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Diritto di opzione e sovrapprezzo: nozione e ratio.

Il diritto di opzione (o diritto di sottoscrizione, nelle s.r.l.) è il diritto dei soci di sottoscrivere, in via preferenziale, ed in misura proporzionale alla partecipazione detenuta, eventuali aumenti di capitale sociale a titolo oneroso deliberati dalla società.

La dottrina ha lungamente dibattuto sulla natura giuridica di tale diritto, definito ex art. 2441 del Codice civile come “opzione”, domandandosi se si tratti di una opzione in senso tecnico (cioè, ai sensi dell’art. 1331 del Codice civile, il contratto con cui le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione, che si considera proposta irrevocabile, mentre l’altra abbia la facoltà di accettarla o meno), ovvero, piuttosto di un diritto di prelazione.

I sostenitori della tesi secondo cui si tratterebbe di un diritto di prelazione rilevano come, a differenza di quanto avviene con l’opzione civilistica, in sede di aumento oneroso, sia necessaria l’accettazione della società ai fini della validità della sottoscrizione dell’aumento in esercizio dell’opzione: in altre parole, il socio opzionario non può sottoscrivere la parte di aumento offertagli tramite un negozio unilaterale, essendo invece necessario il consenso della società.

Tuttavia, secondo l’opinione oggi senza dubbio prevalente, il diritto di sottoscrizione dei soci è un diritto di opzione in senso tecnico, in quanto la pretesa vantata dal socio è qualificabile come un diritto potestativo verso la società, che si trova in una posizione di soggezione, e non come un mero credito ad essere preferiti.

Viceversa, ha natura di diritto di prelazione, inteso come diritto di credito verso la società ad essere preferito nell’acquisto, il diritto che vanta il socio che ha esercitato di diritto di opzione sulle azioni rimaste “inoptate” dagli altri soci (cosiddetta prelazione sull’inoptato): tale diritto, tuttavia, sorge solo a condizione che il socio dichiari di volersene avvalere contestualmente all’esercizio del diritto di opzione.

Poste queste premesse teoriche, è indispensabile soffermarsi sulla ratio del diritto di opzione, o sottoscrizione, che si ritrova in uno dei due limiti al principio maggioritario, cioè il principio di parità di trattamento.

Invero, è opinione consolidata quella per cui, nelle società di capitali (o anche nelle società di persone, in caso di adozione volontaria del principio maggioritario) non vi sia alcun diritto
individuale dei soci che non sia limitabile dalla maggioranza, a condizione che siano rispettati i due limiti consistenti nell’interesse sociale e nella parità di trattamento.

Ciò, declinato in relazione all’aumento oneroso, fa sì che, in caso di aumento oneroso deliberato a maggioranza, debba essere garantito al socio la possibilità di detenere, all’esito dell’aumento, il medesimo peso in società che aveva prima della delibera, cosa si realizza, appunto, offrendo a ciascuno, in opzione, una quota dell’aumento deliberato proporzionale alla partecipazione detenuta.

Tuttavia, dal momento che il diritto di opzione è un diritto che, come osservato, è previsto in favore dei soli soci, questo può essere escluso in caso di delibera di aumento approvata all’unanimità, ovvero il singolo socio può rinunciare al proprio diritto, oppure cederlo ad un terzo, monetizzandolo.

Si precisa però che, mentre l’aumento offerto in opzione è solitamente offerto ai soci ad un prezzo pari al valore nominale delle nuove azioni sottoscritte, viceversa, in caso di esclusione del diritto di opzione, le nuove azioni vengono emesse con sovrapprezzo, cioè ad un prezzo superiore al valore nominale delle azioni.

Per comprendere la ratio del sovrapprezzo e, in generale, la logica che risiede dietro all’individuazione del prezzo di emissione delle nuove azioni è necessario fare un passo indietro,
per definire due concetti che svolgono un ruolo cardine nella trattazione del presente argomento, cioè il valore nominale ed il valore reale delle azioni.

Il valore nominale delle azioni si ottiene dividendo la cifra del capitale sociale per il numero delle azioni in circolazione, pertanto, al pari del capitale sociale, è un valore storico, in quanto la cifra del capitale è fissata dalla società al momento della costituzione e subisce delle variazioni solo in conseguenza di apposite delibere, di aumento o riduzione.

Il valore reale delle azioni, invece, si ricava la cifra del patrimonio sociale per il numero delle azioni in circolazioni, dunque, la pari del patrimonio, il valore reale è un valore dinamico, cioè soggetto a continue variazioni, in base al flusso di cassa della società.

Conseguentemente, capitale e patrimonio coincidono sempre al momento della costituzione della società, ma finiscono poi per divergere nel momento in cui la società inizia ad operare e,
solitamente, finché una società è in bonis, il patrimonio è superiore al capitale sociale, e dunque il valore reale delle azioni è superiore a quello nominale, in quanto la società non solo non registra perdite, ma ha anche delle riserve, che sono state create grazie alla proficua attività della società, la quale è, a sua volta, possibile solo grazie ai conferimenti ab origine effettuati dai soci e dunque, indirettamente, è “merito dei soci” se la società ha accumulato delle riserve e ciò deve tradursi nel valore della partecipazione del socio.

Ebbene, il principio cardine da tenere a mente nell’affrontare il tema della fissazione del prezzo di emissione di nuove azioni a titolo oneroso è, dunque, quello per cui, dopo l’aumento non offerto in opzione, non solo il valore nominale, ma anche il valore reale delle azioni dei soci precedenti deve essere rimasto immutato, o, comunque, non deve essersi ridotto.

In conclusione, la previsione del sovrapprezzo, sempre ammissibile in via facoltativa, è obbligatoria (quanto meno nelle s.p.a., mentre ciò è discusso nelle s.r.l.: sul punto, si rinvia al prossimo paragrafo) nel caso in cui ricorrano, cumulativamente, due condizioni: delibera di aumento con esclusione (o limitazione del diritto di opzione) e patrimonio sociale superiore al capitale sociale.

Dunque, il quantum del sovrapprezzo deve essere determinato individuando la cifra (ulteriore al valore nominale delle azioni) che consente di aumentare il patrimonio sociale quanto basta per mantenere invariato il valore reale delle azioni. Si consideri, ai fini di una maggiore chiarezza, il seguente esempio numerico: la Alfa s.p.a. ha capitale sociale pari ad euro 100.000, suddiviso in 100.000 azioni ordinarie, del valore nominale di un euro ciascuna, e riserve per euro 400.000, dunque, il patrimonio sociale è pari ad euro 500.000 ed il valore reale di ogni azione è pari a cinque euro.

Se la Alfa s.p.a. deliberasse un aumento del capitale oneroso da euro 100.000 ad euro 200.000, con esclusione dell’opzione, senza sovrapprezzo (e dunque al prezzo di euro 100.000), il patrimonio sociale diventerebbe pari ad euro 600.000, dunque le 200.000 azioni ordinarie in circolazione avrebbero valore reale pari a tre euro ciascuna: il valore reale delle azioni quindi diminuirebbe.

Se invece Alfa s.p.a. deliberasse il medesimo aumento di capitale a titolo oneroso da euro 100.000 ad euro 200.000, con esclusione dell’opzione, con sovrapprezzo pari ad euro 400.000 (e quindi al prezzo complessivo di euro 500.000, sommati i 100.000 pari al valore nominale delle nuove azioni emesse in sottoscrizione), il patrimonio della società diventerebbe pari ad euro 1.000.000, dunque le 200.000 azioni ordinarie in circolazione avrebbero valore reale pari a cinque euro ciascuna: il valore reale delle azioni quindi rimarrebbe invariato.

Disciplina nelle società di capitali, con differenze tra s.p.a. e s.r.l.

Esauriti i principi generali in materia di diritto di opzione e di fissazione del sovrapprezzo, si procederà ora alla analisi della relativa disciplina codicistica in materia.

Ai sensi dell’art. 2441 del Codice civile, è disciplinato il diritto di opzione in materia di s.p.a., applicabile anche alle s.a.p.a.

In primo luogo, la norma si apre precisando che titolari del diritto di opzione sono non solo i soci, ma anche i titolari di obbligazioni convertibili, sulla base del rapporto di cambio, in quanto le obbligazioni convertibili attribuiscono un diritto di credito (alla restituzione del finanziamento) con opzione di novazione causale (da creditore della società a socio della stessa).

Procede, poi, la norma disponendo che l’offerta di opzione deve essere resa conoscibile agli opzionari con avviso pubblicato sul sito internet della società e deve essere dato ai soci un termine per l’esercizio del diritto non inferiore a quattordici giorni dalla pubblicazione dell’offerta.

Il diritto di prelazione sull’inoptato è invece previsto dal terzo comma della norma in commento, che prevede espressamente che la richiesta di esercitare la prelazione deve necessariamente essere fatta contestualmente all’esercizio dell’opzione.

Quanto, invece, alla esclusione (o limitazione) del diritto di opzione, l’art. 2441 del Codice civile prevede tre ipotesi in cui ciò è possibile, di cui, rispettivamente al comma 4 (esclusione dell’opzione per conferimento in natura), comma 5 (esclusione dell’opzione per interesse della società, che viene, solitamente, individuato nell’interesse sociale a fare entrare in società un terzo) e comma 8 (esclusione dell’opzione per offerta dell’aumento ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate).

Tali ipotesi, secondo opinione unanime, hanno natura tassativa, pertanto, l’opzione non potrebbe validamente essere esclusa per ragioni diverse.
Importanza centrale ha, invece, il sesto comma dell’articolo in commento, che prevede un aggravamento delle formalità richieste ai fini dell’aumento, quando questo viene deliberato con esclusione o limitazione dell’opzione.

A tal fine, il Codice civile prevede, da un lato, l’obbligo degli amministratori di predisporre una relazione sulle ragioni dell’esclusione e i criteri usati per la determinazione del prezzo, che deve essere comunicata all’organo di controllo (collegio sindacale, o consiglio di sorveglianza), il quale, entro quindici giorni, deve esprimere un parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni: la relazione e il parere devono rimanere depositati presso la sede sociale e pubblicati sul sito internet della società per essere conoscibili ai soci.

Si precisa, che tutte le esposte formalità, essendo previste nell’esclusivo interesse dei soci, sono rinunciabili da questi ultimi all’unanimità.

Del pari, è rinunciabile il sovrapprezzo, pure previsto espressamente dall’articolo in commento al comma quarto (ma senza dubbio applicabile a tutti i casi di esclusione o limitazione dell’opzione), ove prevede che il prezzo di emissione delle azioni “corrisponda al valore di mercato delle azioni” (cioè al valore reale delle stesse.)

Diversa è, invece, la disciplina prevista in relazione alle s.r.l., contenuta al primo comma dell’art. 2481-bis del Codice civile, ai sensi del quale è espressamente prevista l’esclusione del diritto di sottoscrizione dei soci (che, al netto della diversa nomenclatura è esattamente coincidente con il diritto di opzione) per offerta di quote di nuova emissione a terzi.

Nelle s.r.l., tuttavia, l’esclusione o la limitazione del diritto di sottoscrizione sono valide in presenza di apposita clausola statutaria che prevede tale possibilità, e comunque attribuendo il diritto di recesso (inderogabile) ai soci che non concorrono alla delibera di aumento: secondo condivisibile opinione è, comunque, sempre possibile approvare la delibera di aumento escludendo l’opzione anche in assenza della clausola statutaria astratta, a condizione che la delibera sia approvata all’unanimità dei soci.

Dato che l’art. 2481-bis del Codice civile, a differenza del sopra analizzato art. 2441 c.c., prevede espressamente la possibilità di escludere il diritto di sottoscrizione solo per offerta di quote a terzi, la dottrina si è chiesta se tale possibilità si possa considerare ammissibile anche per consentire il conferimento in natura da parte di un socio ed a tale interrogativo deve essere data, secondo l’opinione prevalente, risposta positiva (fermo la presenza della clausola statutaria che lo consente ed il diritto di recesso dei soci che non concorrono alla delibera).

Il secondo comma del citato art. 2481-bis del Codice civile, in merito al contenuto della delibera di aumento, parla poi di “eventuale sovrapprezzo”: gli Autori si sono lungamente interrogati sulla effettiva portata di tale dato letterale, chiedendosi se il legislatore intendesse disporre che in caso di s.r.l., a differenza di quanto visto per le s.p.a., anche in caso di esclusione del diritto dell’opzione e di valore del patrimonio superiore al valore del capitale, la previsione del sovrapprezzo è meramente facoltativa (in questo senso si è espresso ad esempio il Consiglio Notarile di Milano con la Massima n. 156), ovvero se il codice parli di sovrapprezzo “eventuale”, volendosi riferire altresì alle ipotesi in cui difettano i presupposti della obbligatorietà come sopra delineati.

La norma in commento pone poi una importante limitazione oggettiva dell’ambito all’interno del quale è ammissibile l’esclusione del diritto di sottoscrizione, che, per espressa previsione non può essere escluso nel caso di cui all’art. 2482-ter del Codice civile, cioè in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, che lo hanno ridotto al di sotto del minimo legale e contestuale ricapitalizzazione.

La ratio del divieto di escludere il diritto di sottoscrizione dovrebbe in questo caso ritrovarsi nella circostanza che, dato che il minimo legale del capitale sociale delle s.r.l. è oggi pari ad un euro, la riduzione al di sotto del limite legale di fatto coincide sempre con l’azzeramento del capitale, con la conseguenza che, se l’aumento oneroso deliberato per ricapitalizzare la società non fosse offerto in sottoscrizione ai soci, ma ad un terzo, i primi si vedrebbero tagliati fuori dalla società, il che è ammissibile.

In forza del medesimo principio, l’esclusione del diritto di opzione in caso di azzeramento del capitale sociale e conseguente ricapitalizzazione viene considerata illegittima, pur nel silenzio del Codice civile, anche in s.p.a. e in s.a.p.a., ma, in queste ultime, stante l’assenza di un divieto legale, si tende ad ammettere, anche in questo caso, e con le formalità sopra esposte, la limitazione del diritto di opzione dei soci, che quindi, all’indomani della ricapitalizzazione, faranno ancora parte della società, ancorché con una partecipazione inferiore.

Configurabilità del diritto di opzione nelle società di persone.

La materia del diritto di opzione e del pari, dunque, la questione del sovrapprezzo, non sono trattate, invece, all’interno della disciplina delle società di persone.

La ragione di ciò si rinviene, in realtà, implicitamente, nelle sopra esposte considerazioni teoriche sulla ratio del diritto di opzione.

Invero, come detto, il diritto di opzione è necessario per tutelare la parità di trattamento tra i soci e tutelare la minoranza che non abbia concorso all’approvazione della delibera di aumento. Ebbene, una tale esigenza non è, di regola, avvertita nelle società di persone, dove, ai sensi dell’art. 2252 del Codice civile, tutte le modifiche, di natura soggettiva ed oggettiva dei patti sociali (ivi incluse, quindi, le modifiche del capitale sociale) devono essere decise dall’unanimità dei soci, con la conseguenza che non esiste una minoranza da tutelare dalle decisioni della maggioranza.

D’altronde, anche trattando delle società di capitali si è sottolineato come la previsione del diritto di opzione, oppure il sovrapprezzo in caso di esclusione di quest’ultimo, possano essere esclusi in caso di delibera in tal senso approvata all’unanimità.

Per converso, si deve ritenere che, nel caso in cui i patti sociali di una società di persone prevedano, in deroga al citato art. 2252 del Codice civile, l’adozione del principio maggioritario, in sede di aumento oneroso sarà, anche in queste società, necessario tutelare la minoranza, con gli strumenti del diritto di opzione e del sovrapprezzo.

Quanto alle formalità per la eventuale limitazione o esclusione del diritto di opzione, infine, queste saranno verosimilmente disciplinate dai patti sociali, sulla base della autonomia contrattuale dei soci.