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La rinuncia, il recesso, il mutuo dissenso

La rinuncia, il recesso ed il mutuo dissenso sono tre diversi istituti, che, pur differenziandosi quanto a natura giuridica e struttura, realizzano il medesimo obiettivo di fare venire meno, nei modi e termini che saranno infra esplicati, gli effetti di un precedente negozio.

La rinuncia.

La rinuncia è un negozio unilaterale non recettizio a causa propria (rinunciativa), il quale, sotto il profilo della finzione, si distingue in rinuncia impeditiva, abdicativa ed eliminativa.

La rinuncia impeditiva preclude il verificarsi di determinati effetti giuridici e produce un effetto retroattivo (ex tunc). Classico esempio di tale tipo di rinuncia è la rinuncia all’eredità, che impedisce l’acquisto della qualità di erede e pone nel nulla gli effetti della delazione ereditaria.

La rinuncia abdicativa, invece, è quella rinuncia che comporta la perdita di un diritto già acquistato, con effetti ex nunc (cioè, irretroattivi), come nel caso di rinuncia al legato, il quale, ai sensi dell’art. 649 comma 1 c.c., si acquista all’apertura della successione senza bisogno di accettare, salva, appunto, la facoltà di rinunziare.

In relazione al tipo di diritto a cui questa rinuncia si riferisce, poi, si distingue tra rinuncia abdicativa liberatoria e rinuncia abdicativa in senso stretto. La prima, sicuramente ammissibile, con cui il rinunciante rinuncia ad una quota di un diritto reale, liberandosi dalle spese ad esso inerenti, con la conseguenza che il diritto si accresce agli altri comproprietari. La seconda, che ha invece ad oggetto la dismissione di un diritto reale minore (con conseguente consolidazione del diritto di piena proprietà in capo al nudo proprietario) o del diritto di proprietà: l’ammissibilità di quest’ultima ipotesi non è, invero, pacifica, anche se ammessa dalla prevalente dottrina ed anche dalla giurisprudenza di legittimità, ma a condizione che tale rinuncia non sia sorretta dal solo scopo di far gravare sullo Stato le spese inerenti al bene in oggetto.

Si parla di rinuncia eliminativa, infine, quando il rinunciante rinuncia, con efficacia ex tunc, ad un diritto che avrebbe avuto, se non lo avesse rinunciato: il caso emblematico è quello della rinuncia del terzo alla clausola di stipulazione in suo favore ex art. 1411 c.c., con la conseguenza che il contratto produce effetti (salvo diversa volontà delle parti) in favore dello stipulante.

Sotto il profilo formale, la dottrina notarile più tuzioristica propende per l’opportunità della presenza dei testimoni (seppur non strettamente necessaria), trattandosi di un negozio non liberale, ma, comunque, gratuito.

Pure a fini tuzioristici, è sicuramente opportuno inserire in atto tutte le menzioni richieste per i negozi traslativi di diritti reali immobiliari: in caso di rinuncia, invero, l’effetto traslativo del diritto in questione costituisce un effetto solo indiretto del negozio, ma, ad ogni modo, ricollegabile al negozio stesso.

Stante la natura unilaterale del negozio, poi, la rinuncia sarà trascritta solo contro il rinunciante (e non anche a favore di colui che, per effetto indiretto della rinuncia, vede effettivamente accresciuto il proprio diritto).

Radicalmente diversa è, invece, la cosiddetta rinuncia traslativa, che è un negozio giuridico bilaterale (contratto) con cui un soggetto rinuncia, solitamente a fronte del pagamento di un corrispettivo, ad un proprio diritto in favore della controparte: un’ipotesi normativamente prevista di tale rinuncia sui generis è quella della rinuncia all’eredità non ancora accettata a titolo oneroso (art 478 c.c.), ovvero in favore di alcuni soli degli altri chiamati (a contrario, dal disposto del secondo comma dell’art. 519 c.c.), la quale non integra rinuncia all’eredità, ma, anzi, ipotesi tipizzata di accettazione tacita.

Il recesso.

Il recesso è il negozio unilaterale di secondo grado, recettizio (a differenza della rinuncia) e non retroattivo (come la rinuncia abdicativa ed a differenza della rinuncia impeditiva ed eliminativa) con cui una parte dichiara di volersi ritirare da un rapporto giuridico in essere.

Tale negozio produce un diverso effetto sul contratto a cui si riferisce, in dipendenza del fatto che tale contratto sia bilaterale, o plurilaterale: il recesso di un contraente da un contratto bilaterale ne determina, infatti, lo scioglimento, mentre rimane in piedi nonostante il recesso il contratto plurilaterale (salvo che la partecipazione del contraente recedente fosse stata espressamente considerata come essenziale dalle altre parti).

Sotto il profilo della forma, trattandosi di un negozio di secondo grado, opera il principio di simmetria delle forme, pertanto, il recesso dovrà rivestire la stessa forma necessaria per la conclusione del contratto dal quale si intende recedere.

Si distingue, poi, il recesso convenzionale, che è un diritto attribuito ad una delle parti contraenti in forza di una specifica pattuizione contrattuale, che trova la propria fonte nell’art. 1373 c.c., ai sensi del quale, tranne che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il recesso può essere esercitato solo finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione, dal recesso legale, spettante in forza di una apposita previsione di legge (un classico esempio è il recesso previsto dall’art. 52 del codice del consumo, d.lgs. 206/2005, al consumatore, nei quattordici giorni successivi alla conclusione del negozio, in caso di contratti conclusi a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali).

Il recesso, da ultimo, si differenza dal mutuo dissenso, di cui si dirà meglio infra, sotto il profilo della struttura (unilaterale il recesso; bilaterale il mutuo dissenso), del conseguente scioglimento del contratto (effetto necessario del mutuo dissenso; effetto eventuale in caso di recesso, stante quanto sopra osservato in relazione al recesso da contratti plurilaterali) ed infine della previsione nel contratto a monte (dovendo essere sempre appositamente previsto il recesso, tranne in caso di recesso legale; essendo sempre possibile il mutuo dissenso a prescindere da una previsione in tal senso nel contratto originario).

Il mutuo dissenso.

Il mutuo dissenso altro non è che quel “mutuo consenso” al quale si riferisce il Codice civile, ove, ai sensi dell’art. 1372 c.c., prevede che il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per le altre cause previste dalla legge. Ulteriore indice normativo che legittima l’ammissibilità del mutuo dissenso è l’art. 1321 c.c., laddove definisce il contratto come “l’accordo tra due o più parti volto a … estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.

La questione tradizionalmente più controversa in merito al mutuo dissenso attiene alla natura giuridica dello stesso, in relazione alla quale sono state elaborate tre diverse teorie, dall’accoglimento dell’una o dell’altra delle quali derivano importanti conseguenze in ordine alla disciplina dell’istituto in esame.

Secondo la prima impostazione, il mutuo dissenso sarebbe un contrarius actus, cioè un negozio uguale e contrario a quello che si intende sciogliere, in quanto tale teoria muove dal presupposto della non eliminabilità degli effetti del primo contratto, che possono solo essere “neutralizzati” tramite la conclusione di un nuovo contratto uguale, ma con contenuto contrario.

A questa teoria sono, tuttavia, state mosse due importanti critiche: la prima, che in realtà non si ricostituisce lo status quo ante, ma crea posizioni giuridiche nuove, anche se uguali alle precedenti; la seconda, che la causa del mutuo dissenso se inteso come contrarius actus non sarebbe lo scioglimento del primo contratto, ma la causa tipica del negozio contrario.

Qualora si ricostruisca, invece, il mutuo dissenso come un’ipotesi di adempimento traslativo, si afferma che l’effetto risolutorio deriva da due negozi distinti e si è, dunque, in presenza di una fattispecie a formazione progressiva: in primo luogo, il contratto viene risolto con un mutuo dissenso ad efficacia obbligatoria ed effetti ex tunc; in secondo luogo, si realizza il negozio di adempimento traslativo del negozio obbligatorio di mutuo dissenso.

Secondo l’opinione ad oggi prevalente e preferibile, tuttavia, il mutuo dissenso è da intendere come un vero e proprio negozio risolutorio, o contrarius consensus: si tratta di un negozio con causa unitaria, che elimina gli effetti del primo negozio con efficacia retroattiva, con la conseguenza che se il negozio che viene risolto aveva determinato il trasferimento di un bene, all’atto del mutuo dissenso non si verificherà un ritrasferimento del bene, bensì una restituzione dello stesso.

Sotto il profilo della disciplina, si osservi quanto segue.

In relazione alla caduta o meno in comunione legale di quanto “riacquistato” in conseguenza del mutuo dissenso: accogliendo la prima impostazione, si dovrà avere riguardo al regime patrimoniale dei contraenti al momento del ritrasferimento, accogliendo la seconda, si guarderà al regime patrimoniale al momento dell’adempimento traslativo, mentre seguendo l’opinione prevalente del contrarius consensus, il regime patrimoniale rilevante sarà quello al momento in cui è stato concluso il negozio che viene risolto.

Le menzioni richieste a pena di nullità per il trasferimento di diritti reali immobiliari, poi, saranno senza dubbio necessarie a pena di nullità, accogliendo le prime due impostazione, mentre si ritengono opportune, anche se non strettamente necessarie, accogliendo la teoria del negozio risolutorio.

Quanto alla forma richiesta per il mutuo dissenso, sarà richiesta la forma tipica del contratto tipico che si intende caducare, accogliendo le prime due impostazioni, ma anche, in realtà, sposando la tesi del negozio risolutorio, in quanto esso è un negozio di secondo grado rispetto al negozio da risolvere, rispetto al quale è, dunque, necessario il rispetto del principio di simmetria delle forme.

Sotto il profilo della trascrizione, poi, accogliendo la prima teoria, il contrarius actus sarà sicuramente trascrivibile ex art. 2643 c.c., viceversa, se si considera adempimento traslativo, sarà trascritto ai sensi dell’art. 2649 c.c., mentre, accogliendo la tesi del negozio risolutorio, il mutuo dissenso non sarà oggetto di autonoma trascrizione, ma sarà soltanto annotato a margine del negozio risolto ex art. 2655 c.c.

L’accoglimento dell’una o dell’altra tesi sulla natura giuridica del mutuo dissenso può anche portare ad una diversa risposta in merito all’ammissibilità o meno del mutuo dissenso parziale, senza dubbio ammissibile, accogliendo la tesi del contrarius actus, ma probabilmente non ammissibile seguendo la tesi del negozio risolutorio (in quest’ultimo caso, infatti, più che un negozio risolutorio, le parti realizzerebbero un negozio modificativo del contratto originario).