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L’amministrazione di sostegno in generale: principio ispiratore dell’istituto.

L’amministrazione di sostegno è, insieme ad interdizione e inabilitazione, una delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia, la cui disciplina è dettata dagli artt. 404 e ss. c.c., inseriti ad opera dell’art. 3, l. 9 gennaio 2004, n. 6.

Scopo dichiarato della nuova figura giuridica, introdotta anche a seguito delle diffuse critiche agli strumenti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione, ritenuti sovente non compatibili con la dignità della persona, è quello di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, ma prevedendo la minore limitazione possibile della capacità di agire. In tal senso, invero, è stato emblematicamente affermato che con questo intervento legislativo è stata spostata l’attenzione dalla tutela del patrimonio alla tutela della persona.

Ed infatti, è possibile, con tale istituto, ritagliare una misura di protezione in base alle reali necessità del soggetto beneficiario: una c.d. “tailored measure” in grado di assicurare una piena tutela all’individuo, salvaguardando la sua residua capacità di agire. Se tali caratteristiche di flessibilità e duttilità rappresentano la vera rivoluzione dell’istituto, le stesse hanno, tuttavia, comportato non poche difficoltà nella sua applicazione pratica.

I presupposti dell’amministrazione di sostegno.

Iniziando ad analizzare le applicazioni pratiche dell’istituto, la prima e rilevante incertezza da risolvere riguarda l’individuazione di quali soggetti possano essere beneficiari dell’amministrazione di sostegno: in particolare, il problema che si è posto in dottrina è giurisprudenza è quello della configurabilità dell’amministrazione di sostegno in favore di un soggetto affetto da una menomazione solo fisica: sul punto sono stati elaborati e sostenuti due diverse impostazioni.

Secondo un primo orientamento, per poter beneficiare dell’amministrazione di sostegno, occorre che il soggetto non sia affetto da una mera menomazione fisica (ben potendo in questa ipotesi avvalersi degli ordinari mezzi di tutela offerti dall’ordinamento, quali il mandato, la procura generale o speciale ed il trust), bensì sia provata una sua minore capacità: si richiede, quindi, necessariamente una infermità fisica che abbia, in qualche modo, compromesso le risorse intellettive del soggetto. Questa soluzione è stata accolta anche da una parte della giurisprudenza di merito che, in un provvedimento abbastanza recente (Tribunale di Vercelli, 16 ottobre 2015), ha stabilito l’inadeguatezza della nomina di un amministratore per l’ipotesi di un soggetto molto anziano, ma privo di alcun deficit delle capacità cognitive.

Si è ritenuto che, in presenza di un soggetto pienamente capace, per la risoluzione di alcune problematiche della vita quotidiana, non si rinviene la necessità di privare il soggetto, seppur in maniera minima, della capacità di agire.

L’accoglimento di questa ricostruzione si fonda su un’interpretazione restrittiva della normativa in esame, basata sull’opinione che la misura dell’amministrazione di sostegno, comportando in ogni caso una limitazione, seppur lieve, della capacità di agire, deve essere comunque trattata come una extrema ratio e deve essere, quindi, giustificata da un reale vulnus delle funzioni cognitive del soggetto beneficiario. Secondo tale orientamento, infatti, un soggetto capace non può mai abdicare alla sua capacità d’agire e tale rinuncia non avrebbe ragion d’essere nel nostro ordinamento, che prevede apposite soluzioni negoziali che gli consentirebbero di delegare i propri affari ad un rappresentante (artt. 1387 e ss. c.c.).

Ulteriore argomento che milita in favore della necessaria incapacità del soggetto può desumersi anche dalla lettura delle norme in tema di inabilitazione ed in particolare dall’articolo 415 c.c., che prevede che il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia possono essere inabilitati nella sola ipotesi in cui non abbiano ricevuto un educazione sufficiente; da ciò si può desumere che l’ordinamento considera questi soggetti perfettamente capaci di agire e passibili della procedura di inabilitazione solo in ipotesi residuali.

Vi sono state, tuttavia, altre interpretazioni, forse ad oggi prevalenti, che hanno ritenuto, all’opposto, applicabile l’istituto anche ad ipotesi nelle quali non sia riscontrabile alcun deficit delle facoltà intellettive.

Tale ricostruzione sembra suffragata dal dato testuale, in quanto l’art. 404 c.c. si esprime nei termini “menomazione fisica o psichica“. Inoltre, secondo tale orientamento, non si può non tenere conto che per il soggetto impossibilitato non risulta del tutto indifferente la scelta tra il richiedere per sé la misura dell’amministrazione di sostegno e il rilasciare una procura generale o speciale, posto che nel primo caso lo stesso potrebbe considerarsi maggiormente tutelato, dovendo l’amministratore di sostegno rispondere del proprio operato al Giudice Tutelare. In tali casi, comunque, sussistendo la piena capacità d’agire del soggetto, la nomina potrà scaturire solo su espressa richiesta dello stesso e comunque mai contro la sua volontà e, soprattutto, non condurrà ad una limitazione, neppure lieve, della capacità d’agire del beneficiario, il quale continuerà, dunque, a prendere parte ai negozi giuridici che lo riguardano da solo, senza rappresentanza o assistenza dell’amministratore, il quale gli fornirà un’assistenza di natura prettamente materiale.

Seguendo questa tesi, si potrebbero individuare due forme di amministrazione: una incapacitante, l’altra non incapacitante.

La disciplina dell’amministrazione di sostegno “incapacitante”.

Sotto il profilo della disciplina, si deve subito sottolineare che la flessibilità dell’istituto può comportare una molteplicità di situazioni in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, palesandosi, quindi, una serie di problematiche lasciate aperte dal legislatore, che finiscono per dover essere risolte dal Giudice Tutelare o, in assenza di un’apposita disposizione contenuta nel decreto di nomina, sulla base delle analisi dottrinali che si sono susseguite dal 2004 ad oggi.

Partendo dal dato testuale dell’art. 411 comma 4 c.c., emerge con chiarezza che l’amministratore di sostegno può avere una duplice funzione, dovendosi, in tal senso, distinguere amministratore di sostegno rappresentante ed amministratore di sostegno assistente.

Invero, il decreto del giudice tutelare di nomina dell’amministratore può fare rimando, in relazione all’esercizio di tale ufficio, alle norme sull’interdizione, ovvero a quelle sull’inabilitazione, con la conseguenza che, nel primo caso, unico soggetto legittimato ad intervenire in atto è l’amministratore, in rappresentanza del beneficiario ed autorizzato al compimento dell’atto ai sensi delle norme in materia di interdizione giudiziale. Nel secondo caso, invece, ai fini della validità dell’atto, è richiesta la presenza sia dell’beneficiario di amministrazione di sostegno, debitamente autorizzato nel rispetto delle norme sull’inabilitazione, sia del suo amministratore, parlandosi, in questo caso di c.d. atto a complessità diseguale (nel senso che in assenza del consenso negoziale del beneficiario l’atto è radicalmente nullo, mentre la mancanza del consenso dell’amministratore ne comporta l’annullabilità).

Quanto fin qui detto, tuttavia, vale per i tipi di negozi espressamente menzionati nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, mentre è sorta in dottrina ed in giurisprudenza la questione relativa alla capacità del beneficiario di sostegno, nel silenzio, sul punto, del decreto di nomina, di donare e di testare.

Quanto alla capacità di donare, l’interrogativo sorge alla luce del disposto dell’art. 774 c.c., che richiede la piena capacità d’agire del donante: tuttavia, secondo opinione ormai pacifica, in quanto accolta anche dalla Corte Costituzionale con sent. 7 marzo 2019, n. 114, il beneficiario di amministrazione di sostegno è, senza dubbio, capace di donare nel silenzio del decreto di nomina, in ragione non solo del principio ispiratore dell’istituto in esame (cioè quello di comportare la minore limitazione possibile alla capacità d’agire del beneficiario), ma soprattutto del principio generale posto dall’art. 409 comma 1 c.c., ai sensi del quale “il beneficiario conserva la capacità d’agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno” (e, dunque, interviene all’atto di amministrazione da solo, senza l’amministratore, e senza necessità del rilascio di alcuna autorizzazione giudiziale).

In forza del medesimo principio, nonché in ragione della natura tassativa (e dunque non suscettibile di interpretazione analogica o estensiva) delle cause di incapacità di testare di cui all’art. 591 c.c., tra le quali non figura l’amministrazione di sostegno, deve pure essere ritenuta sussistente la capacità di testare del beneficiario di amministrazione di sostegno, il quale interviene all’atto da solo (e, d’altronde, non potrebbe essere diversamente, stante la natura di negozio personalissimo del testamento): si precisa, tuttavia, che, in questo caso, sarà compito del Notaio rogante accertare la capacità naturale del beneficiario di amministrazione di sostegno, il difetto della quale comporterebbe la sua incapacità di testare ai sensi dell’art. 591 n. 3 c.c.