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Solitamente, all’apertura della successione, si forma tra gli eredi de defunto una comunione ereditaria avente ad oggetto tutti i beni che fanno parte del relictum, che viene poi sciolta, con apposito atto inter vivos di divisione ereditaria, dagli eredi medesimi, i quali decidono liberamente quando addivenire alla divisione e con quali beni ereditari comporre la porzione di ciascuno (ferma la necessaria corrispondenza tra il valore della quota in cui ciascuno è stato istituito erede ed il valore dell’assegnazione).

Tuttavia, è possibile che il testatore abbia interesse ad intervenire nella divisione ereditaria, determinando quali beni ereditari debbano essere acquistati dai singoli eredi: a tal fine, l’ordinamento mette a disposizione del testatore, principalmente, tre strumenti differenti, cioè le norme date dal testatore per la divisione ex art. 733 del Codice civile, la divisione dell’esecutore testamentario ex art 706 del Codice civile e la vera e propria divisione del testatore ex art. 734 del Codice civile.

Le norme date dal testatore per la divisione, altresì definite come assegno divisionale semplice, sono disposizioni testamentarie con efficacia meramente obbligatoria: invero, all’apertura della successione, si forma la comunione ereditaria tra gli eredi, i quali, tuttavia, in sede di divisione saranno obbligati a disporre assegnazioni coerenti con le volontà espresse dal testatore a riguardo.

Si precisa, tra l’altro, che secondo l’opinione prevalente, tali disposizioni hanno natura giuridica di oneri, in quanto rispondono ad un interesse del testatore, quindi, sarebbero non rinunciabili dagli eredi e potrebbe agire in giudizio per chiederne l’adempimento chiunque vi abbia interesse.

Sotto il profilo del contenuto, invece, le disposizioni ex art. 733 del Codice civile possono rientrare in tre ipotesi: norme obbligatorie per la divisione (ex comma 1, il testatore può esprimere la volontà che in sede di divisione all’erede Tizio sia assegnata la casa a Roma e all’erede Caio la casa a Milano); mandato ad un terzo di stimare i beni ereditari (ex comma 2, prima parte, il testatore può prevedere che i beni ereditari siano stimati ad opera di un terzo e che gli eredi siano poi liberi di dividerli tra loro, sulla base dei valori stabiliti dal terzo); incarico di redigere un progetto di divisione che, se previa stima di un terzo, può essere attribuito anche ad un erede o legatario (ex comma 2, seconda parte, il testatore, dopo avere incaricato un soggetto terzo di stimare i beni ereditari, può incaricare quello stesso soggetto, o un altro terzo, o un erede, o un legatario, di formare le porzioni di beni da assegnare a tutti gli eredi, sulla base della stima effettuata).

La divisione dell’esecutore testamentario, invece, costituisce un esempio di mandato post mortem in senso stretto, il testatore, cioè, attraverso un’apposita disposizione testamentaria, nomina un soggetto esecutore testamentario, affidandogli l’incarico di compiere, dopo la sua morte, una specifica attività giuridica, consistente nella divisione ereditaria.

All’apertura della successione, quindi, sui beni ereditari si forma la comunione tra gli eredi, la quale, tuttavia, viene sciolta con apposito negozio giuridico unilaterale inter vivos di divisione compiuto dall’esecutore, il quale, autonomamente, fissa il valore dei beni ereditari e li assegna, con efficacia reale, ai singoli eredi.

Ad ogni modo, l’unico strumento con cui la divisione è davvero realizzata dal defunto è la divisione fatta dal testatore ex art. 734 del Codice civile, alla quale dunque sarà dedicata la restante parte del presente contributo.

Gli effetti, le ipotesi e la disciplina della divisione del testatore.

La divisione fatta dal testatore, anche detta assegno divisionale qualificato (per distinguerla dalle disposizioni testamentarie ex art. 733 del Codice civile di cui sopra) è lo strumento con cui il testatore assegna, con efficacia reale immediata ai propri eredi i singoli beni ereditari, così prevenendo in radice la formazione della comunione ereditaria sui beni medesimi all’apertura della successione.

Pertanto, a ben vedere, non si tratta di una divisione in senso tecnico, in quanto le disposizioni in questione impediscono il formarsi della comunione da sciogliere.

La dottrina individua, poi, due macro-ipotesi di assegno divisionale qualificato, sebbene ciò non emerga espressamente dal tenore letterale della norma, cioè la divisione con predeterminazione di quote e la divisione senza predeterminazione di quote: nel primo caso, il testatore istituisce tutti gli eredi in una quota astratta e poi, a composizione delle rispettive quote, assegna a ciascuno dei beni ereditari; nella seconda ipotesi, invece, gli eredi vengono istituiti in una quota astratta da determinarsi all’apertura della successione sulla base del valore dell’assegnazione ricevuta rispetto al valore di tutte le assegnazioni fatte o dell’intero patrimonio ereditario alla morte del testatore, in base alla sua volontà.

Tale differenza, come sarà sottolineato infra, non ha rilevanza meramente teorica, ma determina importanti conseguenze sul piano della disciplina applicabile.

Ad ogni modo, a prescindere che il testatore abbia o meno predeterminato la quota astratta in cui istituire il singolo erede, secondo autorevole e probabilmente prevalente dottrina, la divisione del testatore si fonda sempre su due momenti logici distinti, il primo istitutivo (“Istituisco Tizio e Caio miei eredi universali nelle quote di un mezzo ciascuno del mio patrimonio/nelle quote derivanti dal valore delle seguenti assegnazioni”), il secondo attributivo (“…a tal fine, a titolo di divisione ex art 734 del Codice civile, assegno: – a Tizio la mia casa in Roma; – a Caio la mia casa in Milano”), aventi una propria autonomia, con la conseguenza, ad esempio, che è possibile apporre oneri, condizioni, ma anche termini alle sole assegnazioni, pur senza violare il divieto di cui all’art. 637 del Codice civile, e che l’invalidità per qualsiasi causa dell’assegnazione non comporta l’invalidità anche dell’istituzione ereditaria.

Tale distinzione tra momenti logici, tra l’altro, riveste una particolare importanza dogmatica, in quanto consente di distinguere, almeno sul piano teorico, la divisione del testatore senza predeterminazione di quote dalla institutio ex re certa, ex art. 588 comma 2 del Codice civile, la quale, invece, si compone di un unico momento istitutivo-attributivo (“a titolo di eredità, attribuisco a Tizio la mia casa in Roma”).

Sotto il profilo dell’oggetto, l’art. 734 del Codice civile è chiaro nel sottolineare che oggetto dell’assegnazione possono essere solo beni del testatore (“il testatore può dividere i suoi beni…”), il che si spiega in quanto, in caso contrario, l’assegnazione non potrebbe produrre l’effetto reale che necessariamente la caratterizza: di conseguenza, nel caso in cui, ad esempio, il testatore, dopo la testamenti factio e prima dell’apertura della successione, abbia alienato la proprietà del bene assegnato, l’assegnazione non potrà produrre effetti reali differiti, o effetti obbligatori, ma sarà radicalmente nulla, con le conseguenze che saranno indagate nel prossimo paragrafo.

Si precisa, tuttavia, che la divisione fatta dal testatore non per forza deve comprendere tutti i beni ereditari, pertanto, è necessario interrogarsi sulla sorte dei beni non assegnati: sul punto, il secondo comma dell’art. 734 del Codice civile dispone che “se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore”.

Nel silenzio del testamento, dunque, il Codice è chiaro nel disporre che si apre con riguardo ai beni non assegnati la successione legittima, di cui, secondo l’opinione prevalente, beneficiano anche gli eredi istituiti ed apporzionati ex art 734 del Codice civile.

Tuttavia, emerge altrettanto chiaramente dal tenore letterale della norma che il testatore ben può disporre diversamente: in altre parole, il testatore può prevedere che operi la vis expansiva delle assegnazioni, con la conseguenza che i beni residui saranno devoluti in favore degli eredi testamentari nelle medesime quote in cui sono stati istituiti e parzialmente apporzionati.

La patologia della divisione: rescindibilità e nullità

La trattazione dell’istituto della divisione fatta dal testatore non può, ad ogni modo, essere completa senza l’analisi di due norme dettate al fine di disciplinare le possibili patologie della divisione in questione, che, in termini generalissimi, è rescindibile ai sensi dell’art. 763 del Codice civile in caso di sproporzione tra il valore della quota astratta ed il valore dell’assegnazione ed è invece nulla ai sensi dell’art. 735 del Codice civile nel caso in cui in tale divisione non sia stato compreso uno degli eredi istituiti o un legittimario.

Ai sensi dell’art. 763 del Codice civile, “la divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto.

La rescissione è ammessa anche nel caso di divisione fatta dal testatore, quando il valore dei beni assegnati ad alcuno dei coeredi è inferiore di oltre un quarto all’entità della quota ad esso spettante.

L’azione si prescrive in due anni dalla divisione”.

Qualora la sproporzione sia inferiore ad un quarto, invece, la divisione è perfettamente valida ed efficace, tranne quanto infra precisato con riferimento alla sproporzione, seppur minima, che comporta una lesione della legittima di un legittimario.

Si precisa, poi, che tale norma può trovare applicazione alla sola divisione con predeterminazione di quote, in quanto, quando la quota astratta in cui l’erede è istituito deve essere determinata sulla base del valore dell’assegnazione disposta in suo favore è intrinsecamente impossibile che vi sia una sproporzione di valori tra quota ed assegnazione.

Più ostica può, invece, risultare l’interpretazione dell’art. 735 del Codice civile, ai sensi del quale “la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla.

Il coerede che è stato leso nella quota di riserva può esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi”.

In via preliminare, si osserva che la ratio della norma in esame è da ricercare nel principio generale per cui la divisione deve necessariamente comprendere tutti i condividenti, con la conseguenza che, quando così non è, non sembrerebbe una sanzione sufficiente la mera inefficacia della divisione.

Ciò posto, si osserva che la norma in commento è stata oggetto di due opposte interpretazioni, una formale (o letterale) ed una sostanziale.

Secondo i sostenitori della prima impostazione, la divisione sarebbe nulla tutte le volte in cui uno degli eredi istituiti non è stato apporzionato, oppure è stato pretermesso un legittimario, non rilevando qualsiasi ulteriore elemento; viceversa, secondo l’interpretazione sostanziale della norma, accolta da Cassazione costante, la divisione è nulla solo se non residuano nell’asse ereditario beni sufficienti ad apporzionare l’erede istituito o a far conseguire al legittimario il valore della quota di riserva che gli spetta, non rilevando l’assenza di un’assegnazione effettuata dal testatore ex art. 734 del Codice civile.

Da ultimo, si osserva che la norma in commento delinea tre diverse ipotesi:

Legittimario non istituito (art 735, comma 1, prima parte): in questo caso, in primo luogo, il legittimario deve in primo luogo agire in riduzione al fine di essere dichiarato erede; in secondo luogo, viene valutata la presenza o meno nell’asse ereditario di beni sufficienti per soddisfare la sua quota di riserva e, solo in caso non ve ne siano, il legittimario potrà agire per far valere la nullità della divisione, che rimane valida nel caso opposto;

Soggetto (legittimario o no) istituito e non apporzionato (art. 735, comma 1, seconda parte): in questo caso, l’erede non apporzionato potrà agire direttamente per fare valere la nullità della divisione, sempre nel presupposto che nell’asse ereditario non vi siano beni sufficienti a comporre la quota in cui il testatore lo ha istituito;

Legittimario istituito ed apporzionato con attribuzione di valore inferiore alla quota di riserva (art. 735, comma 2 del Codice civile): a differenza delle due ipotesi appena analizzate, in questo terzo caso la divisione fatta dal testatore è sempre valida, ma il legislatore attribuisce al legittimario leso una forma di tutela in più rispetto all’azione di rescissione di cui sopra. Invero, non solo in caso di sproporzione ultra quartum, il legittimario leso, al pari di ogni altro erede istituito potrà chiedere la rescissione della divisione ex art. 763 del Codice civile, ma in caso di lesione della quota di riserva (qualunque sia il valore di tale lesione, anche minimo) l’art. 735 del Codice civile attribuisce la possibilità al solo erede legittimario di esperire una “speciale azione di riduzione”, volta a conseguire quanto ancora gli spetta a titolo di quota di riserva mediante proporzionale riduzione delle assegnazioni disposte in favore degli altri eredi (sempre nel presupposto che non vi fossero beni residui non assegnati sufficienti), ferma la validità della divisione.