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Le prelazioni legali in generale e differenze con la prelazione convenzionale.

La prelazione è il diritto di un soggetto di essere preferito ad altri nella stipulazione di un determinato contratto. Si distinguono due tipi di prelazione, in base al contenuto del diritto in questione: si definisce, infatti, propria la prelazione che presuppone la parità di condizioni tra prelazionario e terzo eventuale contraente e che dunque può operare solo con riguardo a prestazioni fungibili; è detta, invece, impropria la prelazione che opera anche in assenza di parità di condizioni e quindi anche in presenza di prestazioni infungibili, essendo, in questo caso, necessario determinare a quale esatto prezzo il prelazionario potrà esercitare il proprio diritto.

Altra importante distinzione in materia di prelazioni è quella tra prelazione legale e prelazione convenzionale, che, oltre che per la fonte (rispettivamente, legge, o convenzione contrattuale), si distinguono sotto tre profili strutturali. In primo luogo, in caso di conclusione di un negozio in violazione del diritto del prelazionario, la prelazione legale offre una tutela reale, che consiste nel diritto di riscatto del bene in oggetto direttamente dal terzo acquirente, mentre in caso di prelazione convenzionale l’unica tutela offerta dal prelazionario avverso l’obbligato al rispetto della prelazione è il risarcimento danni. In secondo luogo, quanto alle tipologie, le prelazioni legali sono tutte proprie (con l’unica eccezione della prelazione culturale, impropria, di cui infra), mentre le parti sono sempre libere di dar vita ad una prelazione convenzionale propria o impropria. Da ultimo, prelazione legale e convenzionale differiscono sotto il profilo della rinuncia al diritto, che per le prelazioni legali può avvenire solo dopo la denuntiatio (con l’unica eccezione della prelazione ereditaria, di cui infra, in relazione alla quale la giurisprudenza ha ammesso la rinuncia al diritto anche prima della denuntiatio), al contrario di quanto avviene per le prelazioni convenzionali, dove la rinuncia al diritto del prelazionario è sempre svincolata dalla denuntiatio.

Le singole ipotesi di prelazioni legali.

Il nostro ordinamento conosce diverse ipotesi in cui è la legge stessa a prevedere in capo ad un determinato soggetto, in ragione delle sue qualità oggettive o soggettive, il diritto di essere preferito ad altri nella stipulazione di un contratto, il che avviene tutte le volte in cui il legislatore individua un interesse di natura pubblicistica che giustifica (anzi, richiede l’esistenza) di un tale diritto.

La prelazione culturale.

La c.d. prelazione culturale è la prelazione prevista dall’art. 60 d.lgs. n. 42/2004 (che contiene la disciplina speciale relativa ai beni culturali) in favore dello Stato, della Regione o di altro ente pubblico territoriale interessato in caso di “alienazione a titolo oneroso o conferimento in società” di un bene culturale, cioè uno dei beni di cui all’art. 10 d.lgs. cit.

Il dettato letterale della norma è chiaro nel precisare che la prelazione in oggetto ha natura impropria, rimanendo di fatto esclusi dal suo ambito di applicazione, tra tutti i negozi traslativi di diritto di proprietà o altro diritto reale minore, soltanto quelli effettuati a titolo gratuito.
La principale peculiarità di questa prelazione, tuttavia, attiene al meccanismo di operatività, come risultante dalla lettura combinata degli artt. 59 e 61, dalla quale emerge che la prelazione culturale è l’unica ipotesi di prelazione che opera non prima della conclusione del negozio di trasferimento, bensì dopo il trasferimento stesso, costituendo una condizione sospensiva legale di efficacia dell’atto (mancato esercizio della prelazione), in pendenza della quale vige, tra l’altro, in capo all’alienante il divieto di consegna del bene all’acquirente: prevede infatti l’art. 61 che la prelazione deve essere esercitata entro sessanta giorni dalla ricezione della denuntiatio, la quale, ai sensi dell’art. 59 deve essere effettuata nei trenta giorni successivi alla conclusione del negozio di trasferimento.

Si precisa, tra l’altro, che l’obbligo di denuncia sorge in capo ai soggetti individuati dal citato art. 59 non solo nelle ipotesi negoziali che comportano l’operatività della prelazione, ma ogni qual volta sia concluso un negozio che determina il mutamento dell’intestatario catastale del bene (ad esempio, trasferimenti a titolo gratuito ed operazioni societarie straordinarie).

La prelazione urbana.

Con la dicitura di “prelazione urbana” sono indicate, in realtà, due distinte ipotesi di prelazione, accomunate dalla circostanza di avere entrambe ad oggetto dei fabbricati (ma adibiti a destinazioni diverse), entrambe prelazioni proprie, dunque, operanti solo a parità di condizioni.

Si distinguono, infatti, la prelazione urbana commerciale, prevista dall’art. 38 l. n. 392/1978 (c.d. legge sull’equo canone) e la prelazione urbana abitativa, prevista dall’art. 3 l. n. 431/1998.
La prima è volta a tutelare l’avviamento commerciale dell’impresa che viene esercitata all’interno dell’immobile in oggetto (per questo, la prelazione opera solamente in relazione ad attività in cui serve tutelare il contatto con il pubblico) ed opera in favore del conduttore di immobile commerciale, ove il locatore intenda alienarlo.

La prelazione urbana commerciale, tuttavia, non opera in caso di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado del locatore, nonché nel caso di vendita in blocco, mentre si applica alla vendita cumulativa.

La prelazione urbana abitativa, invece, è volta a tutelare il diritto all’abitazione, pertanto, opera solo nel caso in cui il trasferimento comporterebbe disdetta del locatore dal contratto di locazione, mentre non opera, in quanto ne difetterebbe la ratio, nel caso di trasferimento dell’immobile, gravato dalla locazione: pertanto, il presupposto della prelazione urbana abitativa è che il locatore abbia negato al conduttore il rinnovo del contratto di locazione, al fine di vendere il bene libero.

Per converso, la prelazione non opera nel caso in cui il locatario sia titolare di altri immobili ad uso abitativo oltre al proprio, ovvero nel caso di vendita in blocco, o in caso di trasferimento in favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado del locatore.

Si precisa da ultimo che la prelazione urbana, sia commerciale che abitativa, soccombe sempre di fronte alla prelazione ereditaria: invero, sussistendo in astratto i presupposti di operatività di entrambe le prelazioni, prevale, e dunque opera soltanto, la prelazione in favore dei coeredi ex art. 732 c.c.

La prelazione agraria.

La c.d. prelazione agraria è prevista dall’art. 8 l. n. 590/1965 e mira a realizzare la tutela dell’agricoltura e della coltivazione.

Il diritto di essere preferito nella vendita di un fondo agricolo, ai sensi della norma citata, è riconosciuto in favore del coltivatore diretto (per tale intendendosi colui che coltivi il fondo da almeno due anni e non abbia venduto nel biennio precedente altri fondi), alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale (come definito ex art. 2 comma 3 D.Lgs. 99/2004).

Si precisa che per il riconoscimento del diritto di prelazione agraria ciò che rileva, oltre alle condizioni oggettive del bene, sono le condizioni soggettive di colui il quale rivendica il diritto, ovvero essere abitualmente occupato nella conduzione di fondi; non aver venduto fondi rustici di proprietà nei due anni precedenti la vendita in oggetto; e che il fondo su cui si vuole esercitare il riscatto, unitamente a quanto già di proprietà, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del nucleo familiare. Pertanto, il coltivatore di fondo rustico che, allegando la violazione del suo diritto di prelazione, ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 590/1965, intenda esercitare il retratto agrario, deve provare il possesso di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge, dovendo il giudice verificarne la sussistenza.

In subordine, ex art. 7 l. n. 817/1971, il diritto di prelazione spetta al coltivatore diretto o allo I.A.P. proprietari di terreni confinanti (c.d. prelazione agricola del confinante), con la precisazione che, ex art. 7 comma 1 D.Lgs. 228/2001, nel caso di più confinanti, prevale il più giovane, ma la denuntiatio deve essere effettuata a tutti.

Come tutte le prelazioni legali, diverse da quella culturale, si tratta di una prelazione propria, quindi, non si applica a permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità (quando in base ai piani regolatori i terreni sono destinati ad utilizzazione edilizia aziendale o turistica).

La prelazione ereditaria.

La prelazione ereditaria, prevista ex art. 732 c.c., è il diritto di prelazione legale attribuito ai coeredi, volto a tutelare l’interesse di costoro ad impedire che un terzo estraneo faccia ingresso all’interno del patrimonio ereditario: pertanto, presupposto per l’operatività della prelazione è che si sia una comunione ereditaria e che uno dei coeredi intenda cedere la propria quota ereditaria, o parte di essa, in favore di un terzo (non, invece, se cessionario è un altro dei coeredi, né se la cessione di quota avviene all’esito divisionale, dunque, con un negozio di trasferimento che produrrà effetti solo dopo la divisione ereditaria, dunque, quando la comunione ereditaria sarà già stata sciolta).

Prima questione da affrontare in merito alla prelazione ereditaria è quella della natura propria o impropria della prelazione. La natura impropria della prelazione è, infatti, stata anche autorevolmente sostenuta, in quanto l’art. 732 c.c. fa espresso riferimento, come presupposto della prelazione agli atti di “alienazione”, utilizzando dunque un termine generico, che consentirebbe di estendere l’ambito di applicazione della prelazione anche alle ipotesi di atti traslativi a fronte di corrispettivo non fungibile. È, tuttavia, prevalente la teoria della natura propria della prelazione in esame, in quanto, nonostante il riferimento letterale all’alienazione, il successivo riferimento al “prezzo” fa ritenere che si tratti di una prelazione propria.

Sotto il profilo dei soggetti prelazionari, questione discussa in dottrina ed in giurisprudenza è se il diritto di essere preferito spetti anche in favore del mero chiamato, ovvero, secondo l’impostazione prevalente, soltanto in favore dei “coeredi” cioè di coloro che abbiano già accettato l’eredità.

Muovendo all’analisi del piano oggettivo, la questione maggiormente problematica che si è posta in dottrina ed in giurisprudenza è quella della operatività o meno della prelazione alla vendita di c.d. quotina (cioè quota astratta spettante al coerede sul singolo bene facente parte della più ampia massa ereditaria, che, secondo consolidata giurisprudenza, è del tutto parificabile ad un bene interamente altrui).

Nonostante una prima impostazione, che ha dato risposta affermativa a tale interrogativo, muovendo dal dato letterale dell’art. 732 c.c., che fa riferimento all’ipotesi di alienazione di “parte di quota”, è tuttavia prevalente e preferibile l’opinione opposta, che nega l’operatività della prelazione ereditaria alla vendita di quotina, in quanto: in primo luogo, la quotina non è una parte della quota, ma la quota su un determinato bene; in secondo luogo, la ratio dell’art. 732 c.c. è quella di evitare che l’estraneo entri nella comunione ereditaria e ciò non accade nell’ipotesi di vendita di quotina, stante il suo effetto mai immediatamente traslativo, in quanto bene altrui.

Qualora sussistano tutti i presupposti soggettivi ed oggettivi finora delineati, il coerede, che intende alienare la propria quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione (denuntiatio), indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali possono esercitare il diritto di prelazione entro sessanta giorni dalla ricezione della denuntiatio.

In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare (c.d. retratto successorio) la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa: tale diritto è soggetto al termine di prescrizione di dieci anni, decorrenti dalla data della vendita della quota ereditaria compiuta in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi, e non può comunque essere esercitato oltre il momento in cui viene sciolta la comunione ereditaria.

Conclusivamente, si precisa che la prelazione ereditaria è l’unica ipotesi di prelazione legale in relazione alla quale la giurisprudenza, anche di legittimità, ha ammesso la rinunciabilità del diritto di prelazione anche in astratto, cioè prima della denuntiatio, in quanto il diritto di prelazione matura in capo al coerede in quanto tale e quindi già dal momento dell’accettazione dell’eredità.