Nozione e caratteri
Per conflitto d’interessi s’intende, in materia di rappresentanza, ogni ipotesi in cui il rappresentante persegue un interesse contrastante e incompatibile con l’interesse del rappresentato.
In base, poi, al fatto che il rappresentante sia lui stesso titolare dell’interesse confliggente, ovvero persegua l’interesse (confliggente con quello del rappresentato) di un terzo, il conflitto d’interessi è definito, nel primo caso, diretto e, nel secondo caso, indiretto.
Generalmente, rilevano tanto il conflitto diretto, quanto il conflitto indiretto: fa eccezione l’art. 320 comma 6 del Codice civile, che, in materia di conflitto tra il minore ed i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, che si riferisce espressamente al solo conflitto diretto (“conflitto d’interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale”).
Per assumere rilevanza e generare gli effetti che saranno esposti infra, il conflitto d’interessi deve presentare i seguenti caratteri.
In primo luogo, il conflitto d’interessi deve essere connotato da patrimonialità, dunque, gli interessi contrastanti devono essere di natura economica-patrimoniale: non rilevano, dunque, gli interessi di natura personale, o morale.
Ulteriormente, il conflitto deve essere idoneo a comportare un potenziale danno (patrimoniale) al soggetto rappresentato e, soprattutto, gli interessi in oggetto devo essere incompatibili: non deve essere, cioè, possibile perseguire, contestualmente, entrambi gli interessi in gioco (non rilevano quindi ai presenti fini le ipotesi di interessi convergenti, ad esempio, nel caso in cui rappresentante e rappresentato compongano una medesima parte sostanziale plurisoggettiva del negozio).
Questione discussa è, invece, se il conflitto d’interessi debba altresì essere attuale, ovvero se rilevi anche il conflitto meramente potenziale e futuro: la rilevanza del conflitto anche solo potenziale è stata sostenuta in più occasioni dalla Corte di Cassazione, in relazione ad alcune ipotesi tradizionalmente discusse di conflitto, ad esempio, i casi di donazione da padre a figlio minore (sottoposto a responsabilità genitoriale) o da nonno a nipote ex filio minore (sottoposto a responsabilità genitoriale esercitata dal figlio del donante), che saranno analizzate in seguito.
Conflitto d’interessi e rappresentanza volontaria
La rappresentanza volontaria è prevista e disciplinata dagli artt. 1387 e seguenti del Codice civile e si riferisce alla ipotesi di rappresentanza che trova fonte in un’apposita procura (o in un mandato con rappresentanza), volontariamente rilasciata da un soggetto, rappresentato, ad un altro, rappresentante, affinché quest’ultimo agisca in nome e per conto del primo, potendone spendere il nome (cosiddetta contemplatio domini).
Il conflitto d’interessi nella rappresentanza volontaria è disciplinata dagli artt. 1394 e 1395 del Codice civile, il primo dei quali si riferisce all’ipotesi del conflitto d’interessi in generale, mentre la seconda norma disciplina un caso specifico di conflitto.
Ai sensi dell’art. 1394 del Codice civile, “il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.
Rilevano, ai fini dell’applicazione della presente norma sia il conflitto diretto che quello indiretto, la sussistenza del quale deve essere valutata in concreto e a posteriori: è, cioè, solo dopo la conclusione del negozio che si valuta se nella conclusione dello stesso il rappresentante ha agito perseguendo interessi contrapposti a quelli di cui è portatore il rappresentato, oppure no (l’art. 1394 del Codice civile, infatti, fa riferimento a contratto “concluso”).
La risposta positiva a tale interrogativo determina l’annullabilità del contratto concluso in situazione di conflitto d’interessi, ma solo se il terzo contraente era consapevole, o avrebbe dovuto essere consapevole, della situazione di conflitto, al fine di tutelare il legittimo affidamento del terzo.
Il successivo art. 1395 del Codice civile disciplina, invece, l’ipotesi particolare in cui il rappresentante e il rappresentato sono entrambi parti sostanziali distinte e contrapposte di un medesimo negozio giuridico (ad esempio, Tizio rilascia procura a Caio perché quest’ultimo lo rappresenti nella stipula dell’atto di compravendita di un appartamento a Firenze venduto da Tizio a Caio), prevedendo quanto segue: “è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi.
L’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato”.
La peculiarità della situazione di fatto presa in considerazione da tale norma, dunque, comporta una sorta di “presunzione” di conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato, dunque, il conflitto viene valutato in astratto, rilevando cioè il conflitto anche se il concreto non sono stati perseguiti interessi contrastanti con quelli del rappresentato.
Tale presunzione è, tuttavia, superata quando la procura presenta il “contenuto aggravato” appositamente richiesto dalla norma, consistente nella specifica autorizzazione alla conclusione del contratto con se stesso e nella determinazione del contenuto del contratto talmente specifica da escludere la possibilità di conflitto d’interessi.
Conflitto d’interessi e rappresentanza legale
I soggetti privi di capacità d’agire (minori, interdetti e beneficiari di amministrazione di sostegno quando il decreto di nomina dell’amministratore richiama le norme sull’interdizione) oppure dotati di capacità d’agire limitata (minori emancipati, inabilitati e beneficiari di amministrazione di sostegno quando il decreto di nomina dell’amministratore richiama le norme sull’inabilitazione) possono compiere negozi giuridici solo per tramite di un rappresentante o di un assistente, il cui ufficio ha fonte nella legge (come nel caso dei genitori del minore, o del coniuge maggiorenne del minore emancipato) o in un decreto giudiziale di nomina (come nel caso del tutore del minore o dell’interdetto, del curatore dell’inabilitato o dell’amministratore di sostegno).
In tutte queste ipotesi, se il rappresentante o assistente si trova in una posizione di conflitto d’interessi con il rappresentato o assistito deve essere sostituito da altro soggetto appositamente nominato (di norma, un curatore speciale, salvo le eccezioni di cui infra) e sarà quest’ultimo a chiedere il rilascio dell’autorizzazione giudiziale (o notarile) necessaria per il compimento dell’atto.
In materia di volontaria giurisdizione, invero, a differenza di quanto visto con riferimento alla rappresentanza volontaria, la sussistenza del conflitto d’interessi deve essere valutata a priori, dunque prima del compimento del negozio, che, se concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi è da ritenersi annullabile.
Poste queste generali premesse, si osserva che in base all’incapace di cui trattasi, la sussistenza di un conflitto di interessi che presenta i caratteri sopra elencati comporta che l’incapace debba intervenire in atto come segue:
- Minore sottoposto a responsabilità genitoriale: se il conflitto sussiste con un solo genitore, il minore viene rappresentato dall’altro genitore; se il conflitto sussiste con entrambi i genitori, ovvero con l’unico genitore esercente la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina un curatore speciale che rappresenti il minore;
- Minore sotto tutela e interdetto: in caso di conflitto d’interessi con il tutore, l’incapace è rappresentato dal protutore (nominato contestualmente al tutore); se il conflitto sussiste sia con il tutore che con il protutore, il giudice tutelare nomina all’incapace un curatore speciale che lo rappresenti;
- Minore emancipato e inabilitato: il giudice tutelare nomina un curatore speciale che assista l’incapace nel compimento del negozio;
- Beneficiario di amministrazione di sostegno: nessuna norma disciplina specificamente questa ipotesi di conflitto d’interessi, pertanto, la dottrina risolve l’empisse facendo ricorso al principio generale di cui all’art. 410, comma 2 del Codice civile, ai sensi del quale il giudice tutelare può adottare “opportuni provvedimenti”, facendo rientrare tra essi la nomina di un curatore speciale, che rappresenti o assista il beneficiario di amministrazione di sostegno.
Vi sono, poi, tre ipotesi peculiari in cui è tutt’ora controverso se ricorra o meno un conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato: si tratta del caso i cui rappresentante e rappresentato siano entrambi parti di un contratto in comunione di scopo, della donazione da nonno a nipote minorenne ex filio e della donazione da genitore a figlio.
Qualora rappresentante e rappresentato siano entrambi parti di un contratto in comunione di scopo (ad esempio nel caso di genitore e figlio minore che costituiscono insieme una società), secondo alcuni non sussisterebbe mai il conflitto d’interessi, in quanto gli interessi di rappresentante e rappresentato non sarebbero confliggenti, ma convergente, cosicché il primo, perseguendo i propri interessi, perseguirebbe di conseguenza altresì gli interessi del secondo.
Secondo altri, invece, la sussistenza o meno del conflitto andrebbe valutata con riferimento al caso concreto. Appare, tuttavia, più tuzioristica l’opinione di chi sostiene che in questa ipotesi c’è sempre conflitto tra rappresentante e rappresentato, in quanto i contratti in questione comportano una convergenza “di scopo” (ad esempio, dare vita ad una società), non “di interessi” (ad esempio, il padre, quale socio, potrebbe perseguire il proprio interesse ad ottenere una partecipazione agli utili più che proporzionale rispetto al conferimento, comportando che al figlio verrebbe attribuita una partecipazione agli utili meno che proporzionale, con evidente danno per il rappresentato).
Anche in relazione alla donazione fatta da un genitore al figlio minorenne sottoposto a responsabilità genitoriale sono state sostenute tre diverse impostazioni.
Secondo alcuni Autori, non sussisterebbe alcun conflitto d’interessi con il genitore donante, in quanto il figlio trarrebbe solamente vantaggi dalla donazione, quindi, il genitore interverrebbe all’atto in doppia qualità, cioè, sia in proprio (quale donante), sia in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale ed in legale rappresentanza del figlio donatario.
Altra impostazione, invece, distingue in base alla circostanza che la donazione sia fatta al figlio da uno solo o da entrambi i genitori (equiparando a questa seconda ipotesi quella della donazione fatta al figlio dall’unico genitore esercente la responsabilità genitoriale): secondo questi Autori, infatti, il conflitto sussisterebbe solo tra il genitore donante ed il figlio donatario, quindi, al fine di non far venire meno il dualismo delle posizioni giuridiche, nel caso di donazione fatta da un solo genitore il figlio ben potrebbe essere rappresentato dall’altro genitore, mentre se donanti sono entrambi i genitori si deve procedere alla nomina di un curatore speciale.
Tuttavia, secondo l’opinione più tuzioristica e sostenuta anche dalla Corte di Cassazione, il conflitto d’interessi sussisterebbe a prescindere con entrambi i genitori (anche se la donazione è fatta da uno solo dei due), perché, per quanto riguarda il genitore donante viene meno il dualismo delle posizioni giuridiche, mentre con riferimento al genitore non donante questo vanta il diritto agli alimenti sia verso il genitore donante sia verso il figlio donatario, dunque, ha interesse a ché nessuno dei due patrimoni sia depauperato; inoltre, ammettendo la rilevanza del conflitto d’interessi non solo attuale, ma anche potenziale, il conflitto sorge altresì perché il genitore non donante è erede legittimario del genitore donante (in quanto coniuge) quindi la donazione potrebbe, una volta apertasi la successione di quest’ultimo comportare una lesione della legittima del coniuge genitore non donante.
I medesimi argomenti basati sul diritto agli alimenti verso il donante ed il donatario, nonché sulla potenziale lesione della legittima nella successione del donante sono stati utilizzati, tra l’altro, per affermare la sussistenza del conflitto d’interessi del genitore figlio del donante e padre del donatario in caso di donazione da nonno a nipote ex filio, conflitto invece negato da chi sostiene la rilevanza del solo conflitto d’interessi attuale: pertanto, in queste ipotesi, il nipote minorenne donatario è rappresentato in atto solo dall’altro genitore (cioè, il genitore del donatario, che non è figlio del donante).
Conflitto d’interessi del socio e dell’amministratore di società
Spostando l’attenzione all’ambito del diritto societario, il conflitto d’interessi può ricorrere, alternativamente in capo al socio in relazione all’adozione di una delibera assembleare, oppure in capo all’amministrazione nel compimento di un atto in qualità di legale rappresentante della società.
Ai sensi dell’art. 2368, comma 3 del Codice civile, “salvo diversa disposizione di legge le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. Le medesime azioni e quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del (soggetto al quale spetta il diritto di voto) di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione”: pertanto, se il socio dichiara di essere in conflitto d’interessi, il suo diritto di voto è sospeso e, ai sensi dell’art. 2373 del Codice civile, la deliberazione adottata con il voto determinante del socio in conflitto d’interessi è annullabile ex art. 2377 del Codice civile.
Controversa, poi, è la posizione del socio recedente, il quale, secondo alcuni sarebbe da considerarsi in conflitto d’interessi, mentre, secondo altra opinione più liberale, dato che il recesso è a tutti gli effetti sottoposto alla condizione sospensiva della liquidazione della quota al recedente, fino al verificarsi della condizione sospensiva, il socio recedente deve essere trattato alla stregua di qualsiasi altro socio, pertanto legittimato all’esercizio dell’intervento in assemblea e del voto.
Per quanto riguarda la posizione degli amministratori, invece, la materia è disciplinata dagli artt. 2391 e 2475-ter del Codice civile, riferiti, rispettivamente, alle società per azioni e in accomandita per azioni e alla società a responsabilità limitata: una differenza tra le due norme emerge dalle rubriche degli articoli, riferendosi l’art. 2391 del Codice civile genericamente agli “interessi” degli amministratori (rileva dunque qualsiasi interesse dell’amministratore, non solo quello confliggente con l’interesse della società rappresentata), laddove l’art. 2475-ter del Codice civile si riferisce invece al solo “conflitto d’interessi” degli amministratori.
Inoltre, mentre l’art. 2475-ter del Codice civile prevede solo l’annullabilità del contratto concluso dall’amministratore in conflitto d’interessi, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo, la disciplina dettata dall’art. 2391 del Codice civile è ben più dettagliata, e prende in considerazione separatamente l’ipotesi di conflitto d’interessi di un membro del consiglio di amministrazione, dell’amministratore delegato e dell’amministratore unico: il membro del consiglio di amministrazione (che si tratti di un consigliere o del presidente) è tenuto a dare notizia del conflitto d’interessi agli altri amministratori e al collegio sindacale; l’amministratore delegato è tenuto ad astenersi dal compiere l’operazione; l’amministratore unico, invece, deve dare notizia del conflitto d’interessi alla prima assemblea.
Ultima questione da affrontare è quella dell’applicabilità della disciplina sul conflitto d’interessi nella rappresentanza volontaria (cioè, degli artt. 1394 e 1395 del Codice civile sopra analizzati) al conflitto d’interessi nell’ambito della rappresentanza organica.
Sul punto è necessario distinguere in base alla circostanza che il conflitto riguardi:
- Il presidente del consiglio di amministrazione: non si applica l’art. 1394 del Codice civile, in quanto il presidente del consiglio di amministrazione non è titolare di alcun potere decisionale, il quale spetta unicamente al consiglio di amministrazione quale organo; viceversa, si applica la norma relativa al contratto con se stesso, essendo, in tal caso, necessaria un’apposita autorizzazione alla conclusione dell’atto rilasciata dall’assemblea dei soci;
- L’amministratore delegato: il problema non si pone laddove si applichi l’art. 2391 del Codice civile, che comporta l’obbligo dell’amministratore delegato di astenersi dal compimento dell’operazione; viceversa, in caso di amministratore delegato di s.r.l., devono ritenersi applicabili sia l’art. 1394 che l’art. 1395 del Codice civile, in quanto l’amministratore delegato è titolare del potere decisionale;
- L’amministratore unico: al pari dell’amministratore delegato, l’amministratore unico è titolare sia del potere decisionale, sia per potere di rappresentanza, quindi, si applicano sia l’art. 1394 che l’art. 1395 del Codice civile.
