La circolazione delle partecipazioni sociali
Il tema della circolazione, inter vivos e a causa di morte delle partecipazioni sociali non può essere affrontato unitario, prescindendo da distinzioni imperniate sul tipo di responsabilità (limitata o illimitata) per le obbligazioni sociali ad esse riconnessa, ovvero alla rilevanza (o irrilevanza) della persona del socio.
All’interno delle società lucrative, è necessario dedicare una trattazione separata alle società personali, da un lato, ed alle società di capitali, dall’altro.
Le società di persone.
Nelle società di persone, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, vige il principio unanimistico e non esiste la distinzione tra atto costitutivo e statuto (la società è retta dai soli patti sociali, che costituiscono a tutti gli effetti un contratto tra tutti i soci), con la conseguenza che ogni mutamento, non solo delle componenti oggettive della società, ma anche della compagine sociale, comporta una modifica dei patti sociali, da decidersi all’unanimità (così l’art. 2252 c.c.). Questo vale sicuramente per le società semplici ed in nome collettivo, laddove per le società in accomandita semplice deve farsi una precisazione: il principio generale di cui all’art. 2252 c.c. vale per i soli soci accomandatari, mente, ai sensi dell’art. 2322 comma 2 c.c., il trasferimento inter vivos della quota di accomandante si trasmette con il consenso della maggioranza del capitale (con deroga, dunque, al principio capitario, che usualmente vige nelle società di persone).
La circolazione della quota di accomandante è soggetta ad una disciplina diversa rispetto a tutte le altre partecipazioni in società di persone, anche quando il trasferimento avviene a causa di morte: in questi casi, infatti, dispone il primo comma dell’art. 2322 c.c. che la circolazione della quota è libera.
Fatta salva questa eccezione, invece, il trasferimento mortis causa delle quote in società personali è disciplinato dall’art. 2284 c.c., che prevede la liquidazione della quota del socio defunto in favore dei suoi successori, salvo che i soci superstiti non decidano lo scioglimento della società, ovvero la continuazione con i successori. Quanto alla liquidazione, si precisa, tra l’altro, che, ancorché dal tenore letterale dell’art. 2284 c.c. l’obbligo di liquidare la quota del defunto sembrerebbe gravare sugli altri soci, secondo opinione oggi unanime, ciò è da imputare all’opinione, consolidata nel momento dell’entrata in vigore del codice civile, ma ormai assolutamente superata, secondo cui le società semplici non sarebbero soggetti di diritto: pertanto, l’obbligo di procedere alla liquidazione grava sulla società.
La disciplina legale appena esposta può, ad ogni modo, essere derogata per volontà dei soci, i quali, ad esempio, possono prevedere inter vivos il trasferimento con il consenso della sola maggioranza (salva comunque l’unanimità per il negozio di modifica dei patti sociali, che, tuttavia, una volta che si è validamente perfezionata la cessione, è atto dovuto), dei soci o del capitale, fermo il diritto di recesso dei soci che non hanno concorso alla decisione; ovvero ancora può essere prevista la libera trasferibilità della partecipazione, che, giuridicamente, si qualifica come una sorta di consenso preventivo alla cessione di contratto (di società) ai sensi dell’art. 1407 c.c.
Plurime sono, poi, le possibili deroghe convenzionali alla disciplina della circolazione mortis causa, come, ad esempio, le clausole di liquidazione obbligatoria, o di scioglimento obbligatorio, con le quali, in sostanza, i soci decidono ex ante per quale dei tre scenari proposti dall’art. 2284 c.c. opteranno, in caso di morte di uno di loro.
Più problematica è la previsione della clausola di accrescimento (della quota del defunto alla partecipazione degli altri soci): tale clausola, infatti, secondo consolidata opinione, è valida solamente se viene previsto il diritto alla liquidazione della quota del defunto (questa volta, a carico dei soci superstiti, che beneficiano dell’accrescimento, non della società) in favore dei suoi successori (c.d. accrescimento impuro) e non invece se tale diritto alla liquidazione difetta (c.d. accrescimento puro).
Da ultimo, la prassi ha dato vita alle cosiddette clausole di continuazione (della società con i successori del defunto), con le quali i soci superstiti sono obbligati a proseguire la società con i successori del defunto, la cui posizione giuridica cambia, in base al tipo di clausola di continuazione: in caso di clausola di continuazione facoltativa, i successori del de cuius avranno il mero diritto di scegliere se proseguire l’attività sociale, o richiedere la liquidazione. Se la clausola di continuazione è invece obbligatoria, i successori saranno liberi di scegliere se proseguire la società, o meno, ma se decideranno di non farlo, gli eredi saranno tenuti a pagare una indennità (la quale si configura come un debito ereditario a tutti gli effetti, perché con la clausola in esame è il socio defunto che aveva stipulato una promessa di fatto del terzo, cioè del successore, trovando quindi applicazione l’art. 1381 c.c.). Discussa è, infine, la ammissibilità della clausola di continuazione automatica, in quanto, secondo parte della dottrina, tale clausola comporterebbe una assunzione di responsabilità solidale e illimitata da parte del successore, senza un suo espresso consenso, con inammissibile violazione dei principi cardine del diritto societario: a tale argomento si obietta, tuttavia,
sottolineando che l’accettazione dell’eredità, o il mancato rifiuto del legato valgono, a tutti gli effetti, come una manifestazione del consenso all’assunzione di responsabilità illimitata. Ulteriore obiezione che viene tradizionalmente posta alla ammissibilità delle clausole di continuazione obbligatoria ed automatica è, poi, quella secondo cui tali clausole integrerebbero una violazione del divieto di patti successori ex art. 458 c.c.: tuttavia, così non è, in quanto i soci si limitano a disciplinare le conseguenze della morte del socio sulla vita della società, senza interferire in alcun modo nel regolamento della di lui successione.
Le società di capitali.
Principi diametralmente opposti rispetto a quelli finora analizzati valgono, invece, con riferimento alle società di capitali, dove la circolazione delle partecipazioni sia inter vivos sia mortis causa è quasi sempre libera, essendo previste tre sole ipotesi legali di intrasferibilità delle azioni, una sola delle quali opera anche con riguardo alla caduta in successione: si tratta della inalienabilità delle azioni per cui è stato esercitato il recesso (art. 2437 bis comma 2 c.c.) e delle azioni liberate mediante conferimento in natura prima che gli amministratori abbiano controllato le valutazioni (art. 2343 comma 3 c.c.), nonché della incedibilità sia inter vivos che mortis causa delle azioni con prestazioni accessorie (art. 2345 c.c.).
Si precisa, tra l’altro, che anche le azioni dell’accomandatario di s.a.p.a. sono liberamente trasmissibili, ma il cessionario entra in società con la qualifica di accomandante e, solo dopo, può essere nominato amministratore e divenire così, di diritto, accomandatario.
La libera trasferibilità può, ad ogni modo, essere derogata dai soci, con l’inserimento di apposite clausole statutarie, l’inserimento delle quali, nelle sole, s.p.a. e s.a.p.a., comporta il diritto di recesso ex art. 2437 comma 2 let. b) c.c. (salvo che sia stato escluso dallo statuto) per i soli soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera.
L’ammissibilità di queste clausole, che saranno singolarmente analizzate infra, è comunque subordinata al fatto che la loro presenza nello statuto sociale non renda il socio sostanzialmente prigioniero della società, essendo all’uopo talvolta necessario prevedere un correttivo, che, in caso di limitazione alla circolazione mortis causa, consisterà sempre nel diritto dei successori alla liquidazione del socio defunto; viceversa, il correttivo al limite alla circolazione inter vivos, nelle s.r.l. è sempre e soltanto il diritto di recesso cosiddetto in concreto (cioè attribuito al socio nel momento in cui vorrebbe uscire dalla società, ma non può farlo a causa del limite, mentre in s.p.a. e in s.a.p.a. può assumere diverse forme (recesso ad nutum, recesso in concreto, diritto di fare acquistare la propria partecipazione alla società o ai soci, previsione di criteri per la determinazione di un prezzo della partecipazione pari almeno al valore del recesso, equa valorizzazione).
Procedendo all’analisi delle singole clausole in deroghe, queste possono essere innanzitutto divise tra quelle per cui serve il correttivo e quelle per le quali non serve: tale distinzione, tuttavia, vale per il soli limiti alla circolazione che operano inter vivos, mentre qualsiasi limitazione alla circolazione per causa di morte attribuisce ai successori del socio defunto il diritto alla liquidazione della quota.
Limiti alla circolazione per cui serve un correttivo.
a. Divieto assoluto.
Per espressa previsione degli artt. 2355 bis e 2469 c.c., il divieto assoluto di cessione delle partecipazioni può essere legittimamente previsto solo per cinque anni (in s.p.a. e s.a.p.a.) e due anni (in s.r.l.): tuttavia, secondo consolidata prassi notarile, tale clausola potrebbe essere prevista anche per un periodo di tempo maggiore, a condizione che, decorso il quinquennio, o il biennio, sia riconosciuto ai soci il diritto di recesso ad nutum. Tra l’altro, decorso il termine legale, nulla osta ad una nuova delibera di previsione della clausola, che quindi fa decorrere nuovamente il termine da zero.
Infine, secondo la Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 92, pur in presenza del divieto, sarebbe ammissibile una deroga una tantum, con il consenso unanime dei soci.
b. Gradimento mero.
La circolazione delle partecipazioni può essere, poi, subordinata al gradimento di amministratori, soci (nel loro complesso), una singola categoria di soci e, nelle sole s.r.l., ad un singolo socio, quale diritto particolare ex art. 2468 comma 3 c.c.; il gradimento non può spettare, di contro, ai sindaci, stante la necessaria indipendenza di tali figure, né agli amministratori delegati.
Ciò posto, il gradimento di tali soggetti può essere del tutto discrezionale (mero), ovvero ancorato a dei criteri oggettivi (non mero). Nel primo caso, la legge impone, nel caso in cui il gradimento sia negato, l’obbligo della società (nelle sole s.p.a. e s.a.p.a, stante il divieto nelle s.r.l. di acquisto di azioni proprie) o dei soci di acquistare la partecipazione del socio che intendeva trasferirla, ovvero il diritto di recesso dello stesso: la prassi notarile ammette, tuttavia, correttivi alternativi, quali, ad esempio, l’obbligo della società di individuare un acquirente gradito.
c. Prelazione impropria.
Il diritto di essere preferito nel trasferimento della partecipazione può spettare alla società (nelle sole s.p.a. e s.a.p.a, stante il divieto nelle s.r.l.), a tutti i soci, ad una categoria di soci, ovvero al singolo socio di s.r.l. quale titolare di un particolare diritto ex art. 2468 comma 3 c.c., ovvero ad un terzo: secondo un’opinione, tuttavia, il diritto di prelazione potrebbe spettare al terzo, nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a., soltanto finché tale soggetto non lo eserciti, acquistando lo status soci (se mantenesse il diritto anche dopo esser diventato socio, questo si configurerebbe di fatto come un inammissibile diritto particolare).
La prelazione è detta impropria quando l’obbligo di essere preferito, in questo caso della società, o degli altri soci, spetta in riferimento alla volontà dell’obbligato di cedere la partecipazione a fronte di un corrispettivo infungibile: proprio l’infungibilità del corrispettivo fa sì che tale clausola sia legittima solo a condizione che la società fissi dei criteri oggettivi di determinazione del corrispettivo, che lo individuino in una cifra comunque non inferiore al valore del recesso.
d. Bring along e drag along.
Bring e drag along sono due esempi di clausola c.d. di covendita, e precisamente: la clausola bring along consiste nel diritto del terzo acquirente, che si qualifica come diritto di opzione, di acquistare, insieme alla quota del socio di maggioranza, anche quelle dei soci di minoranza; la clausola drag along, invece, comporta il diritto del socio di maggioranza che aliena la propria partecipazione di “trascinare con sé”, ricomprendendo nella vendita, anche i soci di minoranza (la dottrina discute sulla natura della clausola in discorso, se si tratti di un mandato a riscuotere, di un preliminare unilaterale, ovvero di un diritto di opzione del terzo acquirente).
Ciò che accomuna le due ipotesi di covendita appena descritte, comunque, è la circostanza che in entrambi i casi i soci di minoranza si trovano nella posizione di dover subire una volontà altrui (del terzo acquirente, ovvero del socio di maggioranza, alienante), con la conseguenza che questi limiti alla circolazione sono leciti solo a condizione che sia garantita l’equa valorizzazione delle partecipazioni dei soci di minoranza, che quindi non possono essere cedute ad un prezzo inferiore a quello del recesso, ovvero al maggior prezzo convenuto dal socio di maggioranza.
e. Antistallo (o russian roulette).
Le clausole antistallo, come suggerito dallo stesso nome, sono volte a prevenire situazioni di stasi dell’organo assembleare, derivante dalla presenza di un insanabile dissidio tra due soci di maggioranza, titolari di una eguale partecipazione. In forza della russian roulette, infatti, qualora si verifichi la descritta situazione di stallo, ognuno dei soci di maggioranza potrà fissare un prezzo alla propria partecipazione e l’altro socio di maggioranza dovrà decidere se, a quel prezzo, acquistare la partecipazione del primo, ovvero alienargli la propria: secondo la dottrina notarile più tuzioristica, anche in questo caso sarebbe necessario tutelare l’equa valorizzazione della partecipazione, fissando un prezzo non inferiore al valore del recesso, in modo da scongiurare che uno dei soci di maggioranza possa approfittarsi dell’altro (magari consapevole della sua scarsa liquidità e conseguente impossibilità di acquistare la partecipazione anche ad un prezzo inferiore al valore di recesso).
Limiti alla circolazione per cui non serve un correttivo.
Vi sono, poi, dei casi in cui la struttura stessa della clausola limitativa della circolazione è idonea a garantire che il socio sia comunque libero di dismettere la partecipazione, non imprigionandolo, e che egli consegua un adeguato compenso per la partecipazione, e precisamente:
a. Gradimento non mero.
In questo caso, il gradimento degli amministratori o soci (come sopra meglio precisato) in relazione alla volontà di un socio di cedere la propria partecipazione è subordinato alla verifica della sussistenza di specifici criteri oggettivi, predeterminati dallo statuto.
b. Prelazione propria.
La prelazione è propria quando il diritto ad essere preferito spetta solo in caso di cessione a fronte di un corrispettivo fungibile, che quale, pertanto, sarà lo stesso corrispettivo pagato dal prelazionario, se deciderà di esercitare il suo diritto: il socio alienante, dunque, ottiene la stessa utilità che avrebbe ottenuto alienando in favore dell’acquirente originario.
c. Tag along.
La tag along è il terzo tipo di clausola di covendita elaborata dalla prassi notarile, che attribuisce ai soci di minoranza, nel caso in cui il socio di maggioranza stia cedendo la propria partecipazione, il diritto di cedere la propria al medesimo prezzo: in questo caso l’assenza di correttivo si giustifica per il fatto che i soci di minoranza sono liberi di decidere se alienare o meno, cosa che sceglieranno, verosimilmente, valutando la convenienza o meno del prezzo di alienazione ottenuto dal socio di maggioranza.
d. Change of control.
Questa clausola comporta la possibilità della società, della quale sia socia un’altra società, di esprimere il proprio gradimento in caso di cambio del socio di maggioranza all’interno della società socia: tale cambio nel controllo della società socia resta, tuttavia, valido ed efficacia e, proprio per questo, viene considerato come un limite alla circolazione solo in senso lato e non necessita la previsione di correttivo alcuno.
e. Divieto di alienazione parziale.
Secondo la Massima n. 201 del Consiglio Notarile di Milano, il divieto di alienazione non richiederebbe la previsione di un correttivo, nel caso in cui si riferisca alla sola alienazione parziale, perché tale clausola non rischierebbe di rendere il socio prigioniero della società, in quanto costui ben potrebbe vendere l’intera partecipazione, se volesse uscire dalla società.
f. Esclusione statutaria della possibilità di rendere la partecipazione oggetto di usufrutto, pegno o sequestro.
Secondo la dottrina notarile più tuzioristica, l’esclusione della possibilità di dare in pegno, concedere in usufrutto, ovvero far pignorare la partecipazione costituirebbe lato sensu un limite alla circolazione della partecipazione, in quanto priverebbe il socio di una delle possibili modalità di disposizione della partecipazione previste dalla legge: non è, tuttavia, necessaria la previsione di alcun correttivo, in quanto il socio, se lo vuole, può in ogni momento dismettere la propria partecipazione.
Le società cooperative.
Da ultimo, alcune brevi considerazioni devono essere svolte in merito al regime di circolazione delle partecipazioni delle società cooperative, per le quali, tra l’altro, sono previste le medesime norme a prescindere dal fatto che la cooperativa abbia la forma di società per azioni, o a responsabilità limitata.
Sul punto, si deve distinguere in base al tipo di socio la cui partecipazione si tratta: quanto ai soci sovventori (soci, cioè, che apportano un mero contributo economico, il cui status è disciplinato dalla l. n. 59/1992) si applica tutto quanto finora detto per i soci di s.p.a o di s.r.l.; viceversa, due norme speciali, una relativa alla circolazione inter vivos, ed una relativa alla circolazione a causa di morte, sono previste per i soci cooperatori.
Ai sensi dell’art. 2521 n. 6 c.c., la circolazione con atto tra vivi della partecipazione del socio cooperatore è legittima nella misura in cui l’acquirente rispetta tutti i “requisiti e le condizioni per l’ammissione” previsti dallo statuto; prevede poi l’art. 2534 c.c. che alla morte del socio cooperatore i suoi successori abbiano il diritto alla liquidazione della quota, ovvero al rimborso ex art. 2535 c.c., facendo, tuttavia, salva la possibilità che lo statuto preveda la possibilità della continuazione della società con i successori del cooperatore defunto (sempre nel presupposto che questi rispettino i requisiti e le condizioni per l’ammissione).
Nel rispetto delle due citate norme, è poi possibile per la cooperative prevedere dei limiti convenzionali alla circolazione, per i quali si rimanda interamente a quanto esposto in relazione alle società di capitali.