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La riforma del catasto e il Consiglio che verrà

Cosa ci aspettiamo dal Consiglio Nazionale che si sta insediando? Sarà un Consiglio con una vocazione alla comunicazione esterna o proseguirà con la politica dello “stare coperti” che ha contrassegnato questi ultimi anni?

Ne parleremo venerdì 6 maggio alle 8.30, prendendoci un caffè, con Paolo Piccoli, il past president che più ha aperto alla comunicazione, Sara Bono, presidente del Consiglio Notarile di Genova, Maura Manghi, presidente del Consiglio Notarile di Reggio Emilia, e Gabriele Sciumbata, notaio in Roma.

La riforma del catasto e il Consiglio che verrà

In un momento di infinite difficoltà economiche e politiche, sia internazionali sia interne, il Governo ha rischiato di saltare su un tema che pare marginale rispetto ai problemi che oggi renderebbero drammatico l’anticipato ricorso alle urne con la conflittualità politica che ne deriverebbe.

Il tema che ha spaccato la maggioranza, pare incredibile, è stato la riforma del Catasto.

 

Un tema quindi su cui il Notariato avrebbe e ha molto da dire, un tema su cui molte componenti sociali sono intervenute. Confedilizia, addirittura, ha promosso una mobilitazione di piazza.

Il Notariato, invece, ha scelto la via del silenzio, e ciò non costituisce una novità. Ma se da una parte si comprende la giusta attenzione per evitare di schierarsi nella discussione politica, dall’altra si deve evidenziare come il dibattito sia privato di una voce particolarmente competente sul punto.

Da bravi notai, per affrontare il tema, si deve partire dal dato normativo e cioè dall’articolo 6 della bozza di legge delega e in particolare dal secondo comma che costituisce la ragione dello scontro politico.

Il Governo è delegato altresì ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, una integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026, secondo i seguenti criteri direttivi:

attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato;
prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato;
prevedere, per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico, come individuate ai sensi dell’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario che tengano conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché del complesso dei vincoli legislativi alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro;
prevedere che le informazioni rilevate secondo i principi di cui al presente comma non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali”.

Chi, all’interno della maggioranza, vorrebbe lo stralcio della norma ha parlato di “patrimoniale nascosta” o di manovra che “colpisce la memoria storica dell’Italia”. La paura è che, a prescindere da quanto scritto nella lettera d), la riforma nasconda la volontà politica di inasprire le tasse sulla casa.

Il Notariato non ha certamente titolo per sindacare le politiche fiscali dei governi.

Fatto 100 il fabbisogno di bilancio dello Stato, sarà la politica a decidere quanta parte debba provenire dalle imposte sui redditi, quanta da quelle sui consumi, quanta dalle successioni, quanta dalla casa (sotto forma di patrimoniale o di imposte indirette), quanta dalle rendite finanziarie e così via.

Ciascuno di noi, singolarmente, ha le proprie convinzioni politiche, ma il Notariato come istituzione deve stare un passo indietro.

Quello che il Notariato non deve fare è tacere che l’attuale sistema catastale produce iniquità e che sono sotto gli occhi di tutti esempi di immobili che valgono 10 volte la loro rendita catastale e immobili che a stento raggiungono la metà. E che ci sono zone d’Italia fortemente penalizzate dall’attuale sistema e altre che ne giovano (e chi scrive avrebbe un egoistico interesse al mantenimento dello status quo).

Quello che pertanto il Notariato, che dovrebbe avere (come ogni altra istituzione) l’interesse a un sistema impositivo equo, deve fare è sostenere apertamente una riforma che miri ad “attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato” e che preveda “meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato”. Perché rendere i valori catastali e le rendite degli immobili aderenti al mercato è il passo necessario per allinearsi al principio costituzionale della capacità contributiva. Ed è il passo preliminare per una necessaria semplificazione delle imposte che colpiscono gli immobili e i loro trasferimenti.

Sarebbe auspicabile che il Notariato intervenisse (e fosse intervenuto) per denunciare le storture del sistema, per appoggiare una riforma che si propone di eliminarle e per offrire il patrimonio informatico e statistico di cui dispone come strumento perché le buone intenzioni del legislatore producano nel 2026 un risultato in grado di garantire una reale equità. E ciò senza minimamente voler abdicare al sistema della imposizione indiretta sul prezzo – valore destinato così a divenire più equo e suscettibile di ulteriori applicazioni.

Se nel 2026 fosse al governo una forza politica che ritenesse opportuno drenare più risorse dalla casa piuttosto che, per fare un esempio, dai consumi, a essere penalizzati (in assenza della riforma) sarebbero coloro che già oggi contribuiscono in modo eccessivo, mentre se fosse al governo una forza politica che ritenesse di dover lasciare invariato (o diminuire) il gettito generato dal “bene casa”, la riforma avrebbe il semplice effetto di riproporzionare i valori e quindi le contribuzioni, penalizzando solo i soggetti che fino a oggi hanno fruito in un ingiusto beneficio.

Non si tratta, quindi, di scendere nell’agone politico, né tantomeno partecipare al dibattito sulla misura in cui il “bene casa” deve contribuire alle casse dello Stato, ma di fornire un contributo tecnico in una materia in cui il Notariato è centrale.

Sicuramente portando la visione del Notariato a conoscenza del legislatore. Ma probabilmente, per lo meno è doveroso chiederselo, comunicando all’esterno questa visione.

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