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La rinuncia all’eredità e gli effetti degli articoli 521 e 522 c.c.

Tra gli effetti che si producono all’apertura della successione i più rilevanti sono rappresentati dall’accettazione e dalla rinuncia all’eredità.

Con riguardo all’accettazione, essa può avere luogo espressamente oppure tacitamente, mediante atti che facciano presupporre la volontà del chiamato di subentrare nella posizione giuridica del de cuius.

La rinuncia, invece, è disciplinata dagli articoli 519 ss c.c. e si esercita con una dichiarazione espressa di voler rinunciare all’eredità.

Tra le ragioni che posso indurre il chiamato a rinunciare all’eredità vi possono essere: un patrimonio ereditario carico di debiti o altre ragioni di natura familiare, morale ed economica.

Natura giuridica della rinuncia

Con riguardo alla natura giuridica della rinuncia, la dottrina e la giurisprudenza più consolidate sono giunte a qualificarla come un negozio giuridico mediante il quale il chiamato rinuncia abdicativamente agli effetti della delazione ereditaria.

La rinuncia avviene, successivamente, mediante un atto con cui il chiamato dichiara espressamente di non accettare l’eredità e di non voler subentrare nella posizione giuridica del de cuius.

Pertanto, essa si qualifica come un diritto che si esercita tramite una dichiarazione scritta da effettuarsi dinanzi ad un notaio o presso la cancelleria del tribunale del luogo di apertura della successione.

In diritto la rinuncia consiste in un negozio giuridico unilaterale che ha effetto durante la vita del soggetto che lo compie ed è anche revocabile e non recettizio.

Si può, inoltre, pacificamente affermare che la rinuncia all’eredità consiste in uno strumento di tutela per il delato.

Ad esempio, in presenza di un patrimonio connotato eccessivamente da debiti ereditari, risulta conveniente rinunciare all’eredità e può essere conveniente anche la circostanza in cui il chiamato, a seguito di una donazione fatta in suo favore in vita dal de cuius e di valore maggiore rispetto al relictum, debba porre in essere una collazione.

La rinuncia all’eredità è un negozio giuridico “puro” che non può essere soggetto a termini o a condizioni, si definisce infatti un actus legitimus, in quanto il codice civile sanziona la presenza di elementi accidentali con la nullità di tutto l’atto, come stabilito dall’art 520 c.c.

Rinuncia gratuita e rinuncia onerosa

Il legislatore ha previsto due ipotesi di rinuncia all’eredità: gratuita ed onerosa.

La rinuncia a titolo gratuito può essere effettuata a favore di tutti i chiamati o soltanto di alcuni di essi.

Il primo caso è disciplinato dall’art 519 2° comma e dall’art 478 c.c.

La prima norma prevede che:” La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcune delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente”.

In questo caso, nel dubbio, se l’atto di rinuncia possa considerarsi o meno una liberalità indiretta, occorrerà verificare se il rinunciante ha espresso una volontà in tal senso. Se, tuttavia, oggetto di rinuncia a favore di tutti i chiamati sono diritti successori, si avrà una donazione indiretta in quanto, come afferma l’art 478 c.c., tale rinuncia importa accettazione.

La rinuncia all’eredità a favore solo di alcuni chiamati importa anch’essa accettazione dell’eredità e configurerà un vero e proprio negozio di donazione.

Per quanto concerne, invece, la rinuncia a titolo oneroso, il riferimento normativo è sempre l’art 478 c.c. e la natura di tale tipo di rinuncia è stata oggetto di varie teorie giurisprudenziali (es. teoria contrattuale o di atto dispositivo di accettazione tacita). Tuttavia, ancora oggi non si è giunti ad un’impostazione unitaria sul punto.

Modi e termini per rinunciare all’eredità

Ai sensi dell’art 519 c.c.: “La rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”.

I documenti che devono essere presentati dal rinunziante sono i seguenti:

– Carta di identità e codice fiscale del dichiarante;

– Codice fiscale del defunto;

– In presenza di minori, tutelati o amministrati, una copia conforme dell’autorizzazione del giudice tutelare;

– una copia conforme del testamento se presente;

– l’originale del certificato di morte.

In presenza di minore, devono essere presenti entrambi i genitori del dichiarante.

La dichiarazione, una volta resa, viene registrata a cura del cancelliere o del notaio presso il registro delle successioni.

Per quanto riguarda il termine entro il quale il delato può rinunciare all’eredità, la legge non dispone nulla di preciso. Tuttavia, l’orientamento prevalente ha ritenuto che la rinuncia all’eredità vada effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione per poter essere considerata valida.

Si tratta, dunque, dello stesso termine previsto dall’art 480 c.c. per accettare l’eredità.

Soggetti legittimati a rinunciare all’eredità

Tra i soggetti che possono rinunciare all’eredità si annoverano le seguenti categorie di chiamati all’eredità:

– gli incapaci di agire, totalmente o parzialmente incapaci. I primi se legalmente rappresentati ed autorizzati dal giudice tutelare. Gli inabilitati possono rendere la dichiarazione di rinuncia se assistiti da un curatore speciale;

– i beneficiari di amministrazione di sostegno assistiti o sostituiti dall’amministratore;

– i nascituri in quanto soggetti capaci a succedere, se concepiti all’apertura della successione. Se non ancora concepiti, l’art 462 3° comma c.c. prevede che: “figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”. Questi possono rinunciare all’eredità;

– le persone giuridiche, oggi senza autorizzazione, in quanto capaci di agire.

Gli effetti della rinuncia

Ai sensi dell’art 521 1° comma c.c.: “Chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”.

L’effetto principale di dichiarare di rinunciare è la perdita della qualità di erede fin dall’inizio in quanto la rinuncia opera retroattivamente.

Il rinunciante perde la possibilità di esercitare i poteri propri del chiamato ai sensi degli artt 460 e 486 c.c., in particolare:

– di compiere azioni possessorie;

– conservare, vigilare e amministrare temporaneamente l’eredità ed eventualmente vendere i beni che non si possono conservare su autorizzazione dell’autorità giudiziaria;
– rappresentare l’eredità in giudizio.

Tuttavia, se queste attività vengono esercitate prima della rinuncia, non perdono la loro efficacia.

La dichiarazione di rinuncia, inoltre, non interferisce con le donazioni e con i legati.

Il rinunciante, infatti, ai sensi dell’art 521 2° comma c.c., può trattenere ciò che gli è stato attribuito a titolo di donazione o di legato. Può, però, farlo fino a concorrenza della porzione disponibile, a meno che non sia un legittimario.

Si applicano gli artt 551 e 552 c.c. che disciplinano il legato in sostituzione di legittima e la donazione in relazione al legato in conto di legittima.

La rinuncia nella successione legittima e testamentaria

La legge distingue e regola diversamente la devoluzione di quanto è stato oggetto di rinuncia da parte del chiamato rinunciante nella successione legittima e in quella testamentaria.

Nella successione legittima, l’art 522 c.c., distingue l’ipotesi dell’unico chiamato all’eredità che rinuncia da quella in cui il rinunciante è uno di più chiamati. Nel primo caso la norma afferma che :“l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”. Nel secondo caso invece la quota rinunciata si devolve: in primo luogo a favore dei discendenti di colui che ha rinunciato per rappresentazione; in secondo luogo agli ascendenti ai sensi dell’ultimo comma dell’art 571 c.c.

In ultima ipotesi, se non sussistono i due presupposti precedenti, la parte rinunciata si accresce a coloro che avrebbero concorso con il rinunziante.

Anche la norma che regola la rinuncia nella successione testamentaria vede un sistema gerarchico di devoluzione della parte oggetto di rinuncia. In particolare, l’art 523 c.c., dispone la devoluzione in primo luogo al sostituito se il testatore ne ha indicato uno, in secondo luogo al rappresentato e in terzo luogo ai coeredi per accrescimento. In ultimissima ipotesi la devoluzione avviene agli eredi legittimi per mancanza di accrescimento.

E’ possibile impugnare la rinuncia?

La dichiarazione di rinuncia all’eredità può essere impugnata dal rinunziante stesso, dai suoi eredi, o dai suoi creditori.

Il rinunziante o i suoi eredi possono impugnare la rinuncia quando è stata fatta a causa di violenza o dolo. Lo stabilisce l’art 526 c.c. L’impugnazione comporta l’azione di annullamento della rinuncia che deve essere promossa entro 5 anni dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo per evitare la prescrizione.

L’impugnazione della rinuncia all’eredità può essere mossa anche dai creditori del rinunciante. Viene promossa tramite un’azione giudiziaria quando il rinunciante ha causato a questi un danno, anche senza aver integrato il reato di frode. La norma, l’art 524 c.c., parla di “autorizzazione ad accettare l’eredità da parte dei creditori in nome e luogo del rinunziante”. La norma intende imprecisamente: per autorizzazione una sentenza derivante da un ordinario processo; per accettazione dell’eredità l’azione per soddisfare i propri crediti sui beni ereditari. Non vi è assunzione della qualità di erede infatti né da parte del rinunciante né dei creditori. Questa verrà invece acquisita dal chiamato in subordine del rinunciante.

I creditori del rinunciante sono coloro i quali risultano tali al momento della rinuncia. Al giudizio di impugnazione devono dunque partecipare entrambe le parti: i creditori del rinunciante e il rinunciante stesso. Deve partecipare inoltre il chiamato in subordine del rinunciante.

Revoca della rinuncia all’eredità

Colui che ha dichiarato di rinunciare all’eredità ha a disposizione un rimedio per poter invertire quanto compiuto. Tale rimedio è predisposto dall’art 525 c.c. che afferma: “Fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”. Si tratta di una sorta di accettazione tardiva dell’eredità per cui, anche avendo rinunciato, si può accettare finché il diritto non si è prescritto. Si eliminano così gli effetti della rinuncia ma non si ripristina la condizione iniziale di delato del rinunciante che non può più dunque scegliere tra l’accettazione e la rinuncia.

Non si può procedere alla revoca della rinuncia in due ipotesi:

Dopo 10 anni dall’apertura della successione o passato il termine fissato dal giudice per l’accettazione ai sensi dell’art 481 c.c. Trascorso tale termine si prescrive il diritto all’accettazione dell’eredità e pertanto non è più possibile revocare la rinuncia;

– Se gli altri chiamati acquistano la quota rinunciata accettandola espressamente o tacitamente o anche in maniera automatica senza bisogno di accettazione.

Dottrina e giurisprudenza non ammettono neppure accordi privati tra il rinunziante e gli altri chiamati che hanno acquistato la quota rinunciata per consentire al rinunciante di accettare anche successivamente all’acquisto della quota rinunciata.

La legge non prescrive una determinata forma della revoca. Questa pertanto può avvenire sia espressamente che tacitamente.

Quanto costa rinunciare all’eredità?

I costi da sostenere per rinunciare all’eredità variano a seconda che si proceda ad effettuare la dichiarazione presso un notaio o presso la cancelleria del tribunale. Presso il notaio, chiaramente, il costo sarà più alto in quanto si aggiungerà al pagamento delle imposte, la parcella professionale. Se si intende procedere presso la cancelleria del tribunale è bene fissare un appuntamento con congruo anticipo per evitare di trovarsi velocemente a ridosso dei termini. In ogni caso sono fissi gli importi da pagare relativamente a:

– l’imposta di registro pari ad euro 200 da versare con modello F23;

– imposta di bollo e diritti di copia il cui importo viene comunicato il giorno in cui si effettua la dichiarazione.