La successione necessaria e la tutela dei legittimari in generale.
Il nostro ordinamento prevede che ad alcuni soggetti, c.d. eredi legittimari (o eredi necessari), individuati dall’art. 536 c.c. (coniuge, figli e, in assenza di questi, ascendenti), spettino, all’apertura della successione del de cuius, degli specifici diritti sul suo patrimonio, a prescindere da, ed anche in contrasto con, la di lui volontà.
Proprio per questo, l’insieme di norme relative ai diritti dei legittimari compongono la disciplina della successione c.d. necessaria, cioè quella sottocategoria di successione legale (o legittima), che si caratterizza, appunto, per il carattere della inderogabilità ad opera del testatore e che risponde alla ferma volontà del legislatore che almeno una parte del patrimonio del de cuius (c.d. porzione indisponibile) “rimanga a beneficio della famiglia”, dovendo essere trasferita necessariamente ai suoi più stretti congiunti.
Due sono gli strumenti di tutela previsti dal legislatore per attribuire effettività ai diritti dei legittimari nel caso in cui il testatore abbia, in vita, compiuto negozi, inter vivos o mortis causa, da cui deriverebbe loro un pregiudizio.
Il primo, è il divieto di pesi e condizioni sulla quota dei legittimari, sancito dall’art. 549 c.c., che sancisce la nullità delle disposizioni testamentarie che rientrano nel suo ambito applicativo (ad esempio, condizioni o oneri apposte all’istituzione ereditaria di un legittimario o, secondo l’opinione preferibile, i legati obbligatori): tali disposizioni, dunque, sono immediatamente inefficaci al momento dell’apertura della successione, con la conseguenza che non producono un reale pregiudizio per il legittimario.
Il secondo, è l’azione di riduzione, che mira a fare dichiarare l’inefficacia (intesa come inopponibilità al legittimario leso o pretermesso) della disposizione testamentaria, ovvero della donazione diretta o indiretta inter vivos realizzata dal de cuius disponendo di una quota del proprio patrimonio eccedente la porzione disponibile.
Tale azione è, dunque, esperibile unicamente contro quelle disposizioni testamentarie che fuoriescono dall’ambito applicativo del divieto ex art. 549 c.c. e che, quindi, pur ledendo i diritti dei legittimari, sarebbero pienamente valide ed efficaci all’apertura della successione, in caso di inerzia di costoro.
Questione su cui si è lungamente interrogata la dottrina e che è stata sottoposta anche al vaglio della giurisprudenza è quella della possibilità per i successori coinvolti di produrre con un negozio di autonomia privata i medesimi effetti giuridici che deriverebbero dalla sentenza che accoglie l’azione di riduzione.
Gli accordi di reintegrazione della legittima.
Gli accordi di reintegrazione della legittima non sono espressamente previsti dal legislatore, essendo piuttosto il frutto di una esigenza manifestata dai privati, in cerca di una via per soddisfare i propri diritti che fosse più rapida e meno dispendiosa dell’azione in giudizio, realizzata tramite l’autonomia negoziale e poi indagata, in modo sistematico, dagli Autori.
La dottrina ha, infatti, delineato tre possibili figure di accordi di reintegrazione della legittima.
La prima, una vera e propria transazione tra il legittimario leso o pretermesso e gli altri successori, che, al fine di evitare l’azione di riduzione, si fanno reciproche concessioni, con il risultato che il legittimario accetta di ricevere meno di quanto si sarebbe spettato per legge.
La seconda consiste, invece, nella tacitazione onerosa dei diritti successori del legittimario leso o pretermesso, i quali vengono calcolati dalle parti e poi liquidati al legittimario, in denaro o in natura, dai successori.
In entrambe queste ipotesi, dunque, il legittimario ottiene una soddisfazione (parziale, o totale) dei propri diritti di riserva sotto il profilo strettamente economico, tuttavia, egli riceve solo una parte di beni ereditari (pars bonorum) o di beni (o denaro) personali dei successori, ma non acquista mai lo status di erede.
Diverso è invece il caso dell’accordo di reintegrazione della legittima c.d. puro, cioè il negozio atipico, meritevole di tutela, con cui i privati determinano convenzionalmente la produzione dei medesimi effetti che scaturirebbero dall’accoglimento della azione di riduzione.
In relazione a tale accordo si pongono due importanti questioni: la prima, della ammissibilità di tale accordo; la seconda, della natura giuridica dello stesso.
Chi ha negato l’ammissibilità ti tali accordi ha argomentato la propria posizione affermando, da un lato, che sarebbero un negozio che dà vita ad una delazione pattizia, di fonte contrattuale, con conseguente manifesta violazione dell’art. 457 c.c., ai sensi del quale “l’eredità si devolve per legge o per testamento” (tertium non datur); dall’altro lato, che gli accordi di reintegrazione della legittima violerebbero il monopolio del giudice sulla azione di riduzione.
È, tuttavia, prevalente la tesi della ammissibilità degli accordi in esame, che si fonda su tre argomenti.
In primo luogo, l’accordo di reintegrazione non dà affatto vita ad una delazione pattizia: accordandosi sulla natura lesiva della disposizione testamentaria o negozio in questione, la parti fanno semplicemente sì che riemerga la delazione legale, quindi, il legittimario leso o pretermesso diventa erede per legge.
In secondo luogo, come sopra accennato, si tratta di un accordo che produce gli stessi effetti della sentenza che accoglie l’azione di riduzione, dunque, effetti senza alcun dubbio leciti.
Da ultimo, vi è anche un importante appiglio normativo che consente di deporre per l’ammissibilità degli accordi di reintegrazione, cioè, l’art. 43 d.lgs. n. 346/1990, che, in materia di imposta di successione espressamente parla di “[…] eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari […]”.
Passando alla analisi della natura giuridica degli accordi in esame, poi, sono state sostenute plurime opinioni, sintetizzabili in quattro diverse teorie.
Secondo i primi Autori, si tratterebbe di una vera e propria transazione, con cui il legittimario leso o pretermesso riceve meno di quanto gli sarebbe spettato e si impegna a non agire in riduzione, così non conseguendo la qualifica di erede: come sopra detto, un negozio di tal genere è certamente ammissibile, ma è cosa diversa dall’accordo di reintegrazione della legittima puro che si sta indagando.
Secondo altra impostazione, l’accordo di reintegrazione altro non sarebbe se non una rinuncia onerosa all’azione di riduzione: anche seguendo questa tesi, tuttavia, il legittimario leso o pretermesso non acquisterebbe la qualità di erede, ma una mera utilitas economica, raggiungendo, dunque, un effetto diverso da quello della sentenza di riduzione.
Pregevole appare, invece, la ricostruzione di quella parte della Dottrina che individua negli accordi di reintegrazione due momenti logico-giuridici distinti.
Il primo, ha ad oggetto l’accertamento della lesione subita dal legittimario e dell’esatto ammontare della lesione.
Se, dunque, la Dottrina concorda sulla natura di questo primo step, vi sono due opinioni divergenti in merito alla natura del passaggio giuridico conclusivo. Secondo una prima impostazione, una volta accertata la lesione, il successore trasferisce al legittimario leso o pretermesso quanto serve per soddisfarlo integralmente, dunque, realizza un negozio costitutivo, in forza del quale il legittimario leso o pretermesso acquista la pars bonorum che gli spetta, ma non lo status di erede.
Altri Autori, invece, hanno condivisibilmente affermato che, una volta che le parti abbiano accertato la lesione, i contraenti si limitano a dichiarare l’inefficacia relativa delle disposizioni testamentarie o liberalità inter vivos da cui la lesione deriva, con conseguente riemersione della delazione legale in favore del legittimario leso o pretermesso.
In conclusione, secondo l’opinione preferibile, gli accordi di reintegrazione della legittima sono negozi atipici dalla natura di accertamento dichiarativo, in forza del quale il legittimario leso o pretermesso diventa erede (valendo la conclusione dell’accordo come accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 c.c.) ed acquista una pars hereditatis. Trattandosi, dunque, di un acquisto assimilabile ad un acquisto a causa di morte, a seguito dell’accordo di reintegrazione è necessaria la presentazione di una nuova dichiarazione di successione e l’accordo viene trascritto non ex art. 2643 c.c., bensì ai sensi dell’art. 2648 c.c.
