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IL CONTRATTO DI AGENZIA: 

NATURA, REQUISITI E RISOLUZIONE

 

Introduzione.

Il contratto di agenzia è uno strumento giuridico di grande rilevanza nella pratica commerciale. Attraverso di esso, un’impresa può affidare a un soggetto esterno – l’agente – il compito di promuovere i propri prodotti o servizi in un determinato ambito territoriale o settoriale

L’agente, pur rimanendo un lavoratore autonomo e quindi estraneo all’organizzazione aziendale in senso stretto, diventa un punto di riferimento stabile per la clientela e contribuisce in modo significativo alla crescita degli affari del preponente.

La disciplina del contratto di agenzia, contenuta negli artt. 1742 e seguenti del Codice civile, è stata pensata proprio per regolare questa particolare forma di collaborazione, bilanciando gli interessi delle due parti contrattuali: da un lato, quello dell’impresa, che desidera ampliare il proprio raggio d’azione senza moltiplicare le strutture interne; dall’altro, quello dell’agente, che mette a disposizione il proprio lavoro e la propria rete di contatti e deve quindi ricevere adeguate tutele.

Tuttavia, è necessario segnalare fin da subito che, accanto alla figura tipica dell’agente, la prassi conosce una serie di contratti “ibridi”, atipici, spesso denominati “di consulenza”, che non di rado simulano in realtà vere e proprie attività di agenzia. Ed è proprio qui che diventa cruciale il ruolo dell’operatore del diritto (notaio, giudice, o avvocato, che sia), che è chiamato ad indagare il rapporto a cui le parti hanno concretamente dato vita, al fine di sussumerlo nello schema giuridico a cui più si avvicina ed individuare la disciplina da applicare.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’analisi non si può fermare al nomen iuris che le parti attribuiscono al contratto, ma è indispensabile indagare il contenuto concreto del rapporto. Se da tale analisi emergono gli elementi propri dell’agenzia, il contratto viene riqualificato come tale, con conseguenze economiche e giuridiche significative, soprattutto a carico del preponente.

 

La natura del contratto di agenzia.

Per comprendere appieno il fenomeno, occorre partire dalla nozione legale di contratto di agenzia. 

L’art. 1742 del Codice civile dispone che “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”.

Si tratta di una definizione che, pur nella sua concisione, racchiude i tratti identificativi dell’istituto, che valgono a tracciare la linea di demarcazione tre le figure dell’agente, del procacciatore d’affari, del mero consulente. 

Innanzitutto, la stabilità: l’agente non opera in modo occasionale, ma instaura un rapporto duraturo, anche se non necessariamente a tempo indeterminato. Questo elemento lo distingue dal procacciatore d’affari, la cui attività è episodica. 

Altro tratto caratterizzante è la promozione di contratti: l’agente non si limita a fornire consigli o a curare l’immagine del preponente, ma orienta in modo diretto la clientela verso la conclusione di contratti con quest’ultimo.

Va sottolineato inoltre che l’agente, come già accennato, agisce con autonomia. Egli non è un dipendente del preponente e non è soggetto a vincoli di subordinazione. Può organizzare liberamente la propria attività, pur dovendo rispettare le istruzioni generali ricevute. Questa autonomia spiega perché il contratto di agenzia sia collocato tra i contratti di collaborazione autonoma e non tra i rapporti di lavoro subordinato.

Infine, il profilo retributivo: l’attività dell’agente è remunerata e la forma tipica di compenso è la provvigione, che lega in modo diretto il guadagno dell’agente ai risultati della sua attività: in altre parole, la provvigione non è dovuta per il semplice svolgimento di attività preordinate a creare la possibilità di nuovi affari per l’impresa del committente (come nel caso dei procacciatori di affari e dei consulenti), ma solo come conseguenza dei nuovi affari effettivamente conclusi dall’imprenditore.

 

Gli elementi essenziali del contratto.

Dalla definizione appena analizzata emergono gli elementi essenziali di un contratto di agenzia. 

In primo luogo, la durata: l’incarico deve avere un minimo di stabilità e non può ridursi a un singolo affare. 

In secondo luogo, l’obbligo di promozione di contratti, ossia quell’attività diretta a mettere in relazione il preponente con potenziali clienti, senza che l’agente abbia necessariamente il potere di concludere in nome e per conto del preponente (che è facoltà propria del contratto di mandato con rappresentanza).

Un altro elemento indefettibile del contratto in esame è l’esatta determinazione di una zona. Questo elemento non deve essere inteso in senso meramente geografico: la “zona” può essere anche un settore di mercato, un gruppo di clienti o una specifica categoria merceologica. Ciò che conta è che all’agente venga assegnato un ambito esclusivo di operatività, che lo identifichi come referente principale per quel segmento.

Infine, la retribuzione: l’agente deve essere remunerato (l’agenzia è quindi un contratto essenzialmente oneroso). Nella prassi, la provvigione è la regola, ma non è escluso che il compenso possa assumere altre forme, purché vi sia una corrispettività tra l’attività svolta e il vantaggio economico del preponente.

Il contratto di agenzia, infine, deve essere provato per iscritto e ciascuna parte ha il diritto – irrinunciabile – di ottenere dall’altra un documento dalla stessa sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive (art. 1742, comma 2 del Codice civile). Questa previsione garantisce certezza nei rapporti e tutela entrambi i contraenti.

 

Diritti e obblighi delle parti.

Il legislatore, consapevole della rilevanza economica e della delicatezza di questi rapporti, ha predisposto un sistema dettagliato di obblighi reciproci tra le parti. 

L’agente è tenuto a svolgere la propria attività con diligenza e lealtà, seguendo le istruzioni del preponente e informandolo costantemente sull’andamento del mercato e sulle condizioni di concorrenza. Non è un mero intermediario passivo, ma un soggetto che partecipa attivamente alla strategia commerciale del preponente.

Dal canto suo, il preponente deve cooperare con l’agente fornendogli la documentazione necessaria, comunicando tempestivamente l’esito delle trattative e, soprattutto, corrispondendo le provvigioni spettanti: non si tratta solo di un obbligo economico, ma anche di un riconoscimento dell’apporto dell’agente all’ampliamento della clientela.

 

La risoluzione del contratto.

Il contratto di agenzia può cessare per diverse ragioni. 

Se stipulato a tempo determinato, si estingue con la scadenza del termine, salvo proroghe. Nei contratti a tempo indeterminato, invece, ciascuna parte può recedere, ma deve rispettare un termine di preavviso che varia in base alla durata del rapporto, come stabilito dall’art. 1750 del Codice civile.

Vi è poi l’ipotesi di risoluzione per giusta causa: quando una delle parti tiene un comportamento talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto, l’altra può recedere senza preavviso.

Alla cessazione del contratto, l’agente ha diritto a un’indennità di fine rapporto, prevista dall’art. 1751 del Codice civile. Si tratta di un istituto di grande importanza, volto a compensare l’apporto dell’agente nell’incremento della clientela del preponente. In altre parole, se l’agente ha contribuito a consolidare una rete di clienti che continueranno a generare utili anche dopo la cessazione del rapporto, è giusto che riceva un riconoscimento economico.

 

Il rischio di riqualificazione dei contratti di consulenza.

Poste queste premesse di ordine generale, è adesso possibile affrontare il tema centrale del presente approfondimento, cioè, il confine sottile tra il contratto di consulenza commerciale e il contratto di agenzia.

Molte imprese, nel timore di assumere gli oneri derivanti dall’agenzia, stipulano accordi che vengono formalmente qualificati come attività di consulenza. Si tratta spesso di contratti in cui il “consulente” viene incaricato di supportare l’impresa nello sviluppo del mercato, nell’elaborazione di strategie commerciali, nell’analisi della concorrenza.

In teoria, il confine tra le due figure è assolutamente chiaro: a differenza di quanto osservato in relazione alla figura dell’agente, il consulente, in quanto tale, fornisce un servizio di natura intellettuale, limitandosi a offrire pareri, analisi e suggerimenti. 

Tuttavia, nella pratica, non è raro che il consulente venga coinvolto direttamente nei rapporti con la clientela, promuova i prodotti dell’impresa, si adoperi per la conclusione dei contratti e venga remunerato in base al volume d’affari generato. 

In questi casi, il rischio di riqualificazione del contratto (tra contratto atipico di consulenza, in contratto tipico di agenzia) è altissimo.

La giurisprudenza italiana, come già accennato in sede introduttiva, è costante nel ritenere che ciò che rileva non è il nome attribuito al contratto, ma la realtà del rapporto. Se un soggetto opera stabilmente, in una zona determinata, con il compito di promuovere contratti e riceve una retribuzione proporzionata agli affari conclusi (se, in altre parole, sono individuabili i tratti identificativi del contratto di agenzia, come sopra delineati), si è di fronte a un contratto di agenzia, anche se le parti hanno voluto chiamarlo diversamente.

 

Le conseguenze della riqualificazione.

La riqualificazione comporta conseguenze rilevanti. In primo luogo, il preponente è tenuto ad applicare tutta la disciplina imperativa del contratto di agenzia: ciò significa corrispondere le provvigioni maturate, rispettare i termini di preavviso in caso di recesso e, soprattutto, versare l’indennità di fine rapporto.

Dal punto di vista dell’agente-consulente, questa riqualificazione è ovviamente vantaggiosa, poiché gli assicura una tutela più ampia. Per il preponente, invece, può rappresentare un aggravio notevole e inatteso, soprattutto se il rapporto è durato a lungo e ha generato una clientela stabile.

 

Come prevenire i rischi.

Per evitare che un contratto di consulenza venga riqualificato come agenzia, occorre prestare dunque la massima attenzione sia alla fase di redazione, sia alla fase di esecuzione. Dal punto di vista formale, è importante delimitare chiaramente l’oggetto del contratto, specificando che il consulente fornisce esclusivamente attività di analisi, pianificazione e supporto strategico, senza assumere compiti di promozione diretta dei contratti. È opportuno inoltre prevedere un compenso fisso o legato a obiettivi diversi dal volume di vendite, evitando la provvigione.

Dal punto di vista operativo, occorre vigilare affinché il consulente non assuma in concreto ruoli tipici dell’agente. Se egli partecipa regolarmente a incontri con i clienti, promuove i prodotti e percepisce compensi proporzionati agli affari conclusi, il rischio di riqualificazione diventa concreto e difficilmente evitabile.

 

Conclusione.

Il contratto di agenzia è uno strumento fondamentale per l’espansione commerciale delle imprese, ma è anche un contratto rigidamente regolato dal legislatore, che ha voluto garantire un equilibrio tra le parti. Il ricorso a contratti formalmente diversi, come quelli di consulenza, non offre una via di fuga sicura rispetto all’applicazione della normativa codicistica: se nella realtà il rapporto presenta le caratteristiche dell’agenzia, sarà trattato, giuridicamente, come tale.

Per questo motivo, imprese e professionisti devono muoversi con cautela, distinguendo nettamente tra consulenza e promozione contrattuale. A tal fine, è più che opportuno rivolgersi a un Notaio, il quale – grazie alla propria competenza giuridica e alla capacità di individuare le conseguenze pratiche delle diverse scelte contrattuali – può fornire l’assistenza necessaria per predisporre un testo chiaro, equilibrato e conforme alla normativa, riducendo al minimo il rischio di future contestazioni o di una riqualificazione indesiderata.