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I negozi giuridici unilaterali in generale.

Il negozio giuridico unilaterale, insieme alle dichiarazioni di scienza, fa parte del più ampio genus degli atti unilaterali conosciuti dal diritto privato.

A differenza dei negozi unilaterali, di cui si dirà diffusamente infra, tuttavia, le dichiarazioni di scienza non consistono in una manifestazione di volontà negoziale, ma nella mera dichiarazione di essere a conoscenza di un fatto o atto giuridico, costituendo, quindi, degli atti giuridici in senso stretto.

Il negozio unilaterale, invece, è un vero e proprio negozio giuridico costituito da una dichiarazione di volontà giuridicamente rilevante, espressa o tacita, di una sola parte: il Codice civile, ad ogni modo, non menziona espressamente tale categoria di negozi, ma questa è comunque pacificamente ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Tale lacuna normativa si riverbera, naturalmente, anche sul profilo della disciplina, per individuare la quale è stato necessario l’intervento integratore e sistematico della dottrina, che ha preso le mosse dalla distinzione tra negozi unilaterali tra vivi ed a causa di morte.

L’unico negozio giuridico mortis causa ammesso nel nostro ordinamento è il testamento, per il quale il Codice civile prevede una disciplina specifica e dettagliata (artt. 587 e ss. c.c.), dunque, l’analisi dottrinale si è concentrata sui negozi unilaterali inter vivos ed ha preso le mosse dall’art. 1324 c.c., che fonda la rilevanza all’interno del nostro ordinamento dei negozi giuridici unilaterali in generale.

L’art. 1324 c.c., fa riferimento ai negozi unilaterali patrimoniali fra vivi, dunque, proprio questi ultimi vanno considerati come dotati di natura negoziale e agli stessi la normativa sul contratto andrà applicata in via diretta; viceversa, la medesima disciplina sarà applicabile analogicamente, quanto ai negozi unilaterali di natura non patrimoniale.

Altra norma di importanza cardine in materia di negozi unilaterali è l’art. 1334 c.c., da cui si desume la distinzione tra negozi giuridici recettizi e non recettizi: i primi sono negozi giuridici che producono effetti solo nel momento in cui giungono a conoscenza del destinatario (ad esempio, la disdetta da un contratto di locazione o affitto), a differenza dei negozi unilaterali non recettizi, che sono subito efficaci, a prescindere che siano o meno conosciuti dal destinatario (ad esempio, la rinuncia all’eredità).

Quanto alla casistica, i più importanti negozi giuridici unilaterali inter vivos sono: l’atto di rinunzia all’eredità da parte di un erede, l’intimazione ad adempiere (o “diffida ad adempiere”), la dichiarazione di non voler adempiere del debitore, l’atto costitutivo di fondazione, l’atto di convalida di un contratto annullabile, l’atto di conferimento, modificazione o revoca di procura da parte del rappresentante/dominus a un proprio rappresentato, l’atto di ratifica di un contratto concluso con un falsus procurator, l’atto di concessione dell’ipoteca, la formulazione della proposta contrattuale, l’accettazione (o rifiuto) della proposta contrattuale effettuata dal proponente all’oblato, l’atto di ricognizione del debito, la remissione del debito, l’atto di recesso da un contratto, l’atto di affrancazione dell’enfiteuta, la dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa in un contratto e, da ultimo, le promesse unilaterali, che saranno oggetto di specifico approfondimento nel prossimo paragrafo.

Le promesse unilaterali in generale.

Ex art. 1987 c.c., la promessa unilaterale è la dichiarazione unilaterale di volontà del promittente con cui egli promette di svolgere una prestazione determinata a favore di un altro ente ed il vincolo sorge quando la dichiarazione giunge a conoscenza del destinatario (dunque, si tratta di un negozio recettizio), il quale non ha il diritto né di accettazione, né di rinunciare alla promessa che gli è stata fatta, potendo solo subire le conseguenze giuridiche della promessa.

La citata norma, tra l’altro, pone il principio di tipicità delle promesse unilaterali, laddove dispone che “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammesse dalla legge”. Tale previsione si spiega con il divieto generale di porre in essere negozi produttivi di effetti nella sfera giuridica del terzo senza il suo consenso e soprattutto con la necessità in ogni caso della sussistenza dell’elemento causale, accompagnato da un interesse meritevole di tutela che sorregge il negozio.

Sotto il profilo dell’inquadramento dogmatico del fenomeno, secondo l’opinione prevalente, che si accoglie, le promesse unilaterali potrebbero rientrare tra le fonti di obbligazioni ed in particolare tra quegli “atti idonei a produrle in conformità dell’ordinamento” a cui fa riferimento l’art. 1173 c.c.

Ciò, tuttavia, è probabilmente vero con riferimento alla promessa al pubblico ex art. 1989 c.c., ma non invece con riguardo alla promessa di pagamento e ricognizione di debito di cui al precedente art. 1988 c.c.

La promessa al pubblico.

La promessa al pubblico è quella species di promessa unilaterale in cui un soggetto promette ad una generalità di soggetti (al “pubblico”, appunto) di eseguire una determinata prestazione nei confronti di chi si trovi in una certa situazione o compia una certa azione.

La disciplina di tale negozio unilaterale è contenuta all’interno del già citato art. 1989 c.c., a mente del quale “colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica.

Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa”.

Proprio l’intrinseca situazione di incertezza che la promessa al pubblico porta con sé vale a giustificare la previsione legislativa di un termine di efficacia (un anno da quando la promessa è stata resa pubblica), in assenza del quale il promittente rischierebbe di rimanere obbligato verso un beneficiario incerto sine die, nonché la possibilità per il promittente, prevista dal successivo art. 1990 c.c., in presenza di una giusta causa, di revocare la promessa, fintantoché l’azione in questione non sia ancora stata compiuta ed il beneficiario sia, quindi, ancora indeterminato.

La promessa al pubblico, dunque, si differenzia dalla donazione sotto un duplice profilo: in primo luogo, la legge non richiede per la validità della promessa al pubblico una forma solenne; in secondo luogo, nel momento in cui la promessa viene formulata la stessa è rivolta verso una platea indeterminata, non essendo dunque ancora individuato l’effettivo beneficiario della stessa.

La promessa al pubblico pure è fattispecie distinta dall’offerta al pubblico ex art 1336 c.c., sotto il profilo del momento della nascita del vincolo, che, in caso di promessa al pubblico nasce, come detto, non appena la promessa viene resa pubblica, mentre, in caso di offerta al pubblico, nel diverso e successivo momento in cui l’offerta viene accettata, con la conseguenza che in quest’ultimo caso la fonte dell’obbligo sarà il contratto perfezionato dall’incontro di proposta e accettazione, mentre nel caso della promessa al pubblico la fonte dell’obbligo è la promessa stessa.

La promessa di pagamento e la ricognizione di debito.

A differenza della promessa al pubblico appena analizzata, promessa di pagamento e ricognizione di debito, previsti ex art. 1988 c.c., non sono negozi giuridici, bensì atti giuridici in senso stretto in carattere non recettizio, tali per cui è sufficiente, ai fini della validità, la volontarietà della dichiarazione e la conoscenza dell’esistenza del debito, non essendo altresì richiesta la volontarietà degli effetti prodotti dalla dichiarazione.

Sotto il profilo della natura giuridica, la promessa di pagamento è un atto meramente dichiarativo, in quanto il rapporto obbligatorio è già sorto o che potrebbe sorgere ed il promittente si limita a promettere di adempiere all’obbligo a cui era già vincolato.

Viceversa, la ricognizione di debito ha natura costitutiva, in quanto il debitore il un rapporto obbligatorio (rapporto fondamentale) dichiara di riconoscere l’esistenza del debito verso il proprio creditore: in particolare, si distingue ricognizione di debito titolata e non titolata in base al fatto che il debitore faccia o meno espresso richiamo al rapporto fondamentale.

L’effetto giuridico prodotto da promessa di pagamento e ricognizione di debito, invero, non è quello di far sorgere un obbligo in capo al soggetto da cui promanano, bensì quello di determinare una astrazione processuale della causa, che si traduce in un’inversione dell’onere della prova, che non grava più sul creditore (che per pretendere il pagamento deve provare il proprio credito), ma sul debitore (che per sottrarsi al pagamento deve provare l’insussistenza del debito).

Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente.

Nell’affrontare il tema dei negozi giuridici unilaterali non è possibile esimersi dall’analisi di una delle figure di più difficile inquadramento giuridico all’interno della disciplina del contratto in generale, cioè il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, ex art 1333 c.c.

In primo luogo, è bene precisare che, secondo opinione unanime, quando il Codice civile parla di obbligazioni all’interno della norma citata usa tale termine in un’accezione atecnica, tale da doversi intendere in realtà nel senso di “prestazioni”, anche diverse dall’assunzione di un obbligo, con la conseguenza di affermare la compatibilità tra lo schema negoziale in discorso e l’effetto traslativo, come descritto ex art. 1376 c.c.

La questione che è stata, ed è tutt’ora, oggetto di accese controversie in dottrina ed in giurisprudenza e che porta alla scelta di analizzare il presente istituto in questa sede attiene alla natura giuridica del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, il quale, secondo una prima impostazione, suffragata anche dalla lettera del Codice civile, sarebbe un contratto, in cui l’accettazione avviene tramite una dichiarazione legalmente tipica coincidente con il mancato rifiuto dell’oblato, mentre, secondo altri Autori, si tratterebbe di un negozio giuridico unilaterale.

La risposta a tale interrogativo, lungi dall’avere un’importanza meramente teorica, porta con sé delle importanti ricadute pratiche.

In primo luogo, è necessario indagare la compatibilità della figura negoziale in oggetto con il principio di tipicità delle promesse unilaterali, di cui si è detto sopra.

Invero, riconoscendo al negozio ex art. 1333 c.c. natura di contratto, la sua ammissibilità è fatta salva necessariamente superando detta necessaria tipicità ed affermando che tale principio riguarda solo lo schema previsto dall’art. 1987 c.c. e non invece i negozi causali e sorretti da un interesse meritevole di tutela, che sarebbero sempre ammissibili, anche se atipici.

Qualora, invece, si accolga la tesi dell’unilateralità, si può affermare l’inammissibilità sic et simpliciter delle promesse unilaterali atipiche, e, per converso, l’ammissibilità di tali fattispecie unilaterali nelle sole ipotesi previste espressamente dal legislatore (quali la fideiussione testamentaria o l’adempimento traslativo, ad esempio, di un negozio fiduciario).

Ulteriormente, l’accoglimento di una tesi o di un’altra riguardo alla natura giuridica del negozio in esame comporta altresì delle conseguenze sul piano redazionale, in quanto, sostenendo la tesi della bilateralità, il consenso del proponente ex art. 1333 c.c. andrà formulato in termini di vera e propria proposta, facendo menzione del fatto che il perfezionamento del negozio si avrà con il mancato rifiuto dell’oblato entro un certo termine; all’opposto, considerandolo un negozio unilaterale, il consenso dovrà essere formulato in termini di trasferimento (o assunzione di un obbligo) con efficacia immediata, ma a condizione risolutiva del rifiuto del beneficiario.

Tali differenze redazionali si ripercuotono anche sotto il profilo della trascrivibilità: invero, riconoscendo all’art. 1333 c.c. natura di negozio unilaterale, questo sarà immediatamente trascrivibile, menzionando nella nota di trascrizione la facoltà dell’oblato di rifiutare, che dunque in ottica pubblicitaria viene trattata alla stregua di una condizione risolutiva (con conseguente eventuale annotazione a margine della prima trascrizione dell’atto pubblico da cui risulta la volontà di rifiutare). Viceversa, sostenendo la bilateralità del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, si potrà procedere alla trascrizione del negozio solo quando sia inutilmente scaduto il termine per il rifiuto dell’oblato, la cui mancanza costituisce elemento perfezionativo della fattispecie.

Ciò che è pacifico è che la figura in esame costituisca un tertium genus tra i negozi onerosi e quelli liberali, essendo sorretta da un interesse gratuito (manca, cioè, un pregiudizio economico in capo all’oblato) ma non liberale (il proponente, nell’obbligarsi, non è mosso da animus donandi, ma da un diverso interesse di natura patrimoniale): una classica ipotesi di quanto detto è, ad esempio, rappresentata da tutti i casi di “prove gratuite”, che l’imprenditore offre al potenziale cliente non per renderlo destinatario di una liberalità, ma per invogliarlo, dandogli la possibilità di sperimentare il servizio offerto, a sottoscrivere poi (a titolo oneroso) un abbonamento.