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Il negozio di accertamento è una figura non espressamente prevista e disciplinata dal legislatore, ma che è stata oggetto di ampia analisi dottrinale e può essere definito come il negozio con cui le parti “fissano”, con efficacia vincolante tra loro, una situazione giuridica già verificatasi, in relazione alla quale vi era uno stato di incertezza.
In relazione a tale negozio tre sono le questioni principali che meritano di essere affrontate: cioè, l’ammissibilità del negozio di accertamento, la sua efficacia ed il regime di pubblicità ad esso applicabile.

L’ammissibilità del negozio di accertamento

La dottrina tradizionale ha negato l’ammissibilità del negozio di accertamento, come sopra definito, sulla base di due argomenti.
Da un lato, questi Autori hanno affermato che il negozio giuridico è, per sua stessa natura, dispositivo; dall’altro lato, i medesimi interpreti hanno sottolineato come solo l’autorità giudiziaria sia competente ad “accertare” delle situazioni giuridicamente rilevanti (cosiddetta sentenza di accertamento, che si limita a mettere fine all’incertezza su un fatto già verificatosi, come nel caso della sentenza dichiarativa della nullità, senza innovare la realtà giuridica).

Ad ogni modo, è oggi prevalente l’opposta impostazione che sostiene l’ammissibilità del negozio di accertamento, cioè di quel negozio di autonomia privata che produce i medesimi effetti della sentenza dichiarativa. Tale assunto è argomentato, solitamente, sulla base di tre rilievi.
In primo luogo, osservano questi Autori che l’art. 1321 del Codice civile definisce il contratto come “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”, quindi, in tale definizione può essere fatto rientrare anche il negozio che si limita ad accertare la realtà giuridica, senza innovarla.
In secondo luogo, una conferma normativa dell’ammissibilità del negozio di accertamento è stata rinvenuta nell’art. 1972 del Codice civile, che, prevedendo la transazione su un titolo nullo, attribuisce espressamente ai privati un potere certificativo, di accertamento della nullità, come presupposto per la transazione de quo.
In ultimo, è stato rilevato come l’art. 2655 del Codice civile, in materia di annotazione di atti e sentenze, al quarto comma, dispone che l’annotazione “si opera in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopra indicati” tra i quali rientra la nullità (cfr. art. 2655, comma 1 del Codice civile), così ammettendo, implicitamente, che la nullità di un negozio può risultare da una convenzione tra privati, con efficacia, necessariamente, dichiarativa.

Una volta accolta, sulla base degli esposti argomenti, la tesi dell’ammissibilità del negozio di accertamento, è necessario affrontare alcune questioni sollevate dalla dottrina in merito allo stesso.
Innanzitutto, ci si è chiesti se tale negozio abbia struttura necessariamente bilaterale, ovvero possa essere unilaterale. È, sul punto, preferibile e prevalente l’opinione di chi ha sostenuto che il negozio di accertamento debba essere per forza bilaterale, in quanto, viceversa, non assolverebbe alla sua precipua funzione di superare una situazione di incertezza tra le parti. Da ciò discende, dunque, l’incompatibilità del negozio di accertamento con il testamento, che è il negozio unilaterale per eccellenza.
Sotto il profilo dell’oggetto, poi, secondo la dottrina che si è espressa sul tema, il negozio di accertamento può avere ad oggetto non solo diritti soggettivi, ma anche fatti giuridici (si pensi al più volte ricordato negozio di accertamento della nullità).
Da ultimo, non vi è unanimità di vedute tra gli Autori in relazione alla forma necessaria ai fini della validità del negozio di accertamento concernente diritti reali su immobili: tuttavia, a parere di chi scrive, sembra preferibile la tesi della forma libera del negozio di accertamento immobiliare, argomentando sulla base della lettera dell’art. 1350 del Codice civile, che richiede la forma scritta a pena di nullità per i soli contratti che “trasferiscono” il diritto di proprietà su immobili, ovvero “costituiscono, modificano o trasferiscono” diritti reali di godimento su immobili, essendo tutte queste ipotesi accomunate dall’effetto di modificare la realtà giuridica preesistente, a differenza di quanto avviene con il negozio di accertamento.

L’efficacia del negozio di accertamento

In forza di tutto quanto fino ad ora osservato, può essere risolta agevolmente la questione dell’efficacia del negozio di accertamento, respingendo la tesi, pure sostenuta, dell’efficacia costitutiva del negozio di accertamento ed accogliendo la tesi dell’efficacia dichiarativa dello stesso.
Sostenendo, dunque, la tesi dell’efficacia meramente dichiarativa del negozio di accertamento, si dovrebbe affermare che, a rigore, qualora questo sia concluso per atto scritto, non sarebbero necessarie le menzioni richieste per i trasferimenti immobiliari.

Tuttavia, il fatto che la questione dell’efficacia del negozio di accertamento non è, ad oggi, pacifica in dottrina, combinata al rilievo per cui l’assenza delle menzioni urbanistica e catastale, quando richieste, comporta la radicale nullità dell’atto, porta a propendere per l’opportunità di inserirle comunque all’interno del negozio di accertamento, quantomeno a fini tuzioristici.
Ulteriormente, proprio in ragione dell’efficacia meramente dichiarativa che lo contraddistingue, appare preferibile la tesi, invero prevalente, dell’inammissibilità del negozio di accertamento oneroso, in quanto, se le parti si limitano a “prendere atto” di una realtà giuridica che si è già prodotta, si stenta a rinvenire la giustificazione causale del pagamento effettuato da una di queste in favore dell’altra “a titolo di corrispettivo” dell’accertamento di qualcosa che si è già verificato.

La pubblicità del negozio di accertamento

Da ultimo, questione ampiamente controversa in dottrina e in giurisprudenza è quella relativa a come dare pubblicità al negozio di accertamento.
Sul punto, sono state elaborate e sostenute tre diverse posizioni.

Secondo una prima impostazione, il negozio di accertamento sarebbe trascrivibile ai sensi dell’art. 2643, comma 1, n. 12-bis del Codice civile, ai sensi del quale sono soggetti a trascrizione “gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Altra opinione, invece, pur identificando nella trascrizione la forma di pubblicità a cui sottoporre il negozio di accertamento, ha sostenuto che tale trascrizione dovrebbe avvenire ai sensi del n. 13 del citato art. 2643 del Codice civile, dedicato alla “trascrizione delle transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti”.

Tali tesi, tuttavia, non sembrano condivisibili, in quanto richiederebbero l’applicazione analogica di due norme eccezionali, in aperto contrasto con il generale divieto in tal senso posto ex art. 14 delle Preleggi.
Per tale ragione, appare, invero, maggiormente meritevole di accoglimento la tesi sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato (CNN n. 4/2017) secondo cui il negozio di accertamento non potrebbe essere oggetto di una forma di pubblicità primaria, qual è la trascrizione, ma dovrebbe essere meramente annotato a margine dell’atto a cui si riferisce, ai sensi degli artt. 2655 e 2668 del Codice civile, mutuando la forma di pubblicità riservata agli atti ricognitivi dell’avveramento o del mancato avveramento delle condizioni.