rilevare che una clausola statutaria possa prevedere la modalità esecutiva in oggetto, la quale può considerarsi lecita o no, in relazione alla tesi cui si aderisce in ogni caso, a differenza di quanto disposto dalla legge nel caso di conferimento di beni in natura, come previsto dall’art. 2342 1° comma codice civile, in questo caso un’apposita clausola statutaria non sembra necessaria.
Infine, in caso di eventuali vincoli (es. usufrutto, pegno o sequestro) gravanti sulle azioni o quote di partecipazione spettanti ad un socio, in sede di assegnazione, questi restano anche sui beni in natura assegnati.
