L’obbligo di menzione urbanistica
Nella lotta ai fenomeni di lottizzazione abusiva e di abusivismo edilizio il legislatore attribuisce un ruolo fondamentale, oltre che, ovviamente, alle Pubbliche Amministrazioni, al Notaio, quale unico professionista abilitato a ricevere negozi aventi ad oggetto la costituzione, il trasferimento, la modifica e l’estinzione di diritti reali di godimento su beni immobili, nella forma dell’atto pubblico, necessaria per procedere alla trascrizione dell’atto nei Registri Immobiliari.
Per questa ragione, fin dal 1967, è fatto obbligo al Notaio rogante, a pena di nullità dell’atto, di inserire all’interno dello stesso un’apposita menzione urbanistica, contenente l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica del terreno in oggetto, con la cosiddetta dichiarazione di vigenza resa dalla parte alienante, con cui quest’ultima dichiara che dalla data del rilascio del c.d.u. alla data dell’atto non sono intervenute modificazione degli strumenti urbanistici, oppure, in caso di atto avente ad oggetto un fabbricato, l’indicazione degli estremi del titolo edilizio che ha consentito l’edificazione del fabbricato stesso.
La disciplina speciale in oggetto, che ha subito negli anni diverse modifiche, è oggi contenuta negli artt. 30 e 46 del d.p.r. n. 380/2001 (Testo Unico sull’edilizia), riferiti, rispettivamente, alla circolazione dei terreni e dei fabbricati.
In particolare, ai sensi dell’art. 30, commi 2, 3 e 4 del d.p.r. citato, “[…] 2. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata.
Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell’area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati.
3. Il certificato di destinazione urbanistica deve essere rilasciato dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della relativa domanda. Esso conserva validità per un anno dalla data di rilascio se, per dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici.
4. In caso di mancato rilascio del suddetto certificato nel termine previsto, esso può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti attestante l’avvenuta presentazione della domanda, nonché la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero l’inesistenza di questi ovvero la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi […]”.
Dispone, invece, l’art. 46, comma 1 del Testo Unico, con una previsione interamente riproduttiva del previgente art 40 l. n. 47/1985, che continua ad applicarsi ai fabbricati la cui costruzione è iniziata dopo il 1° settembre 1967, che “[…] Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù […]”.
Pertanto, dalla lettura delle due norme riportate emerge che rimangono estranei all’obbligo di menzione urbanistica i soli atti di acquisto di diritti reali su immobili a causa di morte; invero, non potrebbe essere diversamente, in quanto la morte del de cuius comporta un fenomeno necessario di successione in favore degli eredi, che non può essere impedito dalla presenza nell’asse ereditario di immobili abusivi, i quali, viceversa, finirebbero per costituire un patrimonio senza titolare.
All’opposto, sono soggetti all’obbligo di menzione urbanistica tutti gli atti tra vivi concernenti il diritto di proprietà, o diritti reali di godimento (non anche i diritti reali di garanzia), a qualsiasi titolo, con le due sole eccezioni, evidenziate nei sopra riportati articoli, relative ai terreni di estensione non superiore a 5.000 mq pertinenziali ad un fabbricato censito al Catasto Fabbricati e agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di servitù su fabbricati.
Tuttavia, se il legislatore prevede a chiare lettere che la violazione dell’obbligo di menzione urbanistica come delineato comporta la nullità dell’atto, tradizionalmente discussa è stata la natura della nullità urbanistica sancita dall’art. 46 del d.p.r. citato, essendo sul punto state elaborate due distinte teorie, che determinano importanti conseguenze sulla commerciabilità di determinati fabbricati abusivi e, di riflesso, sulla portata degli obblighi di accertamento del Notaio rogante.
La natura della nullità urbanistica alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 22 marzo 2019 n. 8230
L’accennato dibattito dottrinale e giurisprudenziale nasceva dall’elaborazione di due teorie diverse e, a ben vedere, opposte sulla natura della nullità urbanistica.
Secondo la dottrina notarile costante, invero, la nullità in esame avrebbe natura formale: in altre parole, ai fini della validità dell’atto sarebbe necessario e sufficiente l’inserimento di una menzione formalmente rispondente alla previsione di legge, cioè la mera menzione degli estremi di un titolo edilizio, a prescindere dall’effettiva rispondenza di quest’ultimo allo stato di fatto del fabbricato oggetto dell’atto.
L’apposto, secondo altri Autori e parte della giurisprudenza, anche di legittimità, la nullità urbanistica avrebbe natura sostanziale, essendo quindi necessario, al fine di scongiurare la nullità dell’atto non solo l’inserimento di una menzione formalmente corretta, ma altresì la conformità tra le previsioni contenute nel titolo edilizio i cui estremi vengono menzionati in atto e lo stato di fatto dell’immobile; ciò con la conseguenza di porre a carico del Notaio rogante uno specifico obbligo di indagine relativo allo stato di fatto dell’immobile, al fine di accertare tale esattezza sostanziale della menzione da inserire.
Il descritto dibattito dottrinale e giurisprudenziale ha, infine, portato alla rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con un intervento nomofilattico, con sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230, hanno accolto definitivamente accolto la tesi della natura formale della nullità urbanistica, ma con un importante caveat rispetto a come tale impostazione era stata elaborata ed esposta.
Nella citata pronuncia, invero, il Supremo Consesso ha precisato che, ai fini della validità dell’atto non solo deve in esso essere inserita una menzione urbanistica formalmente rispondente alla previsione di legge, ma tale menzione deve altresì essere riferita ad un titolo edilizio realmente esistente e, soprattutto, riferito al fabbricato oggetto dell’atto: per questo, la più attenta dottrina che ha commentato la pronuncia in esame vi ha ravvisato, a ben vedere, la teorizzazione di una sorta di sotto-teoria, che si inserisce comunque nell’ambito della teoria della nullità formale, definita come teoria dell’esistenza.
Pertanto, alla luce dell’orientamento delle Sezioni Unite, grava sul Notaio rogante, a tutela della parte acquirente, un obbligo di informativa “aggravato”, scomponibile in tre distinte parti, che emergono dall’atto:
1. Descrizione dell’abuso;
2. Menzione di avere reso edotti i contraenti in ordine alle responsabilità amministrative e penali che possono derivare dall’abuso;
3. Indicazione del soggetto su cui grava l’obbligo di regolarizzazione dell’abuso, nonché dei termini e modalità in cui tale obbligo deve essere adempiuto.
Alla luce di tutto quanto finora detto, dunque, si possono trarre le seguenti conclusioni. All’interno della macrocategoria dei fabbricati abusivi possono essere distinte due sotto-categorie: da un lato, i fabbricati costruiti in assenza di qualsivoglia titolo edilizio abilitativo; dall’altro lato, i fabbricati costruiti o ristrutturati in presenza di un titolo edilizio, ma in modo difforme dalle prescrizioni contenute nel titolo medesimo (ovvero, costruito conformemente al titolo edilizio e successivamente ristrutturato in assenza di un secondo titolo abilitativo, così facendo venir meno a conformità tra titolo originario e stato di fatto dell’immobile).
I fabbricati facenti parte della prima categoria sono, senza dubbio, incommerciabili, in quanto l’assenza di titolo edilizio comporta la materiale impossibilità per il Notaio rogante di inserire in atto una menzione urbanistica formalmente corretta.
Viceversa, i fabbricati facenti parte della seconda categoria sarebbero incommerciabili accogliendo la tesi della natura sostanziale della nullità urbanistica, ma seguendo, sotto l’egida delle Sezioni Unite, la teoria dell’esistenza, possono essere ritenuti commerciabili, inserendo in atto, oltre alla menzione urbanistica formalmente corretta la menzione dell’obbligo informativo come sopra esposta.
La sorte dell’atto pubblico affetto da nullità urbanistica
Ai sensi dell’art. 1423 del Codice civile, “il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”. Tuttavia, la nullità urbanistica è proprio una delle tassative ipotesi in cui la legge ammette la possibilità di conferma (rectius, di convalida) dell’atto nullo, espressamente prevista, per i terreni, dall’art. 30, comma 4-bis e, per i fabbricati, dall’art. 46, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001.
In particolare, le citate norme dispongono quanto segue:
– Quanto ai terreni, “[…] […]”: l’atto di conferma deve dunque contenere l’allegazione del c.d.u. storico, cioè rilasciato alla data dell’atto da confermare, ovvero la dichiarazione di vigenza storica, cioè riferita al lasso di tempo tra il rilascio del c.d.u. allegato all’atto da confermare e la data di stipula dell’atto medesimo;
– Quanto ai fabbricati “[…] Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa […]”: l’atto di conferma deve contenere l’indicazione degli estremi del titolo edilizio sussistente alla data dell’atto da confermare ed è ammissibile solo a condizione che la mancanza in detto atto della menzione urbanistica non sia dipesa dall’insussistenza, a quella data, del titolo edilizio.
