Skip to main content
News

Essere notaio: dal privilegio allo svantaggio

Notardilizia, ininfluencer

Il pericolo è il mio mestiere

Sono Antonio Di Lizia, notaio in Potenza, o quel che ne resta.

Quel che mi sono trovato a desiderare, nella mia precedente vita (prima di essere Notaio), pur essendo animato da malcelate ambizioni artistiche o creative, era di avere un lavoro tranquillo, autonomo, una posizione socialmente rispettata e, perché no, soddisfacente dal punto di vista economico.

Avevo una laurea in giurisprudenza, conseguita non senza fatica – (come usavo dire mi sono laureato in quattro e quattr’otto …anni) – e la possibilità, quindi, di intraprendere molte carriere; nella pubblica amministrazione, nell’avvocatura, in magistratura. Oppure entrare in banca, cosa che scartai sul momento, malgrado le pressioni della mia mamma che avrebbe preferito un posto sicuro, subito.

Avevo escluso di entrare in polizia perché, all’epoca, per fare il commissario ci voleva un limite di altezza che io sfioravo, con un certo ottimismo, ma che non bastava; mi pare che il limite fosse fissato a un metro e sessantacinque, e io, anche con un mazzo di carte nei calzini, sotto il tallone, arrivavo a un metro e sessanta. Le cose, poi, sono cambiate, nel senso che sono state ammesse anche le donne, con un’altezza minima di un metro e sessantuno, comunque fuori dalla mia portata e non solo per un fatto di genere. Come vedremo, però, malgrado la mancanza dei requisiti fisici, per molti versi, mi sono trovato obbligato, come tutti voi, a svolgere le stesse funzioni, ma anche di rango meno elevato e con meno prerogative garantiste. Ma non vorrei svelarvi anzitempo dove voglio andare a parare, atteso che anche per fare il portiere non ciò il fisico. Non sono all’altezza.

Dicevo, dunque, che (fu come fu) non essendoci limiti di altezza minima, cominciai (quasi costretto) a fare pratica notarile, vivendo quella che, posso dire, è stata un’epopea di cui vado ancora fiero, sebbene avrei molti motivi per vederla, ora, dopo molti anni, meno entusiasticamente. Mi consolo, tra una cosa e l’altra, pensando, però, che questa dimensione eroica vissuta non me la potranno rubare mai. E chi mi può capire meglio di chi ha condiviso la stessa impresa straordinaria?

Per i miei dieci ammiratori faccio rimando al mio storico intervento “L’accesso al notariato: dalle esperienze alle proposte“.

Non ci potranno portare via la storia formidabile e i magnifici ricordi legati all’accesso al notariato, ma non sono certo che non siano svanite, o quantomeno tristemente appannate le sostanziali prerogative della professione e della funzione notarile che, a voler essere poco pretenziosi, consentivano di immaginare la nostra professione, al netto delle responsabilità ontologicamente insite, un lavoro tranquillo, autonomo, comportante una posizione socialmente rispettata e, perché no, soddisfacente dal punto di vista economico.

Si è fatto un gran parlare della pubblica funzione, del munus publicum, del notaio pubblico ufficiale, della posizione costituzionalmente garantita, insomma ci hanno insegnato e ci hanno convinto che la nostra è una collocazione peculiare nell’ambito delle professioni giuridiche, che merita rispetto e considerazione.

Oh, come siamo belli noi pomodori.

Vero è che i cugini avvocati ci hanno efficacemente definito ermafroditi del diritto, in considerazione della eccezionalità e della ambivalenza del nostro ruolo, ma senza con questo volerci mancare di rispetto, credo.

Sta di fatto che è iniziata a serpeggiare una concezione che intravvede nel notaio numerosi indici di anomalia, che fa sorgere nei suoi confronti la presunzione del sospetto. E così si è cominciato, dapprima a sospettare della sua inutilità, poi a sospettare della utilità della sua esistenza e, infine, come vedremo a sospettare tout court. (Come diciamo noi a Brunico).

Per farla breve: i notai sono guardati con sospetto.

E si sono fatti strada gli attacchi al notariato: vanno aboliti, vanno scangellati, guadagnano un sacco di soldi per una firma, fanno tutto le signorine, e per un passaggio di una Citroen si frecano 500 euro, esistono solo in Italia e così via di complimento in complimento, di menzogna in menzogna.

Malgrado ciò, non sono mancati, e non mancano, innumerevoli tentativi di usurpazione delle funzioni notarili: geometri che ricevono testamenti pubblici, commercialisti che fanno donazioni di quote sociali, agenzie immobiliari che assumono i notai, avvocati che vogliono fare i notai senza esserlo e che continuano a favorire proposte di legge, semplici semplici, che aggiungono dopo la parola “Notaio” sia nel codice civile che nella legge notarile, le quattro parole “ovvero avvocati iscritti all’ordine”, denotando una raffinata tecnica di redazione legislativa che potrebbe comportare di modificare la seconda parola di “codice civile” in “incivile” e anche di ridenominare la legge notarile il “legge avvocatile”.

Il tutto, finora, senza successo. Anche se al tentativo di distruzione della categoria notarile, stanno contribuendo, comunque, molti provvedimenti legislativi che, mellifluamente, apparirebbero emanati a favore (e con il favore) del notariato che, a sua volta, mostrando una lungimiranza fuori dal comune, tende a limitare i danni, piuttosto che opporre un orgoglioso dissenso a sua difesa.

Viviamo tempi difficili nell’ambito delle professioni intellettuali.

Che sia, da tempo, iniziato il loro smantellamento di fatto è sotto gli occhi di tutti, si dice, ad esempio che ci sia un avvocato ogni tre avvocati e che il numero degli avvocati del foro di Potenza sia superiore al numero di avvocati di tutta la Francia; e chest’è, come diciamo noi a Dobbiaco.

Altra bella botta l’hanno data la cd. dittatura del mercato e la dittatura della concorrenza che non è il caso di evocare, ma che, oltre a convincerci che siamo imprese (e quindi fallibili), ci hanno buttato in pasto al mercato con l’abolizione delle tariffe, ed hanno raggiunto lo scopo voluto: rendere i costi delle prestazioni notarili, in una spirale di aste al ribasso, così inadeguati da costringere pochi (alcuni) notai:

a cercare un ristoro nell’utilizzo delle somme di denaro versate per l’assolvimento delle imposte (frecandosi i soldi delle tasse destinate allo Stato)

ad andare in pensione prima del raggiungimento del limite di età, (con conseguenze esiziali sulla Cassa).

Senza contare il forte calo delle vocazioni con un corrispondente decremento delle frotte di candidati al concorso notarile.

Vecchi notai e aspiranti notai “non se la fidano più”, come diciamo noi a Fidenza.

E’ tutta una questione di fiducia, che mostra evidenti segni di compromissione; d’altronde l’uso di scendere a compromessi può  proporzionalmente compromettere la fiducia.

Non meravigliamoci, poi, se “questoequall’altro” ci trattano da scendiletti, quasi con irrisione.

I diversamente giovani fra noi, ricorderanno lo slogan “la fiducia è una cosa seria e si dà alle cose serie” e “Galbani vuol dire Fiducia”, slogan che, come è noto, è stato ricalcato dal Notariato, con la perifrasi in latinorum, FIDEIS ET VERITATIS ANCHORA, che non vuol dire, malgrado quel che sembra, “ancora con la fiducia e la verità?” (non vi siete stancati?).

E d’uopo allora porsi alcune domande retoriche, che sono facili da farsi e non contemplano una risposta (meno male).

Ci è forse mancato il coraggio di una reazione adeguata?

Siamo ancora in tempo, magari riesumando il nostro antico slogan che, nella sua puntuale traduzione, an… coraggio della fede e della verità, ci possa dare il coraggio, almeno, di pretendere un an…coraggio in un porto sicuro?

Quel che viviamo, la logica del sospetto, giustifica la sindrome del sentirsi inadeguati, di sentirsi clandestini in patria, bisognosi di aiuto, di asilo o di rifugio.

Insomma abbiamo motivi per sentirci una massa di rifugiati, visti come clandestini, che cercano, come conigli bagnati, un rifugio.

E, finammò, in cosa e dove abbiamo cercato rifugio?

Senza che il seguente elenco debba intendersi esaustivo, ma solo indicativo:

Nell’imposizione di lavorare gratuitamente, cosa impedita ai clandestini o ai rifugiati, ma non ai notai.

Nell’imposizione di depositare le somme versate in ragione del nostro ruolo di esattori, in un conto dedicato, annualmente controllato per verificare se ci frechiamo i soldi.

E, incredibile dictu, nel glorificare e fare affidamento sulla imposizione di funzioni del tutto estranee al nostro DNA (molecola in cui sono contenute tutte le istruzioni necessarie alla cellula per sopravvivere e svolgere le proprie funzioni), che hanno, inaspettatamente (per molti), determinato una evoluzione (?) della funzione del notaio, che sembrerebbe pericolosamente orientata a una metamorfosi della tradizionale indagine della volontà delle parti, nella sciagurata indagine delle intenzioni delle parti; con obbligo di ricercare, altresì, con ogni mezzo, il possibile coinvolgimento di terzi che, tramite arditi collegamenti, possano immaginarsi partecipi di disegni più o meno leciti, posti in essere attraverso atti notarili.

Risulta evidente, in ciò, una disfunzione nell’approccio al ministero notarile che pare debba fondarsi esclusivamente sulla cd. logica del sospetto; ribaltandosi, a sua volta, nei confronti dello stesso notaio, il sospetto che sia, non più, come ci hanno insegnato, terzo, ma partecipe ed attore degli atti che riceve, facendo propri gli intenti (misconosciuti) delle parti e dei terzi coinvolti.

Sorge il dubbio (per non dire il sospetto) che questa visione possa ritenersi accettabile; ma si può sostenere, con ragionevole incertezza, che non debba essere avallabile dal Notariato.

Ed ecco che il notaio assume, quasi esclusivamente FUNZIONI SUBORDINATE DI POLIZIA INVESTIGATIVA senza averne né la formazione, né i mezzi atti al loro espletamento, INSOMMA SENZA ESSERNE ALL’ALTEZZA.

Non basterebbe un mazzo di carte nel calzino sotto il tallone e neanche le scarpe con lo zatterone, sul modello del look dei Cugini di Campagna.

Per usare una locuzione, entrata meritatamente nei luoghi comuni più frequentati nella nostra epoca, NON CE LA POSSIAMO FARE.

Per l’occasione e anche perché è molto in voga, abbiamo chiesto aiuto all’intelligenza artificiale, abbiamo inserito i dati relativi alle disfunzioni delle funzioni notarili e a quello che stanno passando i notai e abbiamo chiesto che si formulasse una sintesi orale, da proporre in questa sede come conforto ad un pubblico, che ha buoni motivi di essere stupito e spaurito.

Ecco il risultato:

e nui passam ‘e uai e nun putimm suppurtà e chist in invece e rà na man, c’alliscene, ce vatt’ne, ci enghien e tass,
e nui passam ‘e uai e nun putimm suppurtà e chist in invece e rà na man, c’alliscene, ce vette’ne, c’abboffene e cafè…ah che bellu cafè pur in carcere o sann fa, c’a’  ricett ‘e Cicerenella, compagn di cella, precisa a mammà.”

E qui si appalesa il tema che ci angoscia, sintetizzato ne ANTIRICICLAGGIO: DAL PRIVILEGIO ALLO SVANTAGGIO.

La nostra singolare duplicità, da molti ritenuta una ambiguità, che, come è evidente, si basa sull’ossimoro, ci ha indotto a temere del nostro futuro e a non valutare le eventuali derive patologiche che da alcune leggi potevano scaturire.

Con la solita interpretazione benevola e autoreferenziale, ci siamo convinti (ci siamo fatti convincere) che lo Stato avesse ancora bisogno di noi, chiamandoci ad una collaborazione attiva in un ambito in cui lo Stato avesse necessità di soccorso, per sopperire all’inefficienza, per non dire all’incapacità, delle istituzioni preposte alla prevenzione ed alla repressione di alcuni reati.

E abbiamo consentito che passasse questo messaggio: “siccome noi (notai) invece siamo capaci di tutto, al contrario di “Questoequell’altro”, vi aiutiamo volentieri e vi faremo vedere noi.”

Mò però “Questoequell’altro”, che si sono visti dare dell’incapace e dell’inefficiente, in primis non l’hanno vista bene, in secundis se la sono legata al dito e hanno pensato tra sé e sé, ve la faremo vedere noi. E ce la stanno facendo vedere.

Questa visione della richiesta di aiuto e di collaborazione, oltre a non avere un puntuale riscontro nella normativa, come da “Questoequell’altro” sostenuto, non viene assolutamente condivisa dai coadiuvati che partono dal definire il nostro compito come “obbligo di azione” e/o “obbligo di astensione” e/o “obbligo di segnalazione”, fino a giungere alla interpretazione che “se non segnali sei complice”. Salvo, poi, a lamentare una quantità di segnalazioni ingestibile e considerate inutili: “non segnalate i delinquenti, noi lo sappiamo che sono tali, la segnalazione non serve” è stato detto da un rappresentante delle forze dell’ordine in un recente convegno. E quindi “anche se segnali sei complice”, perchè lo sapevi.

Insomma:

come la fai, la sbagli
sia se la fai, sia se non la fai
e siamo richiesti anche di rifarla,
se l’abbiamo fatta
.

Non c’è scampo.

Con conseguenze a dir poco inquietanti.

Mò io non voglio dire “ve l’avevo detto”, ma, in verità, distopicamente l’avevo detto: affidare la nostra “salvezza” a questa sciagurata normativa, non è stata e non è cosa buona e giusta.

Le ricadute sono sotto gli occhi di tutti, a partire da un apparato sanzionatorio spropositato e folle, fino all’aberrazione delle implicazioni penali che si presumono, senza se e senza ma, a carico di questi ermafroditi invertebrati, che siamo noi.

D’altronde come non condividere ed apprezzare chi, investito di un potere incontrollabile e irresponsabile, voglia associare alle patrie galere quei delinquenti seriali che, per obbligo di legge, devono ricevere e formare atti cui si attribuisce la pubblica fede? Con il risultato che essere e fare il notaio costituisce, innanzi tutto, una presunzione delittuosa, con l’aggravante di abuso della funzione pubblica, restando a carico dell’incolpato l’onere della cd. prova negativa (per lo più ritenuta inammisibile), oltre che impossibile.

Per chi ama i brocardi:

Adfirmanti incumbit probatio
sed nobis faciet orifitio.

Ricorrendo ad una immaginifica narrazione, potremmo dire che siamo chiamati al gioco (si fa per dire) di GUARDIE E LADRI nel quale ricopriamo il ruolo delle guardie, ma siamo trattati come se fossimo dalla parte dei ladri.

Un giogo insopportabile, con risvolti non propriamente comici, ma probabilmente ridicoli; per chi volesse un’altra evocazione cinematografica: RISO AMARO.

Visto che, in questi mediocri vaneggiamenti – che lo so che non vedete l’ora che giungano a termine – ci siamo misurati con i testi di Carosello, di popolari canzoni del repertorio della musica italiana e abbiamo evocato opere cinematografiche che hanno segnato la nostra storia, avrei piacere di concludere, meno nobilmente, con qualche evocazione logico-filosofico-retorico-religioso, discipline nelle quali, son certo, siete più versati (con obbligo di versamento sul conto dedicato, con autosegnalazione, se no ci fanno le multe e ci scazzano pure in galera).

Ed ecco che, a mano a mano, scherzo di mano, scherzo di villano, immaginare la professione notarile come un lavoro tranquillo, autonomo, una posizione socialmente rispettata e, perché no, soddisfacente dal punto di vista economico, è divenuta UTOPIA.

Ma v’è di più, nell’uso, non stigmatizzato, di affermare tutto ed il contrario di tutto, tipo quello di attribuire responsabilità (di ogni genere) al notaio nell’esercizio della funzione per effetto di un comportamento insieme “omissivo” e “commissivo” e nell’inerzia mortificante di chi deve curare la tutela degli interessi della categoria si intravvede, un’evidente DISTOPIA, che, come sapete, è la previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali altamente negativi (ve l’avevo detto io).

Paradosso o antinomia?

Un procedimento logico in cui la premessa e la conclusione sono in contraddizione, e che dunque in apparenza sembra (a qualcuno) corretto, coerente e valido, ma che contiene in ogni caso forti elementi contraddittori.

Premessa

Esiste un’istituzione preposta e obbligata, per riserva di legge, a promuovere la repressione dei reati e l’applicazione delle misure di sicurezza.

Esiste un’istituzione preposta e obbligata, per riserva di legge, a ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà e attribuire loro pubblica fede.

Nell’esercizio di ciascuna delle funzioni attribuite a ciascuna delle istituzioni sono previsti obblighi e responsabilità: entrambe sono obbligate a prestare il loro ministero pubblico (o pubblico ministero, se volete).

La prima delle istituzioni, preposta e obbligata a  promuovere la repressione dei reati, si avvale della collaborazione della Polizia giudiziaria, la quale agisce in subordinazione operativa nei riguardi dell’organo suddetto, che ne assume in corso di investigazioni la direzione; nello specifico, tramite l’utilizzo di ufficiali e agenti di Polizia giudiziaria appartenenti ad altre amministrazioni (comunali, regionali e statali) cui la legge obbliga al compimento di indagini (Polizia locale, Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, Polizia Metropolitana, ecc.) e accede a tutte le informazioni che possano essere necessarie o utili all’espletamento dei compiti a essa attribuiti;

– si intende di leggieri che, per esempio, un pregiudicato per plurimi reati dovrebbe essere “attenzionato” per l’eventuale esercizio di misure di prevenzione.

La seconda delle istituzioni, preposta e obbligata a ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà e attribuire loro pubblica fede, si avvale della collaborazione della sua organizzazione di studio (uno o più impiegati), la quale agisce in subordinazione operativa, a cura e spese del titolare della funzione; non può accedere a informazioni estranee ai pubblici registri;

– si intende di leggieri che, per esempio, non può sapere (ma anche se lo sa, nulla cambia) se una parte contrattuale sia un pregiudicato per plurimi reati al quale non sia stata comminata una misura di prevenzione.

Conclusione

Non è neanche ipotizzabile che chi doveva promuovere la repressione del reato e l’applicazione delle misure di prevenzione e non l’ha fatto, malgrado le ingenti forze e le informazioni di cui s’avvale, sia responsabile e magari chiamato in correità con il malfattore.

Si presume, invece, chi ha ricevuto l’atto, chiamato ad una collaborazione di verifica della eventuale esistenza di indici di anomalia che gli sono sfuggiti, senza potersi avvalere di altre “forze” se non di sé stesso, debba essere accusato di complicità in un eventuale reato commesso a mezzo dell’atto ricevuto.

Un procedimento logico in cui la premessa e la conclusione sono in contraddizione, e che dunque in apparenza sembra (a qualcuno) corretto, coerente e valido, ma che contiene in ogni caso forti elementi contraddittori.

Come dite voi a Plan de Corones “paradosso”?

Noi diciamo “paradosso”!

Ma si può dire anche “antinomìa”, come dite voi in Valdaora “antinomìa”?

Noi diciamo “antinomìa”,
che tutte le gioie porta via
e va in culo a mia,
come diciamo noi alla Vucciria
.

Dopo quest’ultimo tocco di classe, mi avvio alla conclusione, questa volta veramente, tentando una ardita, ma coerente, esegesi storica.

In epoche buie, quasi quanto la nostra, era molto sentita la tutela delle professioni religiose (al limite del fanatismo). Per la verità anche adesso, ma questa è un’altra storia di guerre e di disastri ben più gravi.

Allo scopo di preservare la fede, furono istituite le inquisizioni, con lo scopo di reprimere le eresie e, successivamente, per perfezionarne il funzionamento, fu introdotto anche l’’uso della tortura. Le sentenze erano piuttosto di tipo pecuniario, con una sanzione monetaria a carico del condannato.

Il Tribunale di Inquisizione diventerà più aggressivo e, in questo scenario di terrore, i condannati dell’’Inquisizione di Torino venivano macabramente giustiziati nell’’attuale Piazza Castello.

Sono certo che il vostro pensiero corre all’unica incontrastata ed incontrastabile fede giuridica dei nostri giorni, la legge sulla lotta al riciclaggio, che è sacrosanta, manco a dirlo, sa va sans dire, ma che assume modalità nella sua applicazione, assolutamente inquisitorie, inique, vicino alla tortura e che possono portare alla condanna di innocenti che non hanno commesso il reato, ma possono essere chiamati in correità.

Ora, non si può escludere che gli attuali Inquisitori, in applicazione del principio della responsabilità oggettiva, possano coinvolgere nella inquisizione anche i vertici del notariato – quale organo di autocontrollo – i quali, del tutto estranei, anche loro come gli inquisiti notai, si trovino a dover rispondere dei più svariati reati.

Facciamo dunque voto che si faccia qualcosa in difesa degli innocenti e mi rivolgo accoratamente a loro: se non volete farlo per noi, fatelo almeno per voi.

A evitare l’esecrabile, ma non improbabile, ipotesi che il Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, venga giustiziato a Torino nell’attuale Piazza Castello e il Presidente della Cassa esposto al rogo in piazza Plebiscito, a Napoli naturalmente.

Per addolcire il sapore della beffa, portatemi le arance.

L’articolo Essere notaio: dal privilegio allo svantaggio sembra essere il primo su Federnotizie.