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Premessa generale

La morte di un soggetto comporta il cadere nella sua successione, generalmente, di tutte le situazioni giuridiche, attive e passive, che gli facevano capo, ad eccezione di quelle di carattere personale (ad esempio, il diritto di usufrutto, che non può eccedere la vita dell’usufruttuario) o collegate ad un determinato status familiare (ad esempio, il diritto agli alimenti, percepiti in quanto
coniuge).

Ci sono, poi, delle attività esercitate in vita tramite aziende commerciali, rese lecite grazie al rilascio di un’apposita licenza da parte della Pubblica Amministrazione. Il presente contributo mira proprio a fornire delle coordinate di massima in ordine alla sorte di tali licenze a seguito della morte del licenziatario, pur senza la pretesa di addentrarsi nei meandri del diritto pubblico e degli specifici meccanismi che portano al rilascio di tali licenze da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Farmacie

Il primo esempio che viene in esame è quello delle farmacie, le quali indubbiamente costituiscono nient’altro che un’attività esercitata in forma di impresa commerciale, per l’esercizio della quale serve il previo rilascio di un’apposita licenza da parte dell’autorità pubblica competente.

In particolare, l’attività di farmacia è regolata dalle leggi n. 475/1968 e n. 362/1991: quest’ultima, in particolare, come riformata con l. n. 124/2017, che ha introdotto la possibilità, senza precedenti, che la titolarità delle farmacie possa spettare anche a soggetti diversi da persone fisiche (e in particolare società di persone, di capitali e cooperative a responsabilità limitata), fermo restando che la farmacia gestita da una società deve essere affidata ad un farmacista in possesso dei requisiti di legge.

Per la prima volta, dunque, la Novella del 2017 introduce la possibilità di scissione tra titolarità ed esercizio concreto, fermo restando che quest’ultimo non può non essere affidato in via esclusiva a un farmacista.

Posta tale premessa, si osservi l’art. 12, comma 12 della citata l. n. 475/1968, ai sensi del quale “nel caso di morte del titolare, gli eredi possono, entro un anno (si precisa che oggi il termine di un anno è ridotto a sei mesi, in ragione della legge n. 362/1991), effettuare il trapasso della titolarità della farmacia, a norma dei commi precedenti, a favore di un farmacista iscritto nell’albo professionale, che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso.

Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l’esercizio in via provvisoria, sotto la responsabilità di un direttore”.

Da quanto esposto, emerge che, nel silenzio del testamento, la farmacia si trasmette in favore degli eredi legittimi del testatore, i quali, nel sopra indicato termine, devono a loro volta trasmettere l’attività ad un soggetto che sia in possesso dei requisiti di legge, tranne che, ovviamente, non sia il successore stesso ad essere in possesso dei presupposti di legge.

Secondo opinione prevalente, poi, è altresì possibile per il farmacista-testatore prevedere che l’azienda farmaceutica non sia devoluta in favore degli eredi legittimi, ma di soggetti diversi, cosa che si realizza attraverso un semplice legato d’azienda commerciale in favore di un soggetto in possesso dei requisiti di legge (farmacista), ovvero che avrò tali requisiti all’apertura della successione (condicio iuris).

Il testatore può poi “designare” il medesimo soggetto quale suo successore nella licenza in forza della quale la farmacia viene esercitata, ma non può trasferirgli in via diretta la licenza, nemmeno se il trasferitario ne avesse i requisiti, in quanto la Pubblica Amministrazione è l’unica autorità competente a svolgere una simile valutazione.

Alternativamente, qualora il farmacista intendesse lasciare la propria farmacia ad un soggetto che non è e, verosimilmente, neanche all’apertura della successione sarà, un farmacista, allora ciò che pare consigliabile è procedere tramite un legato d’azienda, con l’onere di esercitare l’impresa in forma societaria (affidandone ovviamente la gestione a un farmacista).

Taxi

Al pari della farmacia, l’attività di tassista è un’attività d’impresa commerciale esercitata attraverso un’azienda commerciale (composta, principalmente, dall’autovettura), esercitata in forza del rilascio di una licenza da parte di una Pubblica Amministrazione. Al netto di ciò, la disciplina dell’attività di taxi è molto più frammentata di quella esposta in materia di farmacia, il che ne rende praticamente
impossibile un’analisi sistematica.

Al netto di ciò, tuttavia, possono in questa sede spendersi i medesimi principi esposti con riguardo alle farmacie e dunque affermare quanto segue.

Nel silenzio del testamento, il taxi è devoluto in favore dei parenti del tassista, i quali devono alienare entro due anni l’attività a chi è in possesso di una licenza, la quale, invece, si ribadisce, non si trasmette mortis causa.

Tuttavia, il testatore può derogare alla previsione normativa, ma soltanto in favore di uno tra i parenti individuati per legge, sempre a condicio iuris che all’apertura della successione sia in possesso dei requisiti di legge, “designandolo” a succedergli nella licenza (che gli sarà, poi, eventualmente concessa, si ripete, non per testamento, ma in favore di un apposito atto della Pubblica Amministrazione).

Tabacchi

Quanto detto sulla frammentarietà e disorganicità della legislazione in materia di taxi, ben può essere ribadito con riguardo all’attività di commercio del tabacco.

Per quanto qui d’interesse, vero è che potrebbe azzardarsi un legato di azienda e designazione a subentrare nella licenza, come ipotizzato anche per il taxi; tuttavia, la vendita di prodotti di tabacchi è, a differenza delle ipotesi sopra analizzate, non solo soggetta al rilascio di una licenza, ma soprattutto oggetto di un monopolio statale. Pertanto, è opinione di chi scrive che il testamento non sia in alcun modo strumento idoneo ad incidere sulla già complessa legislazione speciale sul punto.