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Azione di riduzione

L’art 457 comma 3 c.c. prevede espressamente che le disposizioni testamentarie non possono in alcun modo pregiudicare i legittimari. Pertanto, a tal fine, il legislatore prevede due tutele: l’azione di riduzione e la nullità delle disposizioni testamentarie ai sensi dell’art 549 c.c.

Con riguardo all’azione di riduzione, la finalità consiste nel far dichiarare inefficaci nei confronti del legittimario leso o pretermesso le disposizioni lesive”.

L’azione di riduzione ha natura personale e serve a rendere inefficaci le disposizioni, anche se è solo successivamente con l’azione di restituzione che il legittimario può materialmente recuperare i beni ad esso spettanti.

Dunque, si può definire, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, che l’azione di riduzione rappresenta il presupposto per poter poi agire in restituzione. L’azione di riduzione è, pertanto, prodromica per l’esercizio dell’azione di restituzione.

Quanto ai caratteri propri dell’azione di riduzione, il legittimario “agisce per rendere inefficaci le disposizioni lesive”, di conseguenza possiamo asserire che:

  1. In primis, l’azione di riduzione non è un’azione di nullità, perché le disposizioni lesive, fino a quando non vengono ridotte, sono perfettamente valide ed efficaci;
  2. In secondo luogo, non è un’azione rescissoria o di risoluzione, perché non c’è un vizio originario della disposizione che, quindi, viene soltanto dichiarata inefficace con l’azione di riduzione;
  3. Infine, è un’azione di accertamento costitutivo, dal momento che il legittimario, in caso di esperimento vittorioso, riceve la sentenza che afferma la lesività della disposizione testamentaria impugnata e, una volta accertata la lesione, il suo diritto può mutare in presenza di due situazioni:
  • Se il legittimario è pretermesso diventa chiamato nella quota di riserva;
  • Se il legittimario, invece, è leso aumenta idealmente la sua quota, poiché, per prendere effettivamente i beni dovrà agire in restituzione.

Pertanto, l’azione di riduzione si può definire un’azione personale, in quanto può essere esercitata solo dai beneficiari delle disposizioni lesive; di inefficacia relativa, nel senso che opera a vantaggio del solo legittimario che agisce in riduzione; ed, infine; un’azione mediante la quale il legittimario acquista la sua quota direttamente dal de cuius.

Per quanto riguarda gli effetti, l’azione di riduzione ha efficacia ex tunc, in quanto gli effetti retroagiscono al momento dell’apertura della successione.

Con riguardo all’ordine di riduzione, le norme di riferimento sono le seguenti:

  1. Art 553 c.c., che riguarda la riduzione delle porzioni degli eredi legittimi;
  2. Artt 554 e 558 c., riguardanti le modalità di riduzione delle disposizioni testamentarie;
  3. Artt 555 e 559 c., che si riferiscono alla riduzione delle donazioni.

Presupposti e condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione

Per poter esperire l’azione di riduzione occorre innanzitutto essere legittimari ovvero essere tra i soggetti tassativamente elencati nell’art 536 c.c.

Ai sensi dell’art 564 c.c. è necessaria l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, anche se si può decadere dalla possibilità di redigere l’inventario.

Tuttavia, l’accettazione cd. beneficiata non è necessaria in tre ipotesi:

  1. In caso di pretermissione del legittimario, perché se agisce in riduzione non può accettare con beneficio d’inventario in quanto, di fatto, non è un chiamato;
  2. Quando il legittimario agisce in riduzione contro i coeredi, poiché non è necessario il requisito dell’accettazione con beneficio d’inventario in quanto già si conosce la consistenza del patrimonio ereditario (quantum);
  3. In caso di imputazione da parte del legittimario dei legati o donazioni ricevute, perché attraverso questo calcolo potrebbe emergere che non è stata lesa la quota di riserva.

Cause di estinzione dell’azione di riduzione

 L’azione di riduzione si estingue in caso di:

  • Rinuncia da parte del legittimario
  • Prescrizione, anche se il legislatore non indica precisamente un termine ordinario entro il quale l’azione di riduzione si prescrive.

Pertanto, in questa seconda ipotesi è pacifico che il termine ordinario di prescrizione sia di dieci anni. Il problema che si è posta la giurisprudenza di legittimità è: “da quando decorre il termine decennale di prescrizione?”

Su questa questione si sono susseguite tre importanti pronunce della Cassazione:

  1. Cassazione 1987: il termine di prescrizione decorre sempre dall’apertura  della  successione;  non importa quando viene scoperta la lesione. Tale scelta è dettata da ragioni di certezza (la morte ha una data certa).
    CONTRA: è vero che all’apertura della successione si possono sapere le donazioni fatte ma difficilmente si può sapere quali siano le disposizioni testamentarie lesive, di conseguenza vi è una disparità di trattamento tra lesione derivante da donazione o da disposizione testamentarie.
  2. Cassazione 1999: individua come termine la pubblicazione del testamento; solo dalla pubblicazione si ha conoscenza delle disposizioni potenzialmente lesive.
  3. Cassazione SU 2004: distingue
    – il termine decorre dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima. Di conseguenza, la lesione della legittima diviene attuale e l’interessato diviene legittimato a promuovere la relativa tutela.
    – per le donazioni dall’apertura della  successione.

Un altro problema che si è posta la giurisprudenza è : “Cosa accade se acquisisco lo status di figlio dopo la prescrizione?

L’ art 2935 c.c. stabilisce che l’azione si prescrive dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, quindi i dieci anni decorrono dal momento in cui acquisisco lo status di figlio.

Infine, ci si è chiesti se: “il testatore può disporre per il caso di esercizio dell’azione di riduzione che al legittimario si attribuito un bene in particolare?”

Per risolvere tale questione occorre partire dal fatto che con l’esercizio dell’azione di riduzione il legittimario pretermesso diventa coerede, rientrando nella comunione ereditaria.

Ne consegue che il testatore ex art. 733 c.c. può stabilire particolari norme per la futura divisione del patrimonio ereditario. L’azione di riduzione, dunque, non è condizione ma presupposto per la divisione ex 733 c.c.

Azione di restituzione

 Per quanto riguarda l’azione di restituzione ha come finalità quella di consentire al legittimario, previo esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, di recuperare i beni ad esso spettanti.

Si può pacificamente affermare che l’azione di restituzione è un’azione di natura reale con funzione recuperatoria.

Il legislatore, in particolare, fa riferimento a due ipotesi:

  1. Recupero del bene che si trova nelle mani del donatario ex art 561 c.c.: in questa circostanza il bene è riacquistato alla massa privo di pesi che il donatario gli ha imposto (es. le ipoteche). L’effetto che ne deriva è un effetto purgativo.
    Inoltre, secondo parte della dottrina questa azione avrebbe natura personale e non reale, poiché si esercita contro il donatario, al contrario di quella contro i terzi aventi causa che ha carattere reale (contro chiunque sia titolare del bene senza individuare un soggetto a priori). Nella prassi una volta esercitata l’azione di riduzione contro il donatario, il bene ritorna nella massa ereditaria e, pertanto, si richiede l’assegno a titolo di divisione.
  2. Recupero del bene da terzi ex art 563 c.c.: la norma qui parla solo di aventi causa dai donatari senza far riferimento ai legatari. Tuttavia, è opinione pacifica che gli stessi principi si applicano anche ai legatari, come sostenuto anche dalla Cassazione nel 2001. Nel caso in cui il donatario ha alienato a terzi il bene immobile, l’art 563 c.c. non fa salva la posizione del terzo, in quanto, una volta escusso infruttuosamente il patrimonio del donatario, il legittimario leso può chiedere ai successivi acquirenti la restituzione dei beni. Il terzo, dal canto suo, può liberarsi pagando al legittimario l’equivalente in denaro. Si può affermare che il legittimario in un primo momento ha un diritto di credito che, se non viene soddisfatto, si trasforma in tutela reale.

Nei casi in cui l’effetto purgativo non si verifica e i terzi aventi causa vedono fatti salvi i loro acquisti, si possono verificare due ipotesi:

  1. pubblicità sanante ex art. 2652 8 c.c.: se la trascrizione della domanda di riduzione è eseguita dopo 10 anni dalla apertura della successione, la sentenza non pregiudica i diritti dei terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base ad un atto trascritto o iscritto prima della trascrizione della domanda. Per 10 anni l’acquirente è esposto ex 563 c.c., non giovandosi del 534 comma 2 c.c.
  2. decorso il termine di 20 anni dalla trascrizione della donazione (novità del 2005 per garantire la circolazione degli immobili di provenienza donativa) salvo l’obbligo del donatario di compensare in denar Il decorso del termine di 20 anni è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione il quale produce l’ effetto di conservare la possibilità di effettuare l’azione di riduzione oltre i 20 anni.

In sintesi si può asserire che, se sono passati 20 anni dalla trascrizione della donazione e non è stata proposta opposizione, l’azione di restituzione si prescrive, quindi si può desumere che l’azione di restituzione è un azione precaria, in quanto (dopo la riforma del 2005) il dies a quo della restituzione decorre dalla trascrizione della donazione.

Provenienza donativa e i rimedi del mutuo dissenso e della rinuncia all’azione di restituzione

Nelle ipotesi di provenienza donativa si può affermare che la donazione “sporca” la provenienza, perché se il donante è ancora in vita non ci sono strumenti certi per tutelare il sub acquirente. Il legittimario, infatti, può essere leso sia dal testamento che da donazioni fatte in vita e può agire in riduzione sia in relazione alle disposizioni testamentarie lesive, sia in relazione alla donazione. Verificato che la donazione è lesiva, il legittimario può rendere nei suoi confronti non opponibile la donazione ed è questo il meccanismo dell’azione di riduzione e di restituzione. Ciò significa che il legittimario leso rende la donazione inefficace nei suoi confronti.

Nell’ipotesi di cui all’ art 561 c.c. il recupero  del bene restato in capo al donatario prevede una  tutela  qualitativa e quantitativa.

Nel caso disciplinato dall’ art  563 c.c. il recupero  del bene alienato dal donatario prevede una tutela solo quantitativa e non anche  qualitativa, perché solo dopo aver pignorato tutti i beni del donatario (premessa l’escussione) si può chiedere la restituzione al terzo che, a sua volta, può pagare il prezzo dovuto.

Se muore il donante, la circolazione dei beni è facilitata dalla rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario (se rinuncio all’azione di riduzione quando è già morto il donante, ho già rinunciato alla restituzione implicitamente). L’unico problema che resta è quello del legittimario sopravvenuto e non si può fare niente. Starai tranquillo solo dopo 10 anni dalla morte del de cuius.

Se il donante è ancora in vita non si può rinunciare all’azione di riduzione ( art 557,c2 c.c.).

Ci si chiede allora: “come tutelare il terzo?”

Prima della riforma del 2005, il legislatore prevedeva tre strumenti :

1) estensione della garanzia per evizione all’ipotesi di esperimento dell’azione di riduzione e di restituzione: i Tribunali di merito hanno ritenuto tale soluzione NULLA, poiché il legittimario può agire in riduzione e restituzione, ma essendo lui erede del donante dovrà garantire l’evizione con i suoi soldi e ciò, in pratica, rende l’azione inutile. L’evizione, inoltre, copre solo i difetti antecedenti all’acquisto.

2) fideiussione del donante o dei legittimari per sterilizzare l’azione di riduzione e restituzione: quella prestata dai legittimari comporta che essi potranno agire contro il terzo, ma poi risponderanno in qualità di fideiussori; quella prestata da donante ha lo stesso effetto: per agire in riduzione i legittimari devono accettare l’eredità, ma troveranno anche la fideiussione e quindi si rene inutile l’azione. La giurisprudenza ha dichiarato tale soluzione dichiarato ILLEGITTIMA, in quanto viola il divieto dei patti successori ex art 458 c.c.

3) assicurazione da parte di un soggetto terzo (agenzia assicurativa o banca): se l’acquirente subisce il recupero del bene e, quindi, lo restituisce, viene risarcito dall’assicurazione o dalla banca. Ma così l’acquirente comunque perde il bene e poi questa operazione è costosissima, non si fa mai.

Dopo l’entrata in vigore della riforma del 2005, il legislatore prevede tre nuove tutele:

  • Il mutuo dissenso della donazione mediante il quale donante e donatario sciolgono il contratto di donazione e il donante vende il bene al terzo, deviando il prezzo ex 1411 c.c. al donatario (questa operazione è necessaria quando il terzo acquirente deve anche chiedere il mutuo ipotecario, perché se non c’è il mutuo dissenso la banca non gli da’ i soldi, perché rischia di perdere l’ipoteca con l’effetto purgativo della azione di restituzione)

Tuttavia, secondo una parte della dottrina non è da seguire perché, in realtà ,il mutuo dissenso crea ancora più problemi, in quanto è un contrarius actus, una contro-donazione, un ritrasferimento gratuito, che fa sorgere diritti anche in capo ai legittimari del donatario.

E’, altresì, discussa la natura giuridica del mutuo dissenso (artt. 1372 e 1321c.c.):

– Secondo la dottrina classica: è un contrarius actus e non un negozio risolutorio. Il negozio risolutorio può avere ad oggetto solo contratti con effetti obbligatori. Per i contratti reali occorre un contrarius actus che ritrasferisca il bene (il ritrasferimento necessita di tutte le menzioni urbanistiche).

– Secondo Gazzoni (tesi ultraminoritaria): il mutuo dissenso non ripristina la titolarità del vecchio dante causa, ma crea solo un obbligo restitutorio. L’attuale proprietario diventa titolare sine titulo e ha l’obbligo di ritrasferire il bene, poiché titolare di un indebito (pagamento traslativo).

Secondo la dottrina maggioritaria: il mutuo dissenso è un contratto risolutorio, a effetti reali, con efficacia ex tunc. La risoluzione ripristina lo status quo ante. E’ il consenso delle parti a giustificare la risoluzione e gli artt. 1372 e 1321  c.c. non distinguono tra contratti a effetti reali e effetti obbligatori. Non c’è ritrasferimento, ma soltanto una caducazione degli effetti prodotti (non occorrerebbero menzioni urbanistiche ecc…). Si pubblicizza con annotazione a margine dell’atto di donazione ex art. 2655 c.c .

Però,  fino al 2014 (anno in cui l’agenzia delle entrate ha stabilito che il mutuo dissenso, tra i contratti a effetti reali non va tassato come ritrasferimento, come fatto sino ad allora, ma sconta l’imposta fissa e non c’è ritrasferimento) nella prassi notarile  i notai hanno sempre inserito le menzioni urbanistiche.

Inoltre,  il muto dissenso richiede la stessa forma dell’atto da risolvere ovvero della donazione, pertanto, è necessaria la presenza dei testimoni alla stipula dell’atto.

Ci si è chiesti, inoltre: “è ammissibile il mutuo dissenso parziale?”

– Se si aderisce alla teoria del contrarius actus, certamente è ammissibile, perché si verifica un ritrasferimento limitatamente ad alcuni beni (e ovviamente ci vogliono la menzioni).

– Se si aderisce alla tesi del negozio risolutorio, un mutuo dissenso parziale non sarebbe possibile, perché il negozio risolutorio dovrebbe riguardare l’intero contratto che si vuole risolvere. Tutt’al più si può parlare di modificazione del precedente contratto, che però non si estingue (e allora le menzioni sono obbligatorie).

  •   Da qualche tempo si è aggiunto un altro rimedio: la rinuncia all’azione di restituzione, con il donante ancora in vita. Tecnicamente      questa soluzione ha solo un vulnus: il rischio di legittimari sopravvenuti o non conosciuti (è un problema irrisolvibile).

Si discute, però, della ammissibilita’ della rinuncia all’azione di restituzione con il donante ancora in vita.. Tali dubbi sorgono guardando agli artt. 557, 458 e 563 c.c. (l’azione di riduzione e l’azione di restituzione sono azioni diverse, la prima personale e la seconda reale, con funzione recuperatoria). Chi ammette la rinuncia all’azione di restituzione ritiene che il divieto espresso nel 557 c.c. coinvolge esclusivamente l’azione di riduzione e non quella di restituzione. Chi non la ammette afferma il contrario. Ai sensi dell’art 458 c.c., tale rinuncia potrebbe essere un patto successorio rinunziativo.

-Secondo alcuni: l’art 557c.c. è una norma espressa e si riferisce solo all’azione di riduzione, ma l’illegittimità della rinuncia all’azione di restituzione è data proprio dall’art. 458 che vieta atti rinunciativi.

– Secondo altri (PREFERIBILE): il divieto generale dell’ art  458  c.c. è perimetrato proprio dall’art. 557 c.c., che vieta solo la rinuncia all’azione di riduzione. In più, il tribunale di Torino 2014  ha stabilito che il divieto dell’ art 458 c.c. è legato ad evitare la prodigalità del disponente. Con la rinuncia all’azione di restituzione c’è perfetta certezza su cosa si rinuncia, proprio perché rinuncio in relazione a beni specifici. Potrò comunque agire contro il donatario e rinuncio solo alla tutela reale su quel bene e, di conseguenza, non si perde il diritto di credito nei confronti del donatario.

L’altra ratio dell’art 458 c.c. è il “votum captandae mortis” (“mi auguro la morte, perché il mio atto possa produrre effetti”). Anche questa ratio (tipica dei patti dispositivi) non si addice alla rinuncia all’azione di restituzione: l’efficacia di tale rinuncia, infatti, non dipende dalla morte del donante. Il bene già circola e non ha senso che il legittimario speri che muoia.

In riferimento all’ipotesi di cui all’art 563 c.c., secondo la dottrina prevalente, già prima del 2005 parte della dottrina sosteneva che l’art. 563 c.c. legittimava alla rinuncia all’azione di restituzione, perché il legislatore tutela il legittimario solo da un punto di vista quantitativo e non qualitativo. A maggior ragione dopo il 2005, si prevede che se sono passati 20 anni senza opposizione, l’azione di restituzione si prescrive. Questo conferma che l’azione di restituzione è precaria e quindi, così come con l’inerzia (mancata opposizione) posso far prescrivere l’azione, allora posso anche espressamente

  • Il terzo rimedio previsto dal legislatore è ancora quello della fideiussione bancaria.

Applicabilità dell’azione di riduzione e dell’azione di restituzione alle liberalità indirette

Altra importante questione, che è stata a lungo dibattuta in giurisprudenza, riguarda l’applicabilità o meno dell’azione di riduzione e di restituzione alle ipotesi di liberalità indirette.

Con l’ordinanza n. 35461 del 2022 la Suprema Corte di Cassazione, smentendo un precedente di senso contrario, afferma che: “in caso di donazione indiretta, il terzo avente causa dal donatario è al riparo dalle azioni restitutorie esperite dal legittimario leso o pretermesso”.

Nel dettaglio, la vicenda trae origine da una successione testamentaria in cui il testatore aveva nominato erede la moglie, disponendo che alle due figlie fosse assegnata la sola quota di riserva. Una delle figlie decideva, quindi, di convenire in giudizio la sorella al fine di ottenere la riduzione delle donazioni da quest’ultima ricevute quando il de cuius era ancora in vita.
I Giudici di primo e secondo grado accoglievano la domanda proposta da parte attrice e riconoscevano il diritto della stessa a trattenere la totalità dei beni relitti, condannando la parte convenuta a corrispondere per equivalente quanto ancora necessario a reintegrare la quota di riserva spettante all’attrice. La parte soccombente nei giudizi di merito decideva quindi di ricorrere per Cassazione. Al di là delle questioni processuali affrontate dall’ordinanza in commento, la Suprema Corte mette ordine nella materia della riduzione delle disposizioni testamentarie e donative lesive della quota di riserva e così accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione.

In primo luogo, i Giudici di legittimità statuiscono che le quote di riserva delle legittimarie sono state calcolate in modo errato a causa dell’esistenza di beni che non sono stati considerati nell’asse ereditario (relictum più donatum).
In secondo luogo, la Suprema Corte ricostruisce la disciplina dettata dal codice civile agli artt. 553 e ss. in tema di azione di riduzione, ricordando che l’azione è destinata a colpire innanzitutto le disposizioni testamentarie che, senza distinguere tra eredi e legatari, vengono ridotte proporzionalmente, passando poi alle donazioni solo nel caso in cui le prime non siano state sufficienti a reintegrare la quota di riserva del legittimario leso o pretermesso. Le donazioni, invece, non sono ridotte proporzionalmente ma in ordine cronologico, dalla donazione più recente si passa alle anteriori solo nel caso in cui la prima non sia capiente.

L’ordine da seguire nella riduzione delle disposizioni lesive della quota di riserva è tassativo e inderogabile per il legittimario. Ne consegue che se il legittimario, non avendo potuto o voluto convenire in riduzione tutti gli eredi e legatari, non ha attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, ma solo alcune di esse, non potrà rivalersi sui donatari. In altri termini, se il relictum trasmesso mortis causa agli eredi e ai legatari è sufficiente a reintegrare la legittima, il legittimario che non abbia chiesto la riduzione di tutte le disposizioni testamentarie non potrà agire contro i donatari che, in un’ipotesi di tal fatta, sono al riparo da qualsiasi pretesa.
A questo punto, la Corte di Cassazione censura le pronunce dei Giudici di merito nella parte in cui dispongono che la reintegrazione della quota di riserva debba essere fatta necessariamente per equivalente dal momento che la donataria aveva già venduto a terzi i beni ricevuti dal de cuius. Invero, la Cassazione precisa che le donazioni in contestazione sono donazioni dirette, avendo ad oggetto beni provenienti “direttamente” dal patrimonio del donante, pertanto, ai sensi dell’art. 563 c.c. e in presenza delle condizioni ivi stabilite, il legittimario, previa escussione del donatario, può pretendere dal terzo acquirente la restituzione del bene.

Venendo all’inciso dell’ordinanza che ha suscitato maggior interesse tra gli operatori, la Cassazione ribadisce che nelle donazioni indirette, al contrario, l’azione di riduzione non mette mai in discussione la titolarità del bene donato. In questi casi, infatti, la riduzione può essere ottenuta dal legittimario solo nelle modalità tipiche del diritto di credito. In sostanza, in presenza di una donazione indiretta, il legittimario leso o pretermesso non può mai recuperare il bene in natura, ma solo il suo equivalente economico, nei limiti strettamente necessari a reintegrare la propria quota di riserva.

Nell’affermare questo principio, i Giudici di legittimità richiamano un precedente conforme della medesima Corte risalente al 2010 (sentenza Corte di Cassazione n. 11496 del 2010) e un precedente di senso contrario (sentenza Corte di Cassazione n. 4523 del 2022), ove viene statuito che l’art. 563 c.c. possa trovare applicazione indifferentemente alle donazioni dirette e alle donazioni indirette. I Giudici di legittimità si limitano ad affermare che l’orientamento espresso nel precedente del 2022 debba ritenersi oramai superato, in quanto evidentemente non ha tenuto conto di quanto affermato dalla Cassazione nel 2010 né delle posizioni maggioritarie sulle quali si è oramai allineata la dottrina.

Il principio affermato dall’ordinanza in commento è oltremodo condivisibile, in quanto, nelle donazioni indirette ciò di cui si arricchisce il donatario non corrisponde a ciò di cui si è impoverito il donante. In altri termini, il bene donato non è mai stato nel patrimonio del donante e, pertanto, l’azione di riduzione non può avere un carattere reale con l’effetto di far cadere il bene nell’asse ereditario, ma può far conseguire al legittimario il solo equivalente monetario.
Se dunque, in caso di donazioni indirette, il donatario può vendere i beni ricevuti senza che l’acquirente debba temere di esser coinvolto in una lite ereditaria, allora l’istituto acquista tutt’altra importanza nell’ambito della pianificazione patrimoniale quale strumento idoneo a garantire sicurezza nella circolazione dei beni.