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LA GESTIONE DEI BENI EREDITARI PRIMA DELL’ACQUISTO DELL’EREDITÀ

 

Natura e rilevanza del problema.

Nel diritto successorio italiano, l’apertura della successione non coincide con l’immediata acquisizione dell’eredità da parte del chiamato. Infatti, l’acquisto dell’eredità richiede l’accettazione, espressa o tacita, da parte del soggetto designato, con la conseguenza che tra la morte del de cuius e il momento dell’effettivo acquisto in favore dell’erede si apre una fase interinale in cui i beni ereditari risultano privi di un titolare definitivo. Tale intervallo temporale solleva rilevanti questioni in ordine all’amministrazione e alla conservazione del compendio ereditario. In questa fase si collocano norme di grande importanza pratica, prima ancora che teorica, che disciplinano i poteri dei soggetti coinvolti, i limiti della loro azione e le necessarie autorizzazioni, alla luce del principio per cui l’eredità si trasmette ex lege ma resta in stato potenziale sino all’accettazione.

 

Soggetti che possono intervenire nella gestione del compendio ereditario.

La dottrina è solita distinguere, in questa fase, tra amministratori che non rivestono un ufficio di diritto privato e soggetti che, invece, sono titolari di una vera e propria funzione giuridica di diritto privato, in quanto amministratori dell’eredità. In particolare, i gestori del compendio ereditario possono essere distinti come segue:

  • Non titolari di un ufficio di diritto privato: il chiamato all’eredità in senso proprio, sia esso in possesso dei beni ereditari sia non possessore; il chiamato in subordine rispetto a un istituito sottoposto a condizione sospensiva o rispetto a un nascituro non ancora concepito (artt. 642 e 643, comma 1 del Codice civile);
  • Titolari di un ufficio di diritto privato: il curatore dell’eredità giacente, ai sensi dell’art. 528 del Codice civile; l’esecutore testamentario, disciplinato dagli artt. 703 ss. del Codice civile; il prefetto, in caso di lasciti a favore di enti non ancora istituiti (art. 3 disp. att. del Codice civile); i genitori del nascituro concepito, ai sensi dell’art. 643, comma 1, del Codice civile.

Ciascuno di questi soggetti presenta caratteristiche proprie quanto a poteri, modalità di intervento e autorizzazioni necessarie per il compimento degli atti aventi ad oggetto i beni ereditari, che saranno quindi analizzati separatamente.

 

Il chiamato all’eredità e l’art. 460 del Codice civile.

La posizione del chiamato all’eredità in relazione ai beni ereditari muta in base alla circostanza che, all’apertura della successione, egli sia o meno in possesso dei beni ereditari. In linea generale, l’art. 460 del Codice civile consente al chiamato di porre in essere atti di ordinaria amministrazione e conservazione, purché tali attività non comportino un’acquisizione tacita dell’eredità. L’intervento del chiamato, pertanto, è sempre strumentale all’interesse dell’eredità e soggetto a un rigoroso limite: non può implicare manifestazioni di volontà incompatibili con la facoltà di rinunciare.

Tra gli atti ammessi si annoverano le azioni possessorie, la richiesta di apposizione o rimozione dei sigilli, l’istanza di inventario e – nei casi previsti – la sollecitazione della nomina di un curatore dell’eredità giacente. L’interpretazione moderna riconosce tali poteri anche al chiamato non in possesso, superando l’antica distinzione rigida. Tuttavia, l’esercizio di atti dispositivi è fortemente circoscritto: essi sono ammessi solo nella misura in cui rientrano nella fattispecie dell’art. 460, comma 2 del Codice civile, ovvero si tratti della vendita di beni che non si possono conservare o la cui conservazione comporti grave dispendio. In tal caso è richiesta l’autorizzazione del tribunale delle successioni.

Si precisa, tuttavia, che l’art. 460 del Codice civile, sebbene testualmente riferito al “chiamato” all’eredità, si riferisce, in realtà, al solo delato (cioè il chiamato il cui diritto di accettare è attuale), non applicandosi invece al vocato (cioè il chiamato il cui diritto di accettare l’eredità non è attuale, ma, ad esempio, condizionata). Il vocato, invece, ha il potere soltanto di: chiedere l’apposizione e la rimozione di sigilli, chiedere la redazione dell’inventario e, se non è in possesso dei beni ereditari, chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente.

 

Il curatore dell’eredità giacente ex art. 528 del Codice civile.

L’istituto della curatela dell’eredità giacente, invece, si applica nei casi in cui il chiamato non abbia ancora accettato l’eredità e non si trovi nel possesso dei beni. Ai sensi dell’art. 528 del Codice civile, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione può nominare un curatore, su istanza degli interessati o anche d’ufficio. Il decreto di nomina è soggetto a pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale, iscrizione nel registro delle successioni e allegazione agli atti. La norma sulla competenza alla nomina del curatore ha natura inderogabile e non è quindi ammessa, secondo l’opinione prevalente, la nomina contenuta nel testamento o fatta da un Notaio.

Gli effetti della nomina sono rilevanti: il chiamato perde i poteri conservativi che eventualmente gli spettano, è fatto divieto di iscrivere ipoteche giudiziali sull’eredità e vengono inibite le azioni individuali dei creditori. Il curatore assume la gestione del compendio con poteri propri, regolati dagli artt. 529 e seguenti del Codice civile, compresi il pagamento dei debiti e l’amministrazione dei beni. L’ufficio cessa nei casi di accettazione dell’eredità, esaurimento dell’attivo o vacanza ereditaria.

 

Focus: la questione della giacenza pro quota.

Una questione particolarmente controversa sia in dottrina che in giurisprudenza è se sia ammissibile la nomina di un curatore per una quota dell’eredità non ancora accettata, quando per l’altra vi sia un erede che ha già accettato. Le tesi elaborate e sostenute sul punto sono molteplici e possono essere sintetizzate come segue:

  • La tesi tradizionale: nega la possibilità della giacenza pro quota, basandosi sul dato letterale dell’art. 528 del Codice civile, che richiede ai fini della nomina, che l’eredità non sia ancora stata accettata, sull’inconcepibilità di un’amministrazione separata e sul principio per cui l’erede che ha già accettato una quota ha il possesso di tutta l’eredità.
  • Una tesi intermedia, spesso utilizzata anche nella prassi notarile: distingue tra atti di amministrazione (per cui la giacenza pro quota sarebbe inammissibile) e atti dispositivi (per cui la giacenza pro quota sarebbe ammissibile).
  • La tesi oggi prevalente, più moderna e conforme all’evoluzione normativa (es. art. 463-bis del Codice civile):, ammette la giacenza pro quota, sostenendo che il possesso può riguardare una sola quota e che l’erede che ha già accettato una quota non ha interesse ad amministrare beni altrui.

 

L’esecutore testamentario.
L’esecutore testamentario, previsto e disciplinato dagli artt. 700 e seguenti del Codice civile, è nominato dal de cuius, con una disposizione testamentaria a contenuto non patrimoniale, ed ha il compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni testamentarie.

I suoi poteri, tuttavia, nello specifico variano a seconda della volontà del testatore. Invero, se il testamento attribuisce all’esecutore il potere di compiere determinati atti, per il compimento di questi atti non è richiesta alcuna ulteriore autorizzazione all’esecutore (esecutore cosiddetto ad acta), il cui potere trova fonte diretta nel testamento. Se, invece, si tratta di atti non espressamente previsti dal testamento, il loro compimento ad opera dell’esecutore testamentario richiede l’autorizzazione del tribunale delle successioni ai sensi dell’art. 747 del Codice di procedura civile.

L’esecutore testamentario, poi, può coesistere con il chiamato all’eredità, che mantiene i suoi poteri di vigilanza e conservazione, salvo incompatibilità o conflitti d’interesse. In tali ipotesi, il tribunale può nominare un curatore speciale.

La figura dell’esecutore testamentario è stata, inoltre, oggetto di uno specifico approfondimento su questo sito, al quale, pertanto, si rinvia.

La figura del prefetto ex art. 3 disp. att. del Codice civile

Nel caso di lasciti testamentari in favore di enti da istituire, l’art. 3 delle disposizioni di attuazione al Codice civile attribuisce al prefetto la gestione provvisoria dei beni. Egli agisce senza necessità di autorizzazione, in virtù della norma stessa, compiendo atti conservativi volti a garantire l’attuazione della volontà del de cuius. In situazioni di urgenza, il prefetto può chiedere la nomina di un amministratore provvisorio al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, il quale potrà autorizzare l’amministratore al compimento degli atti necessari, ai sensi degli artt. 782 e 783 del Codice di procedura civile.

 

I genitori del nascituro concepito (art. 643, comma 1, del Codice civile).

La legge riconosce ai genitori del nascituro concepito il potere di amministrare i beni ereditari spettanti al figlio. Tale amministrazione ha natura provvisoria e rientra nei casi in cui il legislatore colma il vuoto di titolarità ereditaria. L’art. 644 del Codice civile richiama espressamente la disciplina prevista per il curatore dell’eredità giacente, ma se ne distingue per tre profili fondamentali: in primo luogo, il curatore ex art. 528 del Codice civile è nominato dal tribunale, mentre nel caso dell’art. 644 l’individuazione degli amministratori (genitori) avviene ex lege; in secondo luogo, il curatore dell’eredità giacente riveste un ufficio di diritto privato, mentre i genitori agiscono nell’interesse proprio; da ultimo, il curatore dell’eredità giacente cessa dall’ufficio solo a seguito dell’accettazione dell’eredità, mentre i genitori possono essere esclusi anche prima dell’accettazione.

 

I rapporti tra amministratori e chiamati.

La disciplina codicistica impone un principio fondamentale: i poteri del chiamato, sia vocato che delato, cessano ogni qual volta subentri un soggetto avente un ufficio di diritto privato con poteri sovrapponibili. Tale principio trova diverse conferme nella disciplina positiva. Valgano, a tal fine, i seguenti esempi:

  • in presenza di un istituito sottoposto a condizione sospensiva o di un nascituro non ancora concepito, il chiamato non è destinatario di una delazione attuale, dunque non è titolare di specifici poteri gestori che rischiano di sovrapporsi a quelli dell’amministratore;
  • qualora il chiamato non sia nel possesso dei beni, la nomina del curatore ai sensi dell’art. 528 del Codice civile determina il venir meno dei poteri gestori del primo, mentre la presenza di un chiamato nel possesso dei beni ereditari impedisce la nomina del curatore dell’eredità giacente.

I poteri del chiamato (vocato o delato, che sia) possono coesistere solamente con la nomina di un esecutore testamentario, ma con la precisazione che, in questo caso, il chiamato sarà comunque tenuto a svolgere un’attività di vigilanza sull’operato dell’esecutore.

Conclusione: verso una razionalizzazione della gestione ereditaria intermedia.

La gestione dei beni ereditari prima dell’acquisto dell’eredità costituisce un settore normativamente articolato e complesso, dove l’esigenza di tutela dell’interesse ereditario si confronta con la salvaguardia della libertà del chiamato.
La giurisprudenza e la dottrina più recente tendono ad accogliere soluzioni flessibili e pragmatiche, volte a garantire la continuità nella cura del patrimonio ereditario senza anticipare indebitamente l’effetto dell’acquisto. Una razionalizzazione organica della materia sarebbe auspicabile, valorizzando i principi di proporzionalità, efficienza e certezza giuridica.