Il divieto di patto commissorio: tra disciplina codicistica ed interpretazione giurisprudenziale.
Ai sensi dell’art. 2744 c.c., “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.
La dottrina si è a lungo interrogata in merito al fondamento di tale divieto, finendo con l’elaborare tre diverse ricostruzioni.
Secondo una prima impostazione, il divieto in esame sarebbe volto a tutelare il monopolio statuale in materia di espropriazione e soddisfacimento coattivo del credito. Questa teoria si espone, tuttavia, all’obiezione che, se questa fosse la ratio dell’art. 2744 c.c., sarebbe del pari nullo il cosiddetto patto marciano, di cui si dirà meglio infra, che pure comporta il trasferimento della proprietà in favore del creditore senza il ricorso all’espropriazione forzata.
Altri Autori hanno poi rinvenuto il fondamento del divieto di patto commissorio nella necessità di tutelare la par condicio creditorum, che sarebbe invece alterata dal patto, in quanto, proprio in forza di questo, il creditore otterrebbe la proprietà del bene in oggetto in via preferenziale rispetto agli altri, pur in assenza di una causa legittima di prelazione in suo favore rientrante tra quelle previste dalla legge. Anche questa ricostruzione si espone, però, alla medesima critica mossa alla prima, cioè che l’accoglimento di questa non varrebbe a spiegare la disparità di trattamento tra patto commissorio e patto marciano, nullo il primo, valido il secondo.
È pertanto oggi prevalente l’opinione di chi ha individuato la ratio del divieto di patto commissorio nella volontà dell’ordinamento di tutelare il debitore da illegittimi approfittamenti da parte del creditore a suo danno (si tratta dunque dello stesso principio che si pone a fondamento del divieto di usura), i quali possono essere scongiurati proprio prevedendo i correttivi del patto marciano, che è per questo, all’opposto, meritevole di tutela e dunque valido.
Per quanto attiene, invece, all’ambito di applicazione, l’art. 2744 c.c. individua tre presupposti:
1. Che si configuri un inadempimento;
2. Che il bene in oggetto sia stato ipotecato o dato in pegno;
3. Che l’inadempimento produca come effetto l’automatico passaggio di proprietà della cosa in favore del creditore.
La giurisprudenza, anche di legittimità, tuttavia, ha progressivamente esteso l’ambito di applicazione del divieto ex art. 2744 c.c. ben al di là degli stringenti confini delineati dalla norma, arrivando nel 2020 (Cass. civ. Sez. III, 17 gennaio 2020, n. 844) ad affermare che il divieto di patto commissorio si applica a tutte le alienazioni a scopo di garanzia, quindi anche a prescindere dal pedissequo rispetto dei presupposti sopra delineati.
Di conseguenza, il patto è nullo anche se il bene in oggetto non è ipotecato o dato in pegno; non solo se il trasferimento della proprietà in favore del creditore è sottoposto alla condizione sospensiva dell’inadempimento, ma anche quando l’effetto traslativo si produce subito, ma a condizione risolutiva dell’adempimento; non solo in caso di patto ad effetti reali, ma anche in caso di patto commissorio meramente obbligatorio, con cui il debitore si obbliga verso il creditore a trasferirgli la proprietà del bene in caso di inadempimento; da ultimo, non solo se il patto è convenuto contestualmente al sorgere del creditor della cui garanzia si tratta, ma anche in un momento successivo (cosiddetto pactum commissorium adiectum ex intervallo), come confermato dall’art. 1963 c.c., che, in materia di mandato di credito, espressamente sancisce la nullità di “qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto […]”.
In conseguenza di tale processo di estensione giurisprudenziale, si può dunque affermare che oggi la nullità non colpisce soltanto il patto commissorio, ma qualsiasi accordo sorretto da causa commissoria.
Il correttivo del patto marciano.
Come già detto, la ratio del divieto ex art 2744 c.c. consiste nella necessità di evitare che il creditore possa indebitamente approfittarsi del creditore, cosa che emblematicamente accadrebbe se, a fronte dell’inadempimento dell’obbligazione che si intende garantire, il creditore acquistasse automaticamente la proprietà di un bene di valore superiore a quello della prestazione dovuta, rimasta inadempiuta.
Per converso, deve essere considerato ammissibile il patto che preveda correttivi idonei a scongiurare il rischio di un siffatto approfittamento, assicurando una perfetta corrispondenza tra valore della prestazione dovuta e valore di quanto ricevuto dal creditore.
La dottrina ha individuato, a tal fine, due correttivi, che, cumulativamente, danno vita al cosiddetto patto marciano, e precisamente:
1. Il bene deve essere stimato da un terzo al momento dell’inadempimento secondo criteri prestabiliti;
2. Il creditore deve restituire l’eventuale eccedenza tra il valore del bene ed il valore del debito rimasto inadempiuto.
Si tratta, invero, di una logica analoga a quella che ispira la disciplina del pegno di crediti, in relazione al quale l’art. 2803 c.c. prevede, appunto, che il creditore pignoratizio possa trattenere quanto riscosso, ma dovendo restituire l’eventuale eccedenza.
L’ammissibilità del patto marciano, da sempre pacifica in dottrina ed in giurisprudenza, ha oggi altresì un fondamento normativo, all’interno del TUB (d.lgs. n. 385/1993), all’art. 48-bis, in relazione ai mutui concessi da banche ad imprenditori ed all’art. 120-quinquies (che non è tuttavia ancora applicabile, in quanto manca la necessaria normativa d’attuazione), relativo al credito immobiliare al consumatore.
Le figure di dubbia ammissibilità.
Chiarita la natura, la definizione, l’ambito di applicazione del divieto del patto commissorio, si deve poi rilevare che la prassi ha elaborato vari schemi negoziali atipici o tipici, ma piegati nel loro utilizzo per fini simulatori o fraudolenti, volti ad eludere il divieto ex art. 2744 c.c. Si tratta per lo più di istituti nati con l’evolversi recente degli scambi commerciali che ha comportato la richiesta di schemi negoziali il più possibili agevoli, veloci, efficaci e capaci di rispondere ai bisogni di un mercato concorrenziale e dinamico, tendendo di escludere le lungaggini del tradizionale processo esecutivo.
Esempi di negozi in cui le parti utilizzano lo schema tipico piegandolo al proprio interesse, che è quello di produrre un effetto traslativo solo in funzione di costituire una garanzia sono la vendita con patto di riscatto, il riporto e il sale and lease back.
1. La vendita con patto di riscatto e di retrovendita.
Tale schema negoziale è comunemente il più utilizzato per realizzare lo scopo di garanzia in favore del creditore in presenza di un mutuo. Difatti il prezzo della compravendita corrisponde all’importo del mutuo erogato, maggiorato di interessi e spese, visto che non potrebbe figurare un prezzo diverso per la vendita (pari al mutuo) e per il riscatto (pari al mutuo più interessi e spese) atteso il divieto posto dall’art. 1500 c.c. Pertanto, il venditore-mutuatario o riscatterà il bene entro il termine fissato per la restituzione del mutuo, che coincide con quello fissato per il riscatto, estinguendo così il mutuo con il pagamento del prezzo, ovvero, in caso contrario, perderà la proprietà. È proprio la provvisorietà dell’effetto traslativo, condizionato all’esercizio del diritto di riscatto a consentire alle parti di piegare la fattispecie a funzioni illecite.
Per accertare se tale figura violi il divieto del patto commissorio bisogna verificare se sussiste o meno un collegamento tra tale fattispecie e un rapporto obbligatorio, in cui si subordini al suo adempimento il trasferimento o la risoluzione dell’atto traslativo posto in essere dall’alienante.
Bisogna poi aggiungere che la stessa finalità di garanzia sottesa alla vendita con patto di riscatto può essere assolta da altri schemi negoziali, come la vendita condizionata risolutivamente all’adempimento dell’obbligo di restituzione del mutuo ovvero il patto de retrovendendo o de retroemendo collegato allo stesso evento. In particolare, il patto di retrovendita tale schema negoziale differisce dalla vendita con patto di riscatto in quanto viene in rilievo un contratto con cui il compratore si obbliga a rivendere al venditore, dopo un determinato periodo di tempo, il bene acquistato: si tratta di una fattispecie negoziale che ha natura di preliminare unilaterale in quanto l’obbligo di ritrasferimento del bene vincola il solo compratore e produce solo effetti obbligatori risultando perciò non opponibile ai terzi acquirenti (quanto detto vale altresì per il patto di ricompera mediante il quale il venditore si obbliga a riacquistare la cosa dal compratore entro un certo tempo).
Secondo la giurisprudenza dominante in tutti questi casi il contratto, anche preliminare, è nullo ex art. 1344 c.c., per frode al divieto di patto commissorio, ogni volta che, a prescindere dalla pattuizione di un effetto traslativo non rinviato nel tempo, risulti l’intento primario e non simulato delle parti, desumibile anche per presunzioni o in base ad indici rivelatori, di costituire una garanzia a carattere reale in funzione del mutuo o comunque del credito, pur se già sorto ed in relazione alla irrevocabilità del trasferimento solo al verificarsi dell’inadempienza del venditore mutuatario, in modo da stabilire un nesso teleologico e strumentale fra i due negozi di compravendita e di mutuo.
2. Il riporto.
Il riporto è il contratto mediante il quale un soggetto può trasferire in proprietà ad un altro una quantità di titoli di credito con l’obbligo per costui di ritrasferirli ad una certa data e ad un prezzo pattuito. In tale negozio si sommano due compravendite (a pronti e a termine), così che lo schema, sul piano funzionale, non si differenzia molto rispetto alla vendita con patto di retrovendita, riproponendosi dunque le medesime criticità sopra delineate.
3. La cessione del credito e l’alienazione a scopo di garanzia.
Entrambi sono contratti traslativi in cui le parti stipulano un contratto di cessione del credito o di alienazione di una cosa a garanzia dell’adempimento. Il credito ceduto o la cosa alienata in proprietà garantisce così, in caso di inadempimento, la soddisfazione del credito. Sono strumenti analoghi al pegno e all’ipoteca perché difatti si crea un diritto tutelabile erga omnes in capo al soggetto che ha acquistato il diritto di credito o di proprietà sulla cosa.
È dibattuto in dottrina se la cessione del credito a scopo di garanzia violi il divieto in esame: in senso affermativo, potrebbe osservarsi che il cessionario farebbe proprio il credito ceduto, che costituisce l’oggetto della garanzia, in caso di inadempimento del cedente; in senso contrario si è, però, evidenziato che in caso di pegno di crediti ai sensi dell’art. 2803 c.c. il creditore può ritenere, del denaro ricevuto, quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni creditorie e lo stesso deve fare il cessionario, il quale sarà tenuto a ritrasferire al cedente solo la somma di denaro che residua una volta operata la compensazione ed estinto così il proprio credito, non violando in tal modo il divieto del patto commissorio.
4. Il sale and lease back.
Il c.d. sale and lease back è un contratto atipico bilaterale in cui di regola un imprenditore vende ad una società finanziaria di leasing un bene di sua proprietà che poi quest’ultima gli concederà in locazione finanziaria. In tal modo l’imprenditore alienando il bene si procura una liquidità immediata ma mantiene al tempo stesso il godimento del bene di cui può anche riacquistare la proprietà al termine del contratto esercitando l’opzione di acquisto.
Contro coloro che sostengono che il sale and lease back violi il divieto del patto commissorio si è sottolineato che la vendita è pura e semplice, mentre il patto d’opzione per il riacquisto accede al leasing secondo le regole generali. Infine, andrebbe tenuto presente che secondo questa teoria in caso di integrale pagamento dei canoni di leasing la vendita non si risolve. Si deve tuttavia avere riguardo all’effettivo scopo cui le parti mirano potendo lo scopo di garanzia essere realizzato anche grazie a questo schema, se si considera che la fittizietà in termini giuridici dell’operazione leasing è palese, atteso che l’imprenditore non acquisisce alcun nuovo bene produttivo, ma si limita a mantenere il godimento del proprio con semplice modificazione del relativo titolo giuridico. Egli intende allora esclusivamente ottenere un finanziamento diretto ed immediato mentre l’operazione di leasing è un meccanismo per mantenere il godimento del bene.
Il sale and lease back può essere dunque un contratto a scopo di garanzia così come la compravendita, la cessione, il riporto, se collegati al mutuo, perché la scomposizione dei singoli passaggi dell’operazione non toglie l’unicità causale che conduce a ravvisare un trasferimento di proprietà iniziale a fronte ad una erogazione di denaro, senza però che l’acquirente goda del bene e con riacquisto della proprietà solo quando il debito è stato estinto. La validità dell’operazione, quindi dipenderà dalla liceità della causa in concreto e soprattutto dalla previsione o meno ad opera delle parti dei correttivi del patto marciano.