Principi generali
La vocazione indica l’aspetto soggettivo, ovvero la designazione che può essere fatta per legge o per testamento, di coloro che dovranno succedere.
La delazione, invece, rappresenta l’aspetto oggettivo del fenomeno successorio e va intesa come il complesso dei diritti, dei doveri e delle altre situazioni giuridiche, che viene tutelato alla morte del titolare, per poi essere offerto ad un altro soggetto.
Di norma, questi due fenomeni coincidono nel tempo, in quanto si verificano entrambi nel momento della morte del de cuius, anche se, in alcuni casi, questa coincidenza viene a mancare.
L’esempio tipico è quello del soggetto istituito sotto condizione sospensiva, in quanto è immediatamente vocato, ma sarà delato solo al verificarsi dell’evento dedotto in condizione.
Tuttavia, il problema sorge a causa della terminologia del codice, in quanto l’art 460 codice civile indica con il termine “chiamato”, il soggetto al quale, al momento dell’apertura della successione, spettano i poteri previsti da tale norma e al delato spetta, altresì, il diritto di accettare l’eredità.
Acquisto immediato dei poteri giuridici
La posizione giuridica del delato non è di semplice attesa. Infatti, tale soggetto è immediatamente, anche prima dell’acquisto dell’eredità, titolare di una serie di poteri giuridici.
Egli ha, innanzitutto, il diritto di accettare l’eredità e, in caso di morte senza averla accettata, tale diritto si trasmette agli eredi ai sensi dell’art 479 1° comma codice civile. Inoltre, secondo la tesi preferibile in dottrina entra anche nell’immediato possesso dei beni ereditari e ha la conseguente tutela possessoria ex art 460 1° comma codice civile, nonché i poteri conservativi di vigilanza e di amministrazione, espressamente previsti dalla legge.
In conclusione, si può affermare che il delato all’eredità è titolare di due posizioni giuridiche distinte:
1)Il diritto di accettare l’eredità;
2)La titolarità di un potere amministrativo che gli consente di conservare il patrimonio ereditario.
Problema della delazione a favore di chiamati ulteriori
La delazione in favore dei chiamati ulteriori è una questione tuttora controversa e riguarda coloro che vengono in successione qualora i primi chiamati non vogliano o non possano accettare l’eredità.
In particolare, occorre chiedersi se essi abbiano, fin dal momento dell’apertura della successione, il diritto di accettare l’eredità e se siano abilitati a compiere gli atti di amministrazione ai sensi dell’art 460 codice civile.
Su questa questione si sono formati due opposti orientamenti:
Tesi 1: cd. tesi positiva, sostenuta da una parte della dottrina e dalla giurisprudenza della Cassazione, la quale ritiene che la delazione si verifica immediatamente anche a favore dei chiamati ulteriori, i quali acquisterebbero il diritto di accettare l’eredità al momento dell’apertura della successione. Pertanto, in favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori si realizzerebbe una delazione simultanea, anche se la loro posizione non è perfettamente coincidente, in quanto l’acquisto dei chiamati in subordine è sottoposto alla conditio iuris del mancato acquisto del diritto da parte dei primi chiamati;
Tesi 2: cd. tesi negativa, che secondo autorevole dottrina è preferibile seguire, la quale sostiene che, al momento dell’apertura della successione non vi è ancora la delazione a favore dei chiamati ulteriori, come confermato dagli art 522 e 523 codice civile, dai quali si evince che l’eredità si devolve ai chiamati ulteriori solo se viene a mancare la delazione del chiamato precedente.
Quindi, ai sensi dell’art 479 codice civile, ciò che si trasmette non è l’attuale diritto di accettare l’eredità, ma soltanto l’aspettativa di delazione, in via analoga a quanto avviene nell’ipotesi di istituzione sotto condizione sospensiva. Inoltre, da ciò deriva che i chiamati ulteriori non sono destinatari immediati della delazione, pertanto non possono esercitare i poteri di cui all’art 460 codice civile.
Differenze tra chiamato possessore e chiamato non possessore
Il legislatore ha disciplinato separatamente la figura del chiamato possessore ai sensi degli art 485 e 486 codice civile e quella del chiamato non possessore ai sensi dell’art 487 codice civile, entrambe aventi la stessa veste giuridica ed entrambe abilitate dalla legge a compiere atti di conservazione dei beni.
Il possesso dei beni ereditari, da una parte amplia i poteri del chiamato, dall’altra gli impone particolari obblighi.
I poteri maggiori consistono nel diritto di stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità ex art 486 1° comma codice civile. I doveri consistono, invece, nella redazione dell’inventario entro un certo termine dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità e, qualora il chiamato possessore abbia compiuto l’inventario, nel deliberare entro un termine se accetta o rinuncia all’eredità ex art 485 3° comma codice civile. In entrambi i casi, la sanzione consiste nell’essere considerato erede puro e semplice.
Altra differenza riguarda la nomina del curatore dell’eredità giacente ai sensi dell’art 528 1° comma codice civile, la quale è consentita solo quando il chiamato non è nel possesso dei beni ereditari.
Oltre queste differenze, le due figure di chiamato possessore e chiamato non possessore sono sostanzialmente uguali e possono essere trattate in via unitaria.
Trasmissione del diritto di accettare l’eredità
Nell’ipotesi in cui il chiamato non rinunci all’eredità o non la abbia accettata, ove egli muoia (nei 10 anni in cui è consentita l’accettazione dell’eredità), l’art. 479 codice civile consente la trasmissione del dritto di accettare l’eredità. La trasmissione non amplia la successione.
La trasmissione è un’eccezione al principio di indisponibilità della delazione ed opera solo per le successioni a titolo universale (in favore dell’erede legittimo o universale e secondo la dottrina anche in favore dell’istituito con institutio ex re certa). Se il chiamato muore senza aver accettato l’eredità di un terzo, il diritto di accettare si trasmette agli eredi del chiamato, ovvero, si trasmette l’intera posizione giuridica del chiamato configurandosi una vera e propria “trasmissione della delazione”.
I presupposti oggettivi e soggettivi della trasmissione della delazione sono i seguenti:
Il chiamato muore prima di aver accettato l’eredita senza aver perso il diritto di accettarla;
2) il trasmissario deve essere capace e degno nei confronti del trasmittente (suo dante causa), che deve essere capace e degno, a sua volta verso l’originario de cuius.
Con riferimento agli effetti, invece, si ha:
la prescrizione del diritto di accettare dalla morte del primo de cuius (non da quella del trasmittente);
il trasmissario si trova ad essere destinatario di due distinte delazioni:
a) quella del trasmittente
b) quello del primo de cuius
Per poter acquistare l’eredità di quest’ultimo egli può:
a) compiere due atti di accettazione, in quanto l’accettazione dell’eredità del trasmittente non implica automaticamente l’accettazione dell’eredità del primo de cuius;
b) accettare l’eredità del primo de cuius, con la conseguente accettazione tacita dell’eredità del trasmittente.
3) la rinuncia all’eredità del trasmittente comprende anche la rinuncia all’eredità dell’originario de cuius, mentre la rinuncia all’eredità trasmessa comporta accettazione tacita dell’eredità del trasmittente;
4) in caso di pluralità di trasmissari, qualora alcuni non vogliano partecipare all’eredità dell’originario de cuius si verifica una sorta di accrescimento atecnico, acquistando colui che accetta l’eredità trasmessa tutti i diritti dei pesi in essa contenuti (cfr. 479 2°comma codice civile);
5) la trasmissione prevale sulla sostituzione, sulla rappresentazione e sull’accrescimento, impedendo l’operare dei sopraccitati istituti.
Essa prevale poiché il trasmittente morendo non perde la delazione, presupposto essenziale per l’operare della sostituzione (Cicu).
In dottrina, inoltre, si sono chiesti se: il testatore può, utilizzando la sostituzione, derogare a tale normativa, facendo prevalere la sostituzione?
Tesi 1: Secondo alcuni no: il presupposto della sostituzione è la caducazione della delazione per rinuncia o premorienza, se non cade la delazione non posso sostituire, sarebbe una sorta di fedecommesso. La delazione è indisponibile, e quindi il meccanismo della trasmissione non è derogabile (Bonilini).
Tesi 2: Secondo altri invece, si può intervenire sulla delazione con il meccanismo condizionale. Sottoponendo la delazione in favore dell’istituito alla condizione risolutiva della mancata accettazione personale dell’eredità da parte di quest’ultimo. Ove egli muoia senza aver accettato la delazione non potrà trasmettersi ai suoi eredi. (Salamanca)
In questo caso la sostituzione però è tecnicamente non corretta. Vero è che la sostituzione presuppone la caduta della delazione ma è altrettanto vero che la sostituzione presuppone una prima istituzione “pura” (si tratterebbe di una sostituzione impropria). Utilizzando il meccanismo condizionale devo far partire una istituzione condizionata sospensivamente all’evento dedotto in condizione risolutiva, soluzione giuridicamente più tecnica.
Il possesso del chiamato all’eredità
Dispone il 1° comma dell’art 460 codice civile che il chiamato all’eredità può esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza il bisogno di materiale apprensione. Lo scopo di questa disposizione è quello di impedire che, nell’arco di tempo tra la delazione e l’accettazione, l’eredità venga lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative.
Questa formulazione, che esclude qualunque riferimento al passaggio o all’acquisto del possesso, ha riproposto il problema se al chiamato competa solo la tutela possessoria senza che egli abbia un effettivo possesso o se, invece, egli acquisti fin dall’apertura della successione, il possesso dei beni ereditari.
Sul punto si sono contrapposte due tesi:
Tesi 1: cd. teoria negatrice del possesso, seguita dalla prevalente giurisprudenza, la quale afferma che il nuovo codice ha voluto abbandonare ogni residuo richiamo all’istituto della saisine e che, per dare al chiamato modo di esercitare azioni possessorie a difesa dell’eredità, la legge non ha ritenuto necessario ricorrere alla finzione di una trasmissione anticipata del possesso, ma ha autorizzato l’esperimento delle azioni stesse svincolate da tutti i loro presupposti.
Tesi 2: cd. teoria affermatrice del possesso, che ora sembra essere preferibile, soprattutto dalla dottrina prevalente, la quale sostiene che nonostante il diverso intendimento dei compilatori, il nuovo codice civile, con l’affermare che il chiamato può esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, “senza bisogno di materiale apprensione”, non ha sostanzialmente innovato la disciplina del vecchio codice, poiché, in base al modo in cui la norma è stata formulata, si deve ritenere che il possesso del defunto, per effetto della semplice delazione, passi ipso iure al chiamato.
Inoltre, la dottrina distingue il possesso cd. giuridico previsto dall’art 460 codice civile, dal cd. possesso materiale dei beni ereditari. Nel secondo caso, la legge si riferisce alla relazione materiale o di fatto tra il soggetto e i beni appartenenti all’asse ereditario, il quale si distingue dal possesso che si trasferisce ipso iure in capo al chiamato.
Poteri di amministrazione del chiamato
L’art 460 codice civile dispone che il chiamato all’eredità, oltre ad esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea e può, altresì, essere autorizzato dall’autorità giudiziaria a vendere beni che si possono conservare o la cui conservazione comporta un grave dispendio, come previsto dal 2° comma del suddetto articolo.
Gli stessi poteri spettano al chiamato possessore il quale può, inoltre, stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità ai sensi del 1° comma dell’art 486 codice civile.
La triplice distinzione dei poteri fatta dal legislatore ha in comune lo scopo di provvedere alla conservazione del patrimonio ereditario, in attesa dell’accettazione.
Posizione giuridica del chiamato amministratore e rapporti con gli altri amministratori dell’eredità
E’ tuttora discusso se il chiamato abbia solo il diritto o anche il dovere di amministrare i beni ereditari, nei limiti stabiliti dall’art 460 codice civile.
In dottrina, sembra prevalere la tesi secondo cui il chiamato, in ogni caso, ha solo il potere, ma non l’obbligo di amministrare i beni ereditari, a differenza del curatore dell’eredità giacente ex art 528 codice civile e dell’esecutore testamentario ex artt 700 ss codice civile.
Non avendo alcun obbligo di amministrazione, egli non è considerato titolare di una curatela, ovvero di un officium, in quanto il chiamato non può essere responsabile di omessa amministrazione, potendo ignorare l’esistenza di una chiamata ereditaria in suo favore e l’esistenza di determinati beni ereditari. Il chiamato, altro non è che un soggetto cui la legge attribuisce il potere di esercitare determinate facoltà per provvedere alla conservazione del patrimonio ereditario senza divenire per forza erede e, di conseguenza, non incorre in alcuna responsabilità se non amministra i beni ereditari.
Per quanto concerne i rapporti con altri amministratori dell’eredità:
1)con il curatore dell’eredità giacente, costui prevale per legge sul chiamato all’eredità, il quale non può compiere un’attività consentitagli quando si è provveduto alla nomina di un curatore dell’eredità;
2)con l’esecutore testamentario è, invece, possibile la coesistenza, perché quest’ultimo non amministra necessariamente tutti i beni ereditari, ma solo quelli attinenti alla sua funzione e, anche se l’esecutore dovesse amministrare tutti i beni ereditari, non si esclude l’intervento del chiamato, il quale compirà attività di vigilanza sull’apposizione dei sigilli e all’inventario, potendo chiedere l’esonero dell’esecutore nei casi previsti dall’art 710 codice civile.
Particolari figure di chiamato
Nella prassi posso esserci particolari figure di chiamato:
1)Chiamato incapace: in questo caso, la dottrina prevalente e la giurisprudenza sostengono che avendo il chiamato solo il potere, ma non anche il dovere di amministrare i beni ereditari, egli potrà esercitarlo anche a mezzo di legali rappresentanti, i quali dovranno anche richiedere le necessarie autorizzazioni all’autorità giudiziaria competente ex art 747 codice di procedura civile e, secondo la dottrina prevalente, in applicazione del 2° comma di tale norma non è richiesto il parere del Giudice Tutelare, in quanto i beni ereditari ancora non appartengono all’incapace, essendo un semplice chiamato;
2)Chiamato scomparso: si applica la disciplina di cui all’art 48 codice civile, se scompare prima dell’accettazione dell’eredità e il provvedimento che autorizza il soggetto a compiere gli atti amministrativi dei beni ereditari deve essere rilasciato dal giudice del luogo in cui è stata aperta la successione;
3)Chiamato assente: anche qui si applica la disciplina ex art 49 codice civile, individuando il soggetto che amministrerà i beni ereditari, mentre l’autorità giudiziaria competente ad autorizzare i relativi atti verrà individuata ai sensi dell’art 460 codice civile dal tribunale del luogo di apertura della successione.
Cessazione della posizione giuridica del chiamato
Le cause che determinano la cessazione della posizione giuridica del chiamato sono differenti a seconda che il chiamato sia stato immesso o meno nel possesso dei beni ereditari:
1)Chiamato non possessore: la prima causa di cessazione si ha con l’accettazione dell’eredità, la quale determina anche la fine della vacanza ereditaria; altra causa è la rinuncia all’eredità, la quale si limita a rendere inefficace la delazione con effetto ex tunc per il rinunziante, al quale subentrano i chiamati ulteriori; ed, infine, la nomina del curatore dell’eredità giacente, che non elimina né la vacanza ereditaria, né la vocazione, ma si limita a privare il chiamato dei suoi poteri amministrativi;
2)Chiamato possessore: anche qui le principali cause di cessazione della posizione di chiamato sono l’accettazione e la rinuncia all’eredità; tuttavia tale soggetto può diventare erede puro e semplice anche senza accettazione, per non aver redatto l’inventario nei termini prescritti dalla legge e per aver omesso di dichiarare, entro 40 giorni dal compimento dell’inventario, l’intenzione di accettare con beneficio. In questo caso non può essere nominato un curatore dell’eredità giacente.
Se il chiamato all’eredità rinuncia alla stessa, le spese sostenute per gli atti di conservazione da lui compiuti con i poteri conferitigli dall’art 460 codice civile sono a carico dell’eredità.
La previsione di un diritto al rimborso implica per il chiamato che ha esercitato i poteri di cui all’art 460 codice civile, l’obbligo di rendiconto.
Infine, al chiamato non spetta alcun compenso per l’attività svolta ai sensi della suddetta norma.
