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Nozione, tipologie e natura giuridica

La trasformazione è un’operazione straordinaria sul capitale sociale che segna il passaggio da una società lucrativa ad un’altra società lucrativa o ad un ente causalmente diverso o ad una comunione di azienda oppure ad un consorzio con attività interna, e viceversa.

Prima della riforma del 2003, la trasformazione consisteva, soltanto, nel cambiamento del tipo di società, ovvero il passaggio da un tipo sociale ad un altro; con la riforma è stata introdotta anche la trasformazione di società in enti non societari e viceversa. L’attuale disciplina distingue infatti tra:

1)Trasformazione omogenea: è il passaggio dall’uno all’altro tipo nell’ambito delle società lucrative (artt 2500 ter-2500 sexies codice civile);

2)Trasformazione eterogenea: è il passaggio da una società lucrativa ad un ente causalmente diverso, cioè ad una società non lucrativa o ad un ente non societario e viceversa (artt 2500 sexies-2500 novies codice civile).

La trasformazione, a sua volta, si distingue in progressiva o regressiva, a seconda che la società o l’ente di arrivo abbia maggiori o minori dimensioni rispetto alla società o all’ente di partenza. Con riferimento alla natura giuridica, il nostro ordinamento basa la trasformazione sul cd. principio di continuità.

L’art 2498 codice civile, infatti, stabilisce che: “con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.

Secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, la trasformazione ha natura giuridica di mera modificazione dell’atto costitutivo.
Essa non comporta trasferimento di beni, né successione di un soggetto ad un altro, né estinzione e costituzione di un nuovo ente. Si ha, invece, continuità: il soggetto giuridico resta lo stesso, ma muta soltanto la sua veste giuridica.

Per quanto riguarda la prassi notarile, le menzioni urbanistiche non devono essere necessariamente inserite nell’atto di trasformazione; mentre la trascrizione non è prevista ai sensi degli artt 2643 ss codice civile e neppure per fini fiscali. Tuttavia, nella prassi notarile si è soliti lo stesso a procedere alla trascrizione ai fini di mera pubblicità notizia e non di pubblicità dichiarativa.

Se nel patrimonio dell’ente che effettua la trasformazione sono compresi beni culturali, si pone il problema dell’applicabilità della disciplina dei beni culturali. Quindi:

-non sussistono i presupposti della prelazione ai sensi dell’art 59 del D.Lgs n.42/2004, in quanto non si trasferisce un bene culturale;

-non è obbligatorio effettuare la denuncia, poiché non vi è un mutamento del soggetto giuridico titolare del bene culturale.

Le modifiche statutarie contestuali alla trasformazione

Quando si effettua una trasformazione, spesso si delibera un’ulteriore modifica dello statuto, in tale caso, occorre distinguere due ipotesi:
a) Se si vuole che la modifica sia indipendente dalla trasformazione, essa è deliberata autonomamente prima della trasformazione, trattandosi di una modifica autonoma, dunque:

– Se la trasformazione non ha effetto per qualsiasi causa, la modifica ulteriore produce comunque effetto;
– Se la trasformazione ha effetto in un secondo momento, la modifica ulteriore produce comunque effetto subito e viene immediatamente iscritta nel Registro delle imprese;

b) Se la modifica ulteriore è implicita nella delibera di trasformazione, in tanto si vuole modificare lo statuto, in quanto vi è la trasformazione della società. In altre parole, si tratta di una modifica connessa alla trasformazione, pertanto:

– Se la trasformazione non ha effetto per qualunque causa, nemmeno la modifica ulteriore produce effetto;
– Se la trasformazione ha effetto in un secondo momento, anche la modifica ulteriore produce effetto successivamente.

Alla trasformazione che comporta ulteriori modifiche statutarie si applica non solo la disciplina della trasformazione, ma anche quella dell’ulteriore modificazione dello statuto, in particolare, se la legge o lo statuto richiedono una maggioranza qualificata, vale tale maggioranza.

Il capiale nella trasformazione

A differenza che nella fusione e nella scissione, nella trasformazione manca una disposizione quale l’art 2503 codice civile, il quale attribuisce il diritto di opposizione dei creditori sociali; pertanto, la trasformazione non può comportare una riduzione reale del capitale sociale.

Si afferma, infatti, che il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere fissato tra:
a) Un minimo, rappresentato dall’importo più alto tra vecchio capitale e capitale minimo legale, cioè, il capitale può essere fissato in misura inferiore al vecchio capitale solo se è rispettata la disciplina generale sulla riduzione reale del capitale (artt 2445 e 2482 codice civile);

b) Un massimo, rappresentato dal patrimonio netto, ovvero, il capitale può essere fissato in misura superiore al patrimonio netto solo se la differenza è coperta dai soci mediante nuovi conferimenti.

Se il patrimonio sociale è superiore al capitale, è possibile, o imputare a capitale della società risultante dalla trasformazione l’intero patrimonio, o imputarne solo una parte. In quest’ultimo caso, la parte di patrimonio che eccede il capitale è imputata a riserva.

E’, altresì, possibile che il patrimonio sociale sia inferiore al minimo legale previsto per la società risultante dalla trasformazione.
Questo accade soprattutto in caso di trasformazione omogenea da società di persone in società di capitali e di trasformazione da S.R.L. ad S.P.A.

In queste ipotesi, è necessario integrare il patrimonio sociale per raggiungere il minimo legale. Si effettuano quindi dei conferimenti contestuali alla decisione di trasformazione.

Occorre precisare che in questo caso non si ha un aumento di capitale autonomo dalla trasformazione, perché, nella fattispecie l’aumento di capitale è dovuto esclusivamente all’insufficienza del netto patrimoniale della società trasformata rispetto al minimo legale prescritto dalla legge per la società post trasformazione, con la conseguenza che, in caso di inefficacia della trasformazione, i soci non delibererebbero l’aumento oneroso. Per tale ragione, sarebbe più corretto definire tale operazione come un’“integrazione del capitale sociale” non soggetta agli adempimenti richiesti dalla legge per l’aumento oneroso.

Quindi può accadere che, se la società risultante dalla trasformazione è una società di capitali, deve essere versato almeno il 25% dei nuovi conferimenti in denaro; in caso di S.P.A. deve essere versato nelle casse sociali e non in banca; per le S.R.L. vale il principio generale secondo cui il versamento viene effettuato direttamente all’organo amministrativo ai sensi dell’art 2464 4° comma codice civile.

In caso di riduzione reale del capitale sociale contestuale alla trasformazione, è possibile che si intende, in particolare nella trasformazione di S.P.A. in società di persone o S.R.L., osservare la disciplina sulla riduzione reale del capitale sociale, ovvero la disciplina ex art 2306 codice civile o ex artt 2445 e 2482 codice civile. In altre parole, poiché l’operazione pregiudica i creditori sociali, agli stessi deve essere riconosciuto il diritto di opposizione.

Nella prassi notarile, l’assemblea assume due delibere autonome:
a) La trasformazione, che ha effetto immediato;

b) La riduzione del capitale reale, che verrà sottoposta alla normativa relativa alle società risultanti dalla trasformazione e che, pertanto, avrà effetto solo decorsi i termini di legge in assenza di opposizione.

La trasformazione di società in liquidazione

Una particolare ipotesi di trasformazione si verifica nel caso di pendenza della procedura di liquidazione. Ai sensi dell’art 2499 codice civile: “può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, purché non vi siano incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa”. La norma, dunque, pone due limiti cumulativi e non alternativi.

Secondo una parte della dottrina, la trasformazione si può effettuare anche in pendenza di trasformazione, proprio in virtù di questa norma, ma è discusso se tale trasformazione comporti revoca implicita della liquidazione.

Alcuni, sostengono la tesi affermativa, perché in primo luogo la trasformazione è incompatibile con lo scopo liquidativo, in secondo luogo perché non è possibile che una società nasca in stato di liquidazione.

La dottrina prevalente, tuttavia, ritiene che la trasformazione non comporta la revoca implicita dello stato di liquidazione, in quanto la trasformazione può essere fatta anche al fine di agevolare le operazioni di liquidazione (cd. trasformazione a scopo liquidativo).

Una volta sostenuto quanto sopra asserito, si può verificare una delle due seguenti ipotesi:
a) La società resta in stato di liquidazione, deliberando solo la trasformazione, che ha effetto immediato e la società resta in stato di liquidazione;
b) La revoca dello stato di liquidazione viene fatta in forma “espressa”, in quanto la società può deliberare
contestualmente:
1) La revoca espressa dello stato di liquidazione, che avrà effetto decorsi 60 giorni dalla deliberazione;
2) La trasformazione, sotto la condizione sospensiva che la revoca dello stato di liquidazione acquisiti efficacia, al fine di
riprendere l’attività di impresa.

L’atto di trasformazione

In via preliminare, occorre precisare che, a differenza di quanto accade per la fusione e per la scissione, il procedimento attuativo prevede la redazione di due atti notarili ovvero la decisione e l’atto, la trasformazione consta di un unico atto notarile, in quanto alla decisione di trasformazione non consegue alcun atto esecutivo.

Ai sensi dell’art 2500 1° comma codice civile: “la trasformazione in società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata deve risultare da atto pubblico, contenente le indicazioni previste dalla legge per l’atto di costituzione del tipo adottato”.

Tuttavia, non tutte le indicazioni previste dalla legge devono essere inserite nell’atto di trasformazione, ad esempio non è necessaria l’indicazione delle spese per la costituzione o le indicazioni con le generalità dei soci.

Con riferimento al regime di pubblicità, l’art 2500 2° comma codice civile è richiesta una doppia pubblicità:

1)Una per l’estinzione;

2)Una per la costituzione.

Pertanto, in caso di trasformazione in o da associazione riconosciuta o in o da fondazione, occorre una doppia iscrizione dell’atto di trasformazione; una nel Registro delle imprese e l’altra nel Registro delle persone giuridiche.

Invece, in caso di trasformazione da società semplice ad altra società, e viceversa, serve sempre una doppia iscrizione dell’atto di trasformazione nel Registro delle imprese; una nella sezione speciale e l’altra nella sezione ordinaria.

In caso di trasformazione da comunione di azienda o da consorzio con attività interna, sorge il problema che per tali enti non c’è pubblicità, quindi non è possibile la pubblicità dell’estinzione dell’ente. In questi casi, si farà l’unica pubblicità possibile, cioè l’iscrizione nel Registro delle imprese della costituzione della società e da essa decorrono i 60 giorni ai sensi dell’art 2500 novies codice civile.

Anche in caso di trasformazione in comunione d’azienda, in consorzio con attività interna o in associazione non riconosciuta, sorge il problema che per tali enti non c’è la pubblicità, quindi non è possibile la pubblicità della costituzione dell’ente. In questi casi, si potrà fare l’unica pubblicità possibile ovvero l’iscrizione nel Registro delle imprese della cessazione della società da cui decorrono i 60 giorni ai sensi dell’art 2500 novies codice civile.

Con riguardo agli effetti della trasformazione, l’art 2500 3° comma codice civile prevede che: “la trasformazione ha effetto dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari di cui al comma precedente”.

In virtù di questo inciso normativo, è discusso se ed in quali limiti sia possibile apporre un termine iniziale o una condizione sospensiva all’atto di trasformazione.

Per quanto concerne il termine iniziale, la dottrina lo ritiene ammissibile per l’applicazione analogica degli att 2504 bis e 2506 quater codice civile dettati in materia di fusione e di scissione.

Quanto alla condizione sospensiva non vi è un orientamento unanime, perché alcuni non la ritengono ammissibile in dottrina per via del principio di tassatività delle forme di pubblicità, non essendo prevista una pubblicità per l’avveramento della condizione; altra parte della dottrina, invece, ammette le delibere condizionate nelle quali l’evento condizionante è soggetto ad un’autonoma iscrizione nel Registro delle imprese e perché il suddetto principio non vale anche per le pubblicità secondarie come l’annotazione e la cancellazione, ma solo per quelle primarie come l’iscrizione e la trascrizione.

Sulla possibilità di apposizione di un termine finale o di una condizione risolutiva all’atto di trasformazione, la dottrina è unanime a non ritenerlo possibile, perché in contrasto con la disciplina di cui all’art 2500 bis codice civile, espressione del principio di stabilità degli effetti degli atti societari.

In caso di invalidità dell’atto costitutivo, secondo quanto stabilito dall’art 2500 bis codice civile: “eseguita la pubblicità di cui all’articolo precedente, l’invalidità dell’atto di trasformazione non può essere pronunciata, resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all’ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione” (cd. pubblicità sanante).

In sostanza, al fine di garantire la stabilità degli effetti degli atti societari, la tutela dei soggetti danneggiati dalla trasformazione è spostata dal piano reale a quello obbligatorio.

Secondo parte della dottrina, l’efficacia sanante della pubblicità non si verificherebbe nel caso in cui vi sia un vizio del procedimento consistente nella mancanza materiale dell’atto di trasformazione o nell’esecuzione della pubblicità presso un ufficio incompetente.

L’effetto della cd. pubblicità sanante non copre le clausole “statutarie” o a “contenuto organizzativo” contenute nell’atto di trasformazione, poiché non sono clausole della trasformazione in senso proprio, bensì clausole solo incidentalmente approvate in occasione dell’atto di trasformazione.

La trasformazione in senso “atecnico”

Può accadere nella prassi che vengano qualificate come trasformazioni anche operazioni che non sono ricomprese nella disciplina di cui agli artt 2498 ss codice civile.

Ad esempio, non si può considerare una vera e propria trasformazione il passaggio dal modello di società cooperativa retta dalla disciplina delle S.P.A. a quello retto dalla disciplina delle S.R.L., e viceversa.
Allo stesso modo non è inquadrabile nella disciplina della trasformazione il passaggio da società cooperativa a mutualità prevalente a società cooperativa a mutualità non prevalente, e viceversa, oppure da società cooperativa a proprietà indivisa a società cooperativa a proprietà divisa, e viceversa.
Inoltre, non si può considerare trasformazione nemmeno il passaggio da S.R.L. ordinaria con capitale sociale superiore a euro diecimila e S.R.L. ordinaria con capitale sociale inferiore alla suddetta soglia e viceversa.

Riguardo alle S.R.L.S. la questione è più complessa.
Secondo la dottrina prevalente, è opportuna l’introduzione di clausole statutarie integrative del modello standard tipizzato o, al contrario, l’abbandono di clausole statutarie a favore dello stesso, in quanto ritenute assolutamente lecite.

Altra parte della dottrina, attualmente minoritaria, partendo dal presupposto che l’introduzione nel nostro ordinamento delle S.R.L.S. si fonda sulla volontà del legislatore di agevolare l’accesso all’impresa in fase di start-up, ritiene che la relativa disciplina si applicabile solo alla fase costitutiva della società e non anche rispetto ad un soggetto già esistente. Pertanto, la S.R.L.S. non potrebbe mai costituire una società di arrivo in una trasformazione, a prescindere che la società di partenza sia o meno una S.R.L.

Al contrario, si ritiene lecita la trasformazione da S.R.L.S. ad una S.R.L. ordinaria o a qualsiasi altro tipo societario, anche se non si può parlare di trasformazione in senso tecnico, bensì di trasformazione in senso “atecnico”.