Il possesso in generale.
Ai sensi dell’art. 1140 c.c., il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
Il possesso, dunque, è una mera situazione di fatto (non di diritto), che consiste in una c.d. signoria di fatto su un bene, a prescindere dall’esistenza di un diritto, che si fonda sulla presenza di due elementi costitutivi.
Il primo, di natura oggettiva, è il c.d. corpus possidendi, che consiste nella materiale disponibilità del bene, la quale, tuttavia, può anche difettare, senza che venga meno la situazione di possesso, in quanto è altresì ammissibile la figura del c.d. possesso indiretto, cioè il possesso esercitato a mezzo di altra persona.
Il secondo elemento costitutivo, di natura soggettiva, consiste invece nel c.d. animus possidendi, cioè nell’intendimento del possessore di possedere come se ne fosse il proprietario, o il titolare di altro diritto reale minore sullo stesso bene.
In ciò il possesso si differenzia dalla detenzione, in cui il potere di fatto sul bene si accompagna alla consapevolezza dell’altrui diritto: il detentore, dunque, pur riconoscendo l’altrui diritto reale, utilizza il bene in forza di uno specifico titolo (ad esempio, locazione, comodato, etc) e, proprio per questo, la detenzione viene altresì definita come possesso titolato, in opposizione al c.d. possesso non titolato, che coincide con il possesso in senso stretto.
Oggetto del possesso, poi, non sono, come sostenuto da un’opinione minoritaria, dei diritti, ma, secondo l’opinione oggi certamente prevalente, la res, cioè il bene in quanto tale, il che è coerente con la definizione codicistica sopra richiamata, che parla di “potere sulla cosa”: più precisamente, il possesso può riguardare beni materiali (mobili o immobili), universalità di fatto e titoli di credito (intesi come bene mobile, che incorporano un diritto), mentre non può avere ad oggetto beni immateriali, universalità di diritto o diritti di credito.
Ulteriormente, la situazione di possesso, qualora presenti determinate caratteristiche, può costituire presupposto per l’acquisto del diritto, a titolo originario, ai sensi degli artt. 1153 e 1158 e ss. c.c., che saranno infra analizzati.
L’acquisto di beni mobili in base alla regola del possesso vale titolo.
Ai sensi dell’art. 1153 c.c., “colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà”.
Questa è la positivizzazione della c.d. regola del “possesso vale titolo”, che consente di acquistare, a titolo originario, il diritto di proprietà (o, secondo opinione unanime, il diritto di usufrutto, di uso, o di pegno) su beni mobili, libero da diritti altrui sulla cosa (ex art. 1153 comma 2 c.c.), se questi non risultano dal titolo e sussiste la buona fede dell’acquirente.
Nello specifico, il diritto si acquista nel momento in cui ricorrono, cumulativamente, tre diversi presupposti.
In primo luogo, il conseguimento del possesso diretto del bene; in secondo luogo, l’esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà (ad esempio, un negozio di compravendita, di permuta, ma anche un provvedimento amministrativo); in terzo luogo, la buona fede soggettiva dell’acquirente, intesa come ignoranza di ledere l’altrui diritto, la quale deve sussistere nel momento in cui si instaura la situazione di possesso del bene da parte dell’acquirente, a prescindere dalla eventuale successiva scoperta della sussistenza del diritto altrui (mala fides supervinies non nocet).
Sotto il profilo dell’ambito oggettivo di applicazione, la regola in discorso non si applica alle universalità di beni mobili, né ai beni mobili registrati, ex art. 1156 c.c., i quali possono, al contrario, essere acquistati per usucapione, come infra precisato; viceversa, la modalità di acquisto in discorso si applica ai titoli di credito, come espressamente previsto ex art. 1157 c.c.
Da ultimo, si precisa che, come previsto dall’art. 1155 c.c., in caso di conflitto tra più acquirenti dallo stesso dante causa, prevale colui il quale ha acquistato per primo il possesso in buona fede del bene immobile, anche se in forza di un titolo posteriore.
L’usucapione di beni immobili e mobili registrati.
L’usucapione, previsto e disciplinato dagli artt. 1158 e ss. c.c., è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale minore a titolo originario di tutto ciò che può essere oggetto di possesso, che deriva dal possesso continuato, ininterrotto e protratto per il tempo stabilito dalla legge.
La ratio dell’istituto in esame è da rinvenire nell’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, nonché nell’opportunità di favorire il soggetto che si è occupato, per un lungo periodo, di un determinato bene a discapito del proprietario di questo, il quale se ne è, all’opposto, disinteressato, trascurandolo.
L’usucapione, dunque, si realizza qualora ricorrano, cumulativamente, tre elementi essenziali.
Primo tra tutti, è necessaria la situazione di possesso, il quale, per essere “utile” ai fini dell’usucapione, deve essere pacifico (cioè non acquistato in modo violento o clandestino, il quale, all’opposto, non giova ai fini dell’usucapione: l’eventuale possesso violento o clandestino, invero, giova ai fini dell’usucapione solo dal momento in cui la situazione di violenza, o clandestinità cessa, ex art. 1163 c.c.), continuato e non interrotto: cause di interruzione del possesso possono essere, ad esempio, le stesse previste come cause interruttive della prescrizione ex art. 1165 c.c., ovvero cause di interruzione naturale (cioè, perdita fattuale della signoria sul bene).
In secondo luogo, è necessario ai fini dell’usucapione l’inerzia dell’effettivo titolare del diritto.
Da ultimo, necessario ai fini dell’usucapione è il decorso del tempo: nello specifico, decorso del termine di venti anni (per beni immobili, universalità di mobili, beni mobili il cui possesso è stato acquistato in male fede), quindici anni (per fondi rustici con annessi fabbricati siti in Comuni montani), ovvero dieci anni (per beni mobili registrati, beni mobili il cui possesso è stato acquistato in buona fede ma in assenza di un titolo astrattamente idoneo).
L’acquisto per usucapione, tuttavia, può compiersi anche in un lasso temporale inferiore (c.d. usucapione abbreviata) nel caso in cui agli elementi essenziali finora esposti si aggiungano dei presupposti ulteriori, previsti ex art 1159 c.c.: in particolare, si compie l’acquisto per usucapione dei beni immobili in dieci anni, dei fondi rustici e degli annessi fabbricati in Comuni montani in cinque anni e dei beni mobili registrati in tre anni.
Il citato art. 1159 c.c. richiede, ai fini dell’operatività dell’usucapione abbreviata, la presenza la presenza di tre presupposti ulteriori rispetto a quelli già analizzati: il primo, la buona fede soggettiva del possessore, cioè l’ignoranza dell’altrui diritto, al momento dell’acquisto del possesso (come sopra detto, mala fides supervinies non nocet); il secondo, la presenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà o altro diritto (un negozio, cioè, il quale avrebbe validamente trasferito il diritto sulla cosa, qualora fosse stato posto in essere dall’effettivo titolare del diritto); il terzo, la trascrizione, con mera pubblicità notizia, di tale titolo.
Questione discussa in merito all’usucapione è quella dell’operatività o meno della c.d. usucapio libertatis: in altre parole, ci si chiede se, nel silenzio della disciplina codicistica, si applichi o meno all’usucapione il principio posto dal secondo comma dell’art. 1153 c.c., ai sensi del quale l’acquisto a titolo originario fa acquistare il bene libero di altrui diritti su di esso eventualmente sussistenti.
Sul punto, sono state elaborate e sostenute tre diverse teorie.
La prima impostazione nega categoricamente l’operatività dell’usucapio libertatis, in quanto un fenomeno analogo è previsto soltanto per i beni mobili dal citato art. 1153 comma 2 c.c., il quale, essendo una norma speciale, non è suscettibile di interpretazione analogica.
Secondo altri Autori, all’opposto, l’usucapio libertatis opererebbe sempre, piuttosto che in forza di una applicazione estensiva dell’art.
1153 comma 2 c.c., come corollario del principio generale di estinzione dei diritti per incompatibilità, estinguendo qualsiasi diritto sul bene usucapito, che si tratti di diritti reali di godimento), ovvero di diritti reali di garanzia.
Da ultimo, un’autorevole parte della dottrina ha condivisibilmente posto una distinzione tra diritti sul bene effettivamente incompatibili con il diritto usucapito e che, pertanto, si estinguono in conseguenza dell’usucapione (diritti reali di godimento) e diritti sul bene rispetto ai quali non sussiste una situazione di incompatibilità con il diritto usucapito e che, di conseguenza, non vengono intaccati (diritti reali di garanzia).
In conclusione, è necessario affrontare la questione dell’accertamento dell’usucapione, partendo dal presupposto che l’atto di accertamento dell’usucapione (che si tratti di una sentenza, di un accordo di mediazione, ovvero di un negozio di diritto privato) ha sempre efficacia meramente dichiarativa, in quanto, nel momento in cui si verificano tutti i presupposti dell’usucapione, come sopra esposti, gli effetti dell’acquisto si producono ex lege.
Sotto il profilo della pubblicità, la sentenza di accertamento dell’usucapione è certamente trascrivibile ex art. 2651 c.c., mentre l’accordo di mediazione si trascrive ai sensi dell’art. 2643 n. 12-bis c.c.
Più problematica è, invece, la questione della trascrivibilità o meno, e, eventualmente, ai sensi di quale norma, del negozio di accertamento dell’usucapione: sul punto sono state suggerite tre possibili vie. Alcuni hanno proposto una applicazione analogica dell’art.
2643 n. 12-bis c.c., altri invece hanno suggerito la trascrizione ai sensi del successivo n. 13 del medesimo articolo, ma ad entrambe queste soluzioni viene mossa la critica della tipicità delle trascrizioni e dunque della inammissibilità di applicazione analogica delle norme che la regolano; per questo, appare forse preferibile l’opinione di chi ha proposto di pubblicizzare il negozio di accertamento non con una autonoma trascrizione, ma tramite l’annotazione dell’atto a margine della trascrizione dell’ultimo atto di provenienza del bene usucapito, ex art. 2655 c.c.
Ad ogni modo, proprio in forza dell’operatività ex lege dell’acquisto per usucapione, quest’ultimo è opponibile erga omnes anche se non giudizialmente (o convenzionalmente) accertata e dunque il bene è liberamente trasferibile da parte del soggetto che lo ha acquistato per usucapione: in questo caso, tuttavia, un ruolo centrale è svolto dal Notaio rogante, sul quale gravano specifici doveri di accertamento (della sussistenza di tutti i presupposti dell’usucapione, come dichiarati da colui che afferma di essersene giovato) e di informativa: il Notaio è, infatti, tenuto a rendere edotto l’acquirente, come dovrà emergere dall’atto, dei rischi derivanti dall’acquisto di un bene solo asseritamente usucapito, altresì premurandosi di prevedere in atto le conseguenze volute dalle parti per il caso di accertamento negativo dell’usucapione.
