Il contenuto del divieto e la sua ratio
Ai sensi dell’art. 458 del Codice civile, “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
La norma riportata pone il divieto di patti successori, che tende a garantire i principi fondanti del diritto successorio e la cui natura inderogabile (salvo quanto previsto con riferimento al patto di famiglia, su cui ci si soffermerà infra), pertanto, non è mai stata revocata in dubbio.
La ratio del divieto in esame è, invero, composita, potendosi sul punto osservare quanto segue.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 457 comma 1 del Codice civile, l’eredità si devolve per legge o per testamento, tertium non datur: il divieto di patti successori, dunque, si pone come necessario corollario della necessaria dualità delle possibili fonti della successione, esplicitando che la devoluzione ereditaria non può avere fonte in un negozio giuridico diverso dal testamento.
In secondo luogo, ai sensi dell’art. 587 del Codice civile, il testamento è definito come un negozio “revocabile”, ribadendo, poi, il successivo art. 679 del Codice civile che “non si può in alcun modo rinunciare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie”. Ebbene, se si ammettesse la possibilità di manifestare la volontà testamentaria in un negozio diverso dal testamento e, nella specie, in una convenzione (cioè un accordo almeno bilaterale), tale negozio non potrebbe essere revocabile unilateralmente, con violazione del richiamato principio inderogabile di revocabilità.
Ulteriormente, il divieto in discorso, qualora si riferisca ai patti successori dispositivi o rinunciativi (come infra definiti) è, tra l’altro, giustificato dalla volontà del legislatore di evitare il cosiddetto votum captandae mortis (in quanto colui che dispone dell’eredità in un soggetto ancora in vita è come se ne “invocasse”, in qualche modo, la morte), nonché di tutelare soggetti possibilmente inesperti o prodighi (in quanto chi dispone dell’eredità in un soggetto ancora in vita rischierebbe di obbligarsi in modo vincolante verso un terzo a disporre di un bene che non può sapere quando e se erediterà dall’attuale proprietario).
I tipi di patti successori
Sotto il profilo istituzionale, poi, emerge dal sopra riportato art. 458 del Codice civile che i patti successori, tutti parimenti nulli, possono essere di tre tipi.
Il primo periodo della norma in esame fa riferimento ai patti cosiddetti istitutivi, per tali intendendosi dei negozi diversi dal testamento ma sorretti da causa di morte, in cui, cioè, la causa del negozio consiste nella disposizione, a titolo universale o particolare, per il tempo in cui l’autore avrà cessato di vivere, della propria successione.
Si parla, invece, di patti successori dispositivi o rinunciativi (previsti dal secondo periodo dell’art. 458 del Codice civile) in presenza di negozi tra vivi, che possono essere unilaterali o bilaterali, con cui taluno dispone di, o rinuncia a, diritti che dovrebbero spettargli su una successione altrui ancora non aperta.
Le ipotesi anomale di patti successori.
Oltre alle tre esposte figure tipiche di patti successori vi sono, poi, alcune ipotesi cosiddette anomale, che, pur non rientrando in nessuna delle esposte categorie di patti, sono del pari nulle ai sensi dell’art. 458 del Codice civile.
Questo è il caso, ad esempio, dei patti successori obbligatori: tutti e tre i tipi di patti successori (istitutivi, dispositivi e rinunciativi) possono essere strutturati come negozi ad effetti reali, o come negozi ad effetti obbligatori ed in entrambi i casi sono senza dubbio nulli ex art. 458 del Codice civile.
In caso di patto successorio obbligatorio, tuttavia, si pone il problema della sorte del negozio esecutivo del patto medesimo, dovendosi sul punto distinguere.
La validità del negozio esecutivo di un patto successorio obbligatorio istitutivo, secondo l’opinione prevalente, deve essere valutata sulla base dell’art. 626 del Codice civile, dunque, sarà nullo solo se il motivo illecito (dare esecuzione ad un accordo obbligatorio nullo) è determinante e risultante dal testamento, essendo valido qualora mancasse uno di questi due presupposti.
È, infatti, minoritaria la tesi secondo cui tale negozio esecutivo sarebbe annullabile per errore sul motivo ex art. 624 del Codice civile.
Il negozio esecutivo di un patto successorio obbligatorio dispositivo è, invece, pacificamente, non nullo, ma annullabile per errore ex art. 1429 del Codice civile, in quanto la volontà del suo autore è viziata dalla erronea convinzione di essere obbligato ad adempiere il precedente negozio obbligatorio, il quale, in realtà, essendo nullo, non può costituire fonte di alcun obbligo.
Da ultimo, il negozio esecutivo di un patto successorio obbligatorio rinunciativo deve essere considerato valido, in quanto il Codice civile non prevede l’annullabilità per errore della rinuncia all’eredità (e dunque deve considerarsi inammissibile anche l’annullabilità per errore della rinuncia al legato, che mutua la disciplina della rinuncia all’eredità, non essendo prevista una normativa ad hoc).
Sono, poi, sempre e comunque nulli ex art. 458 del Codice civile i patti successori indiretti: un caso è, ad esempio, il contratto in favore di terzo ai sensi dell’art. 1411 del Codice civile in cui lo stipulante si riserva di nominare il terzo beneficiario in un successivo testamento.
Diverso è, invece, il caso del contratto in favore di terzo in cui la prestazione deve essere realizzata dopo la morte dello stipulante, previsto dall’art. 1412 del Codice civile, su cui ci si soffermerà in seguito, in quanto, in questo caso, la morte dello stipulante non permea la causa del negozio, ma costituisce un mero termine di adempimento della prestazione.
Da ultimo, è necessario indagare il rapporto tra il divieto di patti successori e le convenzioni matrimoniali e, nella specie, convenzioni volte all’instaurazione di un regime di comunione convenzionale tra i coniugi in cui siano ricompresi anche beni di provenienza successoria, ordinariamente esclusi dalla comunione legale dei beni ex art. 179 comma 1 let b) del Codice civile.
Sul punto, deve essere fatta una prima distinzione: da un lato, sicuramente nessun problema si pone se i coniugi vogliono comprendere nella comunione convenzionale tra loro dei beni acquistati da uno dei due in forza di una successione già aperta, appunto in quanto l’acquisto si è ormai definitivamente realizzato, non ricorrendo dunque la ratio del divieto di patti successori; dall’altro lato, ben più problematica risulta la possibilità di includere nella comunione convenzionale beni derivanti da successioni ancora non aperte, rilevando la dottrina due ostacoli a tale possibilità.
In primo luogo, secondo alcuni, una convenzione di tal genere sarebbe nulla per violazione del divieto di donazione di cosa futura, intendendo il bene quale soggettivamente futuro e considerando la convenzione matrimoniale come una liberalità indiretta ex art. 809 del Codice civile fatta dal coniuge che dovrebbe in futuro ereditare in favore dell’altro: ebbene, tale obiezione, ancorché autorevolmente sostenuta, può essere superata affermando che il citato divieto si applica alle sole donazioni dirette, non anche alle liberalità indirette, in quanto l’art. 809 del Codice civile non vi rinvia.
Il secondo ostacolo è, invece, ravvisabile nel divieto di patti successori, che, secondo una parte della dottrina, sicuramente più tuzioristica, si applica alle convenzioni in discorso, non la conseguenza di non renderle mai ammissibili. Secondo altra opinione, invece, il divieto ex art. 458 del Codice civile si applicherebbe alle sole convenzioni matrimoniali volte ad includere nella comunione tra coniugi i beni derivanti dalla successione non ancora aperta di uno specifico soggetto; viceversa, secondo questi Autori, il divieto non si applicherebbe alle convenzioni programmatiche, volte a ricomprendere nella comunione tra i coniugi, genericamente, tutti i beni che saranno in futuro acquistati dai coniugi per successione a causa di morte, che sarebbero, pertanto, ammissibili.
Le figure controverse di patti successori
La dottrina si è, poi, interrogata su una serie di figure controverse di negozi, che saranno di seguito analizzate, al fine di valutarne la compatibilità o meno con il divieto di patti successori.
Donazioni.
Sul punto, la dottrina è unanime nell’affermare la nullità ex art. 458 del Codice civile della donazione mortis causa, in cui, cioè, la morte del donante permea la causa della donazione stessa.
Viceversa, devono ritenersi ammissibili le donazioni cum moriar (“quando morirò”), si moriar (“se morirò”, da intendersi come “se morirò entro il…”) e si praemoriar (“se premorirò”), in quanto la morta del donante rimane estranea al meccanismo causale che sorregge il negozio, costituendo oggetto solo di un elemento accidentale del negozio; nello specifico, la prima è una donazione a termine iniziale, la seconda è una donazione sottoposta, congiuntamente ad una condizione sospensiva e ad un termine iniziale, mentre la terza è una donazione a condizione sospensiva.
Mandati.
Anche in relazione ai mandati, la dottrina afferma in modo unanime la nullità per violazione del divieto di patti successori del mandato in cui la morte del mandante permea la causa del negozio, che viene definito mandato mortis causa (cioè il mandato inter vivos, bilaterale, volto al compimento di un’attività giuridica): a tal fine, dunque, il mandante può utilizzare solo lo strumento del testamento, come infra precisato.
Sono, invece, ritenuti validi i mandati post mortem exequendum (cioè un incarico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività materiale, che può essere conferito sia con atto tra vivi sia per testamento in cui si prevede che la morte del mandante non sia causa di estinzione del mandato, in deroga all’art. 1722 n. 4 del Codice civile) e post mortem in senso stretto (cioè l’incarico di svolgere un’attività giuridica dopo la morte del mandante, che si configura come uno iussum unilaterale e può essere perciò contenuto sia in un atto tra vivi che in un testamento).
Clausole di continuazione facoltativa, obbligatoria e automatica.
Altre figure in relazione alle quali la dottrina si è tradizionalmente chiesta se si potesse ravvisare una violazione del divieto di patti successori sono le cosiddette clausole di continuazione, cioè le clausole che possono essere previste nei patti sociali di una società di persone con cui si prevede, in deroga all’art. 2284 del Codice civile, che alla morte di uno dei soci la sua partecipazione sia acquistata dai suoi successori (che viceversa, nel silenzio dei patti sociali e salva diversa volontà dei soci superstiti avrebbero diritto alla sola liquidazione della quota del defunto).
In realtà, l’interrogativo della dottrina deve essere risolto in senso negativo, in quanto, in primo luogo, tali clausole sono efficaci fin da subito, non essendo quindi sorrette da causa di morte e, in secondo luogo, in quanto queste clausole non privano il testatore del diritto di disporre della partecipazione e dei diritti ad essa connessi nei confronti di chi desidera, derogando, come detto, alla sola disciplina di diritto societario.
Prestazione da eseguire dopo la morte dello stipulante ex art. 1412 del Codice civile.
L’art. 1412 del Codice civile espressamente prevede la possibilità che, in caso di contratto in favore di terzo, la prestazione sia eseguita in favore del beneficiario solo dopo la morte dello stipulante. Sebbene una parte degli Autori abbia ritenuto di rinvenire in tale norma un patto successorio eccezionalmente valido, tale opinione non appare meritevole di accoglimento, dovendo piuttosto affermarsi, come sopra anticipato, che in questo caso la morte dello stipulante costituisce un semplice termine di adempimento della prestazione, rimanendo, dunque, del tutto estranea al meccanismo causale che sorregge il negozio.
Trust in funzione successoria.
Si definisce trust in funzione successoria quel trust costituito con atto tra vivi, che prevede che la vicenda si espleti in favore del beneficiario solo dopo la morte del settlor (ad esempio, Tizio costituisce in trust la casa in Roma, nominando trustee Caio, al quale, a tal fine trasferisce la proprietà della casa, con il compito gestire la casa medesime e trasferirla, alla morte di Tizio, al beneficiario Sempronio). Secondo un noto studio del Consiglio Nazionale del Notariato del 2019 tale trust è valido e non viola il divieto di patti successori per due motivi: in primo luogo, la costituzione del trust realizza una segregazione patrimoniale, non un’attribuzione a causa di morte (dunque, deroga all’art. 2740, non all’art. 458 del Codice civile); in secondo luogo, il trasferimento del bene vincolato e la creazione delle posizioni giuridiche di settlor e trustee sono immediati, non causalmente connessi alla morte del disponente.
L’unica deroga ammessa al divieto di patti successori
In conclusione, com’è manifesto dal tenore letterale del più volte citato art. 458 del Codice civile, il legislatore ha recentemente previsto un’ipotesi di deroga al divieto in esame (“Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti…”), consistente nel patto di famiglia, il quale, sarebbe stato, nel silenzio della Riforma, certamente nullo per violazione del divieto di patti successori.
Invero, il patto di famiglia integra, al tempo stesso, un patto successorio sia dispositivo che rinunciativo: dispositivo, in quanto i legittimari non assegnatari accettano la liquidazione spettante lor, così disponendo dei propri diritti sulla successione (ancora non aperta) dell’assegnante; rinunciativo, in quanto ex art. 768-quater, ultimo comma del Codice civile, quanto ricevuto dai contraenti a titolo di patto di famiglia non è soggetto a collazione o a riduzione.