La nozione e la natura giuridica
Ai sensi dell’art. 922 del Codice civile, “la proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge”. L’accessione, quindi, è uno dei modi di acquisto della proprietà, da annoverare, nello specifico, tra i modi di acquisto a titolo originario: in altre parole, il diritto di colui che acquista la proprietà per accessione è completamente indipendente da altrui diritti previamente basati sul bene (all’opposto di quanto avviene in caso di acquisto della proprietà a titolo derivativo, dove il diritto dell’avente causa trova fonte in e dipende dal diritto del dante causa).
In particolare, ai sensi dell’art. 934 del Codice civile, “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”. Tale norma codifica il principio già noto al diritto romano (attribuito, infatti, al giurista Gaio) in forza del quale superficies solo cedit (“tutto ciò che si trova su un suolo accede ad esso”), confermando all’interno del nostro ordinamento la “forza attrattiva” del suolo e, al contempo, esplicitando che a tale potere di attrazione non è soggetto solo ciò che si trova sopra il suolo, ma anche ciò che si trova sotto, a conferma del principio per cui il diritto del proprietario si estende usque ad sidera, usque ad inferos (“fino alle stelle, fino agli inferi”).
L’accessione si fonda, dunque, su due elementi costitutivi.
Innanzitutto, l’incorporazione al suolo delle opere deve essere stabile: l’accessione, infatti, può riguardare solo beni immobili, cioè, ai sensi dell’art. 813 del Codice civile, “tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. Non è, ad ogni modo, necessaria l’inseparabilità del bene dal suolo (si pensi all’esempio di una statua incorporata saldamente al terreno, che viene certamente acquistata per accessione dal proprietario di quest’ultimo, ma che può, tuttavia, essere sradicata da terra).
È, poi, indispensabile che il bene incorporato sia dotato di un’autonomia economica e sociale.
Come emerge dalla lettera del testo riportato, tuttavia, l’ordinamento prevede delle ipotesi in cui, pur in presenza di tali presupposti, l’accessione non opera: le deroghe all’accessione, su cui ci si soffermerà nel prossimo paragrafo, possono essere distinte in legali e volontarie (o convenzionali), in base al fatto che la deroga risulti dalla legge o dal titolo.
La disciplina normativa e le deroghe all’accessione
Dopo avere definito il fenomeno dell’accessione nel sopra riportato art. 934, nei successivi artt. 935, 936 e 937, il Codice civile delinea e disciplina delle ipotesi, in cui il fenomeno dell’accessione opera in modo peculiare, in ragione di una scissione tra le figure del proprietario del suolo, del proprietario dei materiali e del costruttore dell’opera. In particolare, sono previste e disciplinate le seguenti fattispecie:
- Opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui (art. 935 del Codice civile): “1. Il proprietario del suolo che ha fatto costruzioni, piantagioni od opere con materiali altrui deve pagarne il valore, se la separazione non è chiesta dal proprietario dei materiali, ovvero non può farsi senza che si rechi grave danno all’opera costruita o senza che perisca la piantagione. Deve inoltre, anche nel caso che si faccia la separazione, il risarcimento dei danni, se è in colpa grave. 2. In ogni caso la rivendicazione dei materiali non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione”;
- Opere fatte da un terzo con materiali propri (art. 936 del Codice civile): “1. Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle. 2. Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo. 3. Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni. 4. Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede. 5. La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione”;
- Opere fatte da un terzo con materiali altrui (art. 937 del Codice civile): “1. Se le piantagioni, costruzioni o altre opere sono state fatte da un terzo con materiali altrui, il proprietario di questi può rivendicarli, previa separazione a spese del terzo, se la separazione può ottenersi senza grave danno delle opere e del fondo. 2. La rivendicazione non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione. 3. Nel caso che la separazione dei materiali non sia richiesta o che i materiali siano inseparabili, il terzo che ne ha fatto uso e il proprietario del suolo che sia stato in mala fede sono tenuti in solido al pagamento di un’indennità pari al valore dei materiali stessi. Il proprietario dei materiali può anche esigere tale indennità dal proprietario del suolo, ancorché in buona fede, limitatamente al prezzo che da questo fosse ancora dovuto. Può altresì chiedere il risarcimento dei danni, tanto nei confronti del terzo che ne abbia fatto uso senza il suo consenso, quanto nei confronti del proprietario del suolo che in mala fede abbia autorizzato l’uso”.
Quanto, invece, alle deroghe convenzionali all’accessione, queste devono necessariamente risultare da un negozio bilaterale avente forma scritta a pena di nullità (in quanto, come detto, l’accessione riguarda sempre e solo diritti reali su beni immobili), ma non sono richieste formule sacramentali e, ai fini dell’opponibilità erga omnes della deroga, il titolo deve essere debitamente trascritto (e, dunque, rivestire forma pubblica).
Ad ogni modo, probabilmente, la più importante deroga al principio dell’accessione è costituita dal diritto di superficie (artt. 952 e seguenti del Codice civile), che è il diritto reale su cosa altrui che attribuisce al titolare il diritto di costruire sul suolo e di acquistare la proprietà (cosiddetta proprietà superficiaria) della costruzione, con la conseguenza che, una volta esercitato lo ius aedificandi, il suolo e la costruzione su si esso insistente saranno di proprietà di due soggetti diversi (nudo proprietario e titolare del diritto di superficie).
Le questioni controverse
La dottrina e la giurisprudenza si sono, poi, interrogate sull’operatività dell’accessione in alcune ipotesi particolari che possono verificarsi nella prassi: tra queste, in ragione dell’importanza pratica che possono ricoprire, si è scelto di soffermarsi sui rapporti tra l’accessione e i regimi di contitolarità, per tali intendendosi tanto la comunione ordinaria, quanto la comunione legale dei beni tra i coniugi.
La prima fattispecie che merita di essere analizzata è quella di costruzione realizzata da uno dei comproprietari sul suolo comune, all’insaputa degli altri.
In tale ipotesi, ci si è chiesti se il fabbricato edificato sia acquistato, per accessione, da tutti i comproprietari del suolo, in ragione delle rispettive quote, ovvero se ne acquisti la proprietà esclusiva il condividente che ne ha curato l’edificazione, avendone egli sostenuto integralmente i costi.
Stante la difformità di vedute sul punto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, la questione è stata, infine, rimessa al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che l’hanno risolta con sentenza del 16 febbraio 2018, n. 3873, affermando, da un lato, la prevalenza del principio dell’accessione e negando il diritto dei comproprietari non costruttori di chiedere la rimessione in pristino del suolo, ma, dall’altro lato, evidenziando il diritto del comproprietario costruttore di ricevere dagli altri un rimborso parametrato alle spese sostenute per l’edificazione.
Più precisamente, il Supremo Consesso ha enunciato i seguenti principi di diritto: “La costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c., di proprietà comune agli altri comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta “ad substantiam”. Il consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, vale a precludergli l’esercizio dello “ius tollendi”. Ove lo “ius tollendi” non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera”.
Emerge, dunque, dalla decisione della Corte che la fattispecie in esame risulta sussumibile nell’alveo del sopra riportato art. 935 del Codice civile.
Il medesimo principio di diritto della prevalenza dell’accessione, secondo l’opinione prevalente e preferibile, si può applicare anche in caso di edificazione su un terreno appartenente ad un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni.
In altri termini, il regime di titolarità del fabbricato sarà il medesimo regime di titolarità che si applica al fondo su cui esso è edificato.
Dunque, se il fondo, ancorché acquistato da uno solo dei coniugi, era, a suo tempo, stato acquistato in regime di comunione legale ai sensi dell’art. 177 let. a) del Codice civile, il medesimo regime di comunione legale dei beni si applicherà, per accessione, pure al fabbricato e ciò anche in caso di edificazione ad opera di uno solo dei coniugi (salvo il diritto al rimborso di cui sopra).
Viceversa, non cade nella comunione legale dei beni tra i coniugi il bene acquistato da uno dei due per accessione da un bene personale, in quanto l’accessione non costituisce, tecnicamente, un “nuovo acquisto” ex art. 177 let. a) del Codice civile, ma piuttosto l’espansione del diritto originario, di cui, quindi, mutua il regime giuridico.
Ultima ipotesi da analizzare è quella in cui il fondo sia bene personale di un coniuge (rientrando l’acquisto in una delle ipotesi di cui all’art. 179 del Codice civile), ma, per l’edificazione del fabbricato sul fondo, acquistato, parimenti come bene personale, dal coniuge costruttore, per accessione, sia stato utilizzato del denaro facente parte della comunione legale. In questa ipotesi, deve trovare applicazione il disposto dell’art. 192 del Codice civile, con conseguente obbligo del coniuge costruttore di rimborsare alla comunione legale le somme prelevate. Nessun diritto può, invece, vantare il coniuge non costruttore nel caso in cui sia stato utilizzato, ai fini della costruzione del fabbricato, denaro cosiddetto personalissimo del coniuge proprietario esclusivo del fondo in oggetto (i.e., denaro non rientrante nella comunione legale tra i coniugi). Se, all’opposto, è stato utilizzato per la costruzione denaro personalissimo del coniuge non costruttore, quest’ultimo ha diritto al rimborso dell’intera somma impiegata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2033 del Codice civile.
L’accessione invertita
Da ultimo, la trattazione del tema dell’accessione non può prescindere dall’analisi della peculiare fattispecie della cosiddetta accessione invertita prevista e disciplinata dall’art. 938 del Codice civile, ai sensi del quale “se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l’autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni”.
Come suggerito dal nome, dunque, l’accessione invertita è il fenomeno in forza del quale, in presenza dei presupposti di legge, non è la proprietà del suolo che attrae la proprietà dell’edificio su di esso costruito, ma è la proprietà dell’edificio ad attrarre la proprietà del suolo occupato.
Sotto il profilo della natura giuridica, l’accessione invertita è stata ricostruita dagli Autori in due diversi modi. Secondo una prima interpretazione, il fenomeno in oggetto si qualificherebbe come una vera e propria ipotesi di acquisto per accessione, consistendo in un’ipotesi di attrazione reale orizzontale del suolo altrui al proprietario del fondo attiguo riconducibile propriamente all’accessione.
Viceversa, altri Autori hanno, condivisibilmente, sostenuto che la fattispecie delineata dall’art. 938 del Codice civile si compone di due momenti diversi, il primo, in cui opera l’accessione ordinaria ex art. 934 del Codice civile, che determina l’acquisto del fabbricato in favore del proprietario del suolo; il secondo, in cui, a seguito di una sentenza costitutiva (o di un negozio tra privati, se si ammette l’accessione invertita convenzionale, su cui ci si soffermerà infra), il costruttore diventa proprietario del suolo e di quanto sopra edificato: conseguentemente, secondo questa impostazione, l’accessione invertita, a differenza dell’accessione ordinaria, è un modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo, in quanto l’acquisto da parte del costruttore deriva dal precedente acquisto del proprietario del terreno. Dall’accoglimento di questa tesi, discende che l’indennizzo previsto per legge a carico del costruttore ed in favore del proprietario del suolo occupato ha natura giuridica mista, di corrispettivo del trasferimento coattivo e di pena privata.
Come emerge dal tenore letterale del sopra riportato art. 938 del Codice civile, inoltre, l’accessione invertita si fonda su cinque elementi costitutivi.
In primo luogo, la mancata opposizione del proprietario del suolo all’edificazione, entro tre mesi da quando questa ha avuto inizio.
In secondo luogo, la sentenza, di natura costitutiva, accogliendo la tesi prevalente sulla natura giuridica del fenomeno, come sopra ricostruita, con cui l’autorità giudiziaria determina l’acquisto della proprietà sia dell’edificio, che della porzione di suolo occupato in favore del costruttore.
In terzo luogo, il fatto giuridico dello “sconfinamento” sull’attiguo suolo altrui da pate del costruttore.
Ulteriormente, la struttura complessa dell’edificio costruito: l’accessione invertita, infatti, non può operare nel caso in cui la porzione di edificio sconfinata nel terreno attiguo sia dotata di un’intrinseca autonomia funzionale rispetto alla restante parte dell’edificio (in quest’ultimo caso, invero, l’autonoma porzione della costruzione oggetto di sconfinamento viene acquistata dal proprietario del terreno su cui è stata edificata, in forza dell’accessione ordinaria).
Da ultimo, lo sconfinamento deve essere realizzato dal costruttore in buona fede, cioè nell’incolpevole inconsapevolezza di ledere l’altrui diritto.
Si precisa che, qualora difetti anche uno solo di tali presupposti, secondo l’opinione prevalente e preferibile, opererà il principio generale dell’accessione ordinaria ex art. 934 del Codice civile, con acquisto della porzione “sconfinata” in favore del proprietario del suolo su cui è avvenuta l’edificazione, ferma l’applicazione dei sopra analizzati artt. 936 e 937 del Codice civile, al fine di disciplinare il diritto del proprietario del suolo di esercitare lo ius tollendi, nonché le pretese economiche del costruttore, relative alla manodopera impiegata ed i materiali utilizzati ai fini della costruzione. Sono, infatti, sicuramente minoritarie sia l’opinione di chi ha sostenuto che in assenza di alcuno dei presupposti si forma una comunione incidentale pro quota sulla costruzione tra costruttore e proprietario del suolo, sia la tesi secondo cui il costruttore acquisterebbe la proprietà superficiaria della costruzione, ferma la nuda proprietà della medesima in capo al proprietario del suolo.
In sede conclusiva del presente contributo, alcune considerazioni meritano di essere svolte in merito ad una peculiare ipotesi che è stata oggetto di analisi da parte della recente dottrina notarile, cioè la cosiddetta accessione invertita convenzionale.
In altre parole, la dottrina si è interrogata in merito alla possibilità che l’accessione invertita si verifichi anche in assenza di apposita sentenza, qualora il provvedimento giurisdizionale sia sostituito da un accordo negoziale tra il costruttore ed il proprietario del suolo.
Tale possibilità è stata oggetto del Quesito Civilistico n. 48/2022 del CNN, che ha sostenuto l’ammissibilità dell’accessione invertita contrattuale, da ricostruire in termini di contratto traslativo ex art. 1376 del Codice civile, con cui, per volontà delle parti, il diritto di proprietà della porzione di costruzione oggetto di sconfinamento viene trasferito dal proprietario del terreno al costruttore, a fronte del pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 938 del Codice civile.
Conseguentemente, accogliendo la ricostruzione del CNN, l’accessione invertita contrattuale o convenzionale deve presentare, a pena di nullità, tutte le menzioni richieste dall’ordinamento per il trasferimento a titolo oneroso di diritti reali su immobili.
Da ultimo, si sottolinea che è, invece, diverso il caso in cui, in assenza dei presupposti di legge, le parti, convenzionalmente, concordano l’acquisto della porzione di edificio “sconfinata” e della porzione di suolo su cui essa insiste in favore del costruttore: un accordo di tal genere è, invero, senza dubbio lecito, ma configura non un’ipotesi di accessione invertita, ancorché contrattuale, ma una vera e propria transazione ex art. 1965 del Codice civile.