La capacità di testare.
Ai sensi dell’art. 587 comma 1 del Codice civile, il testamento è definito come l’atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo per cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Il Capo II del Titolo dedicato alle successioni testamentarie è rubricato “Della capacità di disporre per testamento”, tuttavia, il Codice non individua espressamente i soggetti che sono considerati capaci di testare (al contrario di quanto fa con riferimento ai soggetti capaci di succedere, ex art. 462 del Codice civile), ma si limita a disporre, ai sensi dell’art. 591 del Codice civile, che possono disporre per testamento “tutti coloro che non sono stati dichiarati incapaci di testare dalla legge”.
Il principio generale è, dunque, quello della capacità di testare, che costituisce un corollario della capacità d’agire, mentre eccezionali sono le ipotesi di incapacità infra esposte.
Questione discussa, tuttavia, è quale legge assuma rilievo, ai fini della capacità di testare, e dunque della validità o meno del testamento, se quella in materia di capacità di testare vigente al momento della testamenti factio, ovvero quella vigente al momento dell’apertura della successione.
Sebbene siano state autorevolmente sostenute entrambe le impostazioni, si ritiene preferibile la prima, argomentando anche sulla base dell’art. 11 delle Preleggi, ai sensi del quale la legge non dispone che per l’avvenire, con la conseguenza che il fatto compiuto, in sé e negli effetti futuri che ne derivano, deve essere governato dalla legge imperante nel tempo in cui esso si è verificato.
A conferma di ciò, tra l’altro, la legge ricollega al momento della perfezione del testamento l’accertamento della condizione della capacità del testatore.
Le ipotesi di incapacità di testare.
Le ipotesi di incapacità di testare sono previste dal secondo comma del citato art. 591 del Codice civile, ai sensi del quale “sono incapaci di testare:
1) Coloro che non hanno compiuto la maggiore età;
2) Gli interdetti per infermità di mente;
3) Quelli che, sebbene non interdetti, si provi di essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento”.
La dottrina e la giurisprudenza si sono invero interrogate sull’esatto ambito applicativo della citata norma, analizzando le ipotesi più problematiche, che saranno adesso esposte. Si precisa, però, fin da subito che il principio ispiratore della presente indagine deve sempre essere quello sopra ricordato secondo cui la capacità di testare è la regola, mentre l’incapacità è l’eccezione, con la conseguenza che la norma che le ipotesi di capacità menzionate devono essere considerate tassative e, ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, l’art. 591, comma secondo, del Codice civile, in quanto norma eccezionale, non può essere oggetto di interpretazione analogica, ma deve, all’opposto, essere interpretato in senso restrittivo.
Il primo caso su cui sembra opportuno spendere alcune considerazioni è quello del minorenne ammesso a contrarre matrimonio (minore emancipato).
Nel momento in cui viene ammesso a contrarre matrimonio, invero, al minore, nonostante non abbia ancora compiuto il diciottesimo anno di età e non abbia ancora quindi acquistato la capacità d’agire (così l’art. 2 del Codice civile), l’ordinamento riconosce una capacità d’agire limitata, essendo egli tendenzialmente ammesso a concludere ogni negozio personalmente, sebbene con la necessaria assistenza del curatore e debitamente autorizzato. Una capacità d’agire pressoché piena è, poi, riconosciuta al minore emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale, il quale, ai sensi dell’art. 397 del Codice civile, è ammesso a compiere gli atti di straordinaria amministrazione anche non rientranti nell’esercizio dell’impresa da solo (e senza alcuna autorizzazione all’atto).
Nonostante ciò, tuttavia, il numero 1) del citato art. 591, comma secondo, del Codice civile è chiaro nel negare la capacità di testare a coloro che non hanno compiuto il diciottesimo anno di età, sic et simpliciter, senza fare alcuna distinzione, con la conseguenza che la dottrina e la giurisprudenza sono unanimi nel negare la capacità di agire di ogni minore, anche quello emancipato.
Del pari, assolutamente consolidata è l’opinione che il numero 2) della norma in commento, sempre in forza della necessaria interpretazione restrittiva di cui si è detto, possa applicarsi solamente a coloro che siano stati interdetti per infermità di mente e non anche ai cosiddetti interdetti giudiziali, cioè quei soggetti condannati alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, nel periodo in cui scontano la pena, ai sensi dell’art. 32 del Codice penale.
Sebbene, infatti, ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, si applichino agli interdetti giudiziali le medesime norme dettate dal Codice civile per gli interdetti legali (cioè gli interdetti per infermità di mente), per costoro l’interdizione è una mera pena accessoria, che nulla ha a che vedere con la loro capacità di discernimento.
Per questo, ragionevolmente, l’art. 591, comma secondo, del Codice civile prevede l’incapacità di testare per i sono soggetti interdetti per infermità di mente e quindi, a contrario, la capacità di testare degli interdetti giudiziali, in quanto una pena accessoria non può spingersi al punto di privare il condannato di un diritto fondamentale della persona quale è quello di disporre per testamento.
Si precisa, tra l’altro, che, essendo il testamento un atto personalissimo, dunque non suscettibile di alcuna forma di rappresentanza (volontaria o legale) o assistenza, l’interdetto giudiziale è capace di fare testamento da solo e senza alcuna autorizzazione.
Alla medesima conclusione deve giungersi con riferimento all’inabilitato, il quale non è menzionato nell’elenco tassativo dell’art. 591, comma secondo, del Codice civile e dunque può validamente testare senza l’assistenza del curatore né l’autorizzazione giudiziale.
Ulteriore caso su cui è opportuno soffermarsi, ma che deve essere risolto alla stregua dei medesimi principi fino ad ora utilizzati, è quello del beneficiario di amministrazione di sostegno. Come noto, l’amministrazione di sostegno, prevista e disciplinata dagli artt. 404 e seguenti del Codice civile, è una misura di protezione pensata per limitare il meno possibile la capacità di agire del beneficiario ed un ruolo centrale è attribuito al giudice tutelare, che, nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, prevede espressamente per quali atti sia necessaria la sua presenza e se l’amministratore debba intervenire in qualità di rappresentante (con applicazione analogica delle norme in materia di interdizione legale) o di assistente (con applicazione analogica delle norme in materia di inabilitazione): prevede poi l’art. 409 del Codice civile che il beneficiario conserva la capacità d’agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.
Pertanto, il beneficiario di sostegno sicuramente sarà capace di testare, da solo e senza autorizzazioni, tranne che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno preveda un espresso richiamo alle norme sull’interdizione legale per il testamento.
L’ultima causa di incapacità prevista dalla norma in commento coincide con la cosiddetta incapacità naturale e si tratta della causa di incapacità il cui accertamento è più incerto, in quanto non si può desumere da un fattore anagrafico o da un provvedimento giurisdizionale (sentenza di interdizione), bensì dall’indagine di tutti quegli elementi di fatto da cui può emergere che il testatore è presente a se stesso, o meno.
In caso di testamento per atto pubblico (testamento pubblico o testamento segreto), tale indagine è rimessa al Notaio rogante, che dovrà accertarsi che il testatore sia in grado di rendersi esattamente conto di ciò che fa.
Si precisa che l’indagine del professionista non può che essere ancorata ad elementi fattuali ed esteriori, non potendosi richiedere al Notaio competenze tecniche specifiche che gli consentano di valutare la capacità di intendere e di volere del testatore con la perizia che si richiederebbe ad un medico; è tuttavia possibile (ed anzi frequente nella prassi) che, in caso di testatore affetto da grave malattia, oppure ormai avanti con gli anni, il Notaio richieda, ai fini della stipula, un certificato medico che ne accerti la capacità.
Il testamento fatto dall’incapace.
Poste queste premesse, quid iuris in caso di testamento redatto da un soggetto incapace di testare al momento della testamenti factio?
Il più volte citato art. 591 del Codice civile prevede, al terzo comma, che nei casi di incapacità di cui al comma precedente “il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse. L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”.
La norma non definisce, quindi, quale sia l’azione da esperire per fare valere l’incapacità del testatore.
Tale lacuna normativa è, tuttavia, colmabile tramite un’interpretazione sistematica, che individua nel termine prescrizionale di cinque anni una base per affermare che l’incapacità del testatore possa essere fatta valere con l’azione di annullamento.
Precisamente, si tratta di un’ipotesi di annullabilità assoluta, cioè esperibile non solo dalla parte nel cui interesse la sanzione è prevista, ma da chiunque vi abbia interesse, cioè da tutti coloro che acquisterebbero un diritto successorio in conseguenza della sentenza di annullamento.