Profili giuridici, strumenti di tutela e prospettive evolutive
Introduzione
L’evoluzione tecnologica ha trasformato radicalmente ogni aspetto dell’esistenza individuale. Dalle comunicazioni interpersonali alle attività lavorative, dagli interessi culturali fino alla gestione dei risparmi, una parte crescente della nostra vita si svolge ormai attraverso strumenti digitali. In questo contesto, ciascuno di noi, consapevolmente o meno, costruisce nel tempo un vero e proprio patrimonio digitale, composto da dati, contenuti, credenziali, diritti e posizioni giuridiche connesse a servizi e piattaforme online.
Alla morte dell’utente, questo patrimonio sopravvive, ponendo interrogativi nuovi e complessi: chi ha diritto di accedere ai suoi account? Cosa succede ai beni digitali aventi contenuto patrimoniale? Le immagini salvate in cloud possono essere trasmesse ai familiari?
A questi interrogativi si cerca di rispondere, indagando il complesso tema dalla cosiddetta “eredità digitale”, un concetto recente, non ancora formalizzato in sede normativa, ma sempre più importante nella prassi e nella riflessione dottrinale. Esso include l’insieme di beni e situazioni giuridiche a contenuto digitale che, sopravvivendo alla persona, sono potenzialmente trasmissibili mortis causa. L’interprete e il professionista – su tutti il notaio – sono, quindi, oggi chiamati ad affrontare una sfida culturale e giuridica di grande rilievo, che riguarda tanto l’esatta individuazione dei diritti coinvolti, quanto la loro effettiva tutela e trasmissibilità.
Che cos’è l’eredità digitale: profili definitori
Non esiste, nel diritto positivo italiano, una definizione univoca di eredità digitale. Il termine, come accennato, è frutto di elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, ispirate alla necessità di colmare tale vuoto normativo. In termini generali, si può dire che rientrano nel concetto di eredità digitale tutti i beni e le posizioni giuridiche digitali facenti capo al defunto, suscettibili di trasmissione secondo le regole generali della successione.
I contenuti dell’eredità digitale sono estremamente eterogenei e si possono distinguere – con finalità classificatorie – in due macro-categorie:
- Contenuti a carattere personale o affettivo: tra questi rientrano e-mail, fotografie, video, messaggi, profili social, blog personali, archivi digitali, documenti diari o autobiografici conservati su cloud.
- Contenuti a rilevanza patrimoniale: esempi sono i wallet di cripto valute, NFT, i domini Internet, i profili social monetizzabili (si pensi agli account degli “influencer”), i conti online, i software sviluppati in proprio, oppure i database e gli archivi digitali utilizzati per attività professionale o imprenditoriale.
Cosa diversa, ma al contempo inscindibilmente collegata a tali beni, sono le credenziali di accesso (solitamente, username e password), che rappresentano la porta d’ingresso al patrimonio digitale, ma che – in assenza di misure specifiche – spesso rischiano di sconosciute o inaccessibili agli eredi.
Una difficoltà peculiare della trasmissione del patrimonio digitale deriva dalla sua smaterializzazione: molti beni digitali non si localizzano in luoghi fisici e non sono iscritti in registri pubblici. Sono invece ospitati su server situati ovunque nel mondo, soggetti a clausole contrattuali imposte unilateralmente dai provider e, spesso, protetti da crittografia o da sistemi di autenticazione a più fattori.
Il problema della trasmissibilità: aspetti giuridici e contrattuali
Dal punto di vista strettamente civilistico, il diritto successorio si snoda intorno al principio generale della trasmissibilità mortis causa di tutte le situazioni giuridiche attive e passive che facevano capo al de cuius, salvo diversa previsione di legge o volontà testamentaria. Tuttavia, applicare questo principio ai beni digitali non è sempre semplice.
Invero, da un lato, nessun problema particolare si pone in relazione alla trasmissione mortis causa dei cosiddetti documenti digitali offline (si pensi a tutti i dati che il de cuius aveva salvato sul proprio pc o sul proprio smartphone): questi, infatti, vengono trasmessi per causa di morte secondo le regole che valgono per i documenti cartacei e, se hanno un valore economico, vi si applica quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore (l. n. 633/1941). Con riferimento a tali documenti, l’unico tema che si pone è quello di garantire al successore l’accesso alla password che, eventualmente, protegge l’accesso al dispositivo fisico (pc, telefono, etc.), su cui ci si soffermerà in seguito.
Dall’altro lato, invece, l’individuazione della sorte dei dati dopo la morte del titolare può diventare ben più complicata nel caso di documenti online (si pensi a tutte le foto caricate sui social network dagli utenti). In molti casi, infatti, i rapporti tra l’utente e il fornitore del servizio digitale sono regolati da contratti di adesione, spesso soggetti a diritto straniero, che prevedono l’incedibilità o l’estinzione automatica dell’account alla morte del titolare.
Un esempio è fornito dai termini di servizio di social network, caselle e-mail o servizi di streaming, che non riconoscono alcun diritto agli eredi, prevedendo che alla morte dell’utente l’account sia disattivato e i dati cancellati. Alcune piattaforme, tuttavia, prevedono altresì la possibilità per l’utente di compiere espressamente una scelta diversa, attraverso le impostazioni di gestione dell’account. Facebook, per esempio, prevede la possibilità per gli utenti di nominare il cosiddetto “contatto erede”, mentre Google dà la possibilità di nominare un “gestore account inattivo”.
Anche quando vi sia un valore patrimoniale associato ai dati digitali (ad esempio: contenuti monetizzati, proventi pubblicitari, contenuti venduti su marketplace digitali), il subentro degli eredi può essere reso complicato da ostacoli giuridici o tecnici, a meno che il defunto non abbia adottato strumenti di pianificazione anticipata.
Oltre agli aspetti dispositivi, si pongono anche problemi di responsabilità. Molti servizi digitali, infatti, sono accessibili in forza di abbonamenti che prevedono rinnovi automatici con addebiti periodici. Se questi abbonamenti non vengono disattivati prima della morte, dunque, il costo dei rinnovi può finire per gravare sul patrimonio ereditario o generare contenzioso con i fornitori. Gli eredi, se all’oscuro dell’esistenza di tali rapporti, possono incorrere in ritardi, sanzioni o responsabilità indirette.
Privacy e dati personali dopo la morte
Uno dei nodi più complessi dell’eredità digitale riguarda l’accesso ai dati personali del defunto. Il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (Reg. UE 2016/679, cosiddetto “GDPR”) non si applica alle persone decedute, ma lascia agli Stati membri la possibilità di adottare normative specifiche.
In Italia, il d.lgs. 101/2018 ha introdotto l’art. 2-terdecies nel Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003), il quale stabilisce che i diritti relativi ai dati personali possono essere esercitati anche dopo la morte da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato, salvo che questi abbia espresso una volontà contraria.
Tale disposizione apre formalmente all’accesso ai dati del defunto, ma la sua applicazione pratica è tutt’altro che agevole. I fornitori di servizi digitali, in assenza di una norma europea uniforme, adottano policy eterogenee: alcuni consentono l’accesso su richiesta e previa verifica di documentazione (certificato di morte, dichiarazione di eredità, documenti d’identità); altri lo negano per default, invocando la tutela della riservatezza anche oltre la morte.
Si apre così un conflitto tra diritto alla riservatezza del defunto e diritto degli eredi alla conoscenza e alla disponibilità del patrimonio digitale. Non sempre è chiaro come risolvere il bilanciamento tra questi interessi. In molti casi, l’accesso è possibile solo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, con costi e tempi incompatibili con le esigenze concrete degli eredi. Spesso, però, la soluzione è individuata nello strumento del testamento e, nello specifico, nella previsione di un cosiddetto legato di password, cioè un legato avente come oggetto i dati digitali protetti dalla password e, al contempo, le indicazioni finalizzate a consentire al legatario di reperire tale password, oppure la nomina di un esecutore testamentario ad acta (a cui il testatore ha fornito, in vita, accesso alla password), che ha il compito di fare avere tale password al successore.
Strumenti per la gestione e la pianificazione dell’eredità digitale
Come da ultimo accennato, invero, in assenza di una disciplina organica, è necessario che l’individuo predisponga misure volontarie di gestione anticipata del proprio patrimonio digitale post mortem. Tra queste, il testamento rappresenta il principale strumento giuridico.
Attraverso il testamento, il disponente può:
- indicare gli account e i contenuti digitali da trasmettere a specifici beneficiari;
- nominare un esecutore testamentario ad acta, con il compito di gestire, cancellare o trasferire password, contenuti e dati;
- stabilire clausole di riservatezza o di cancellazione, proteggendo i contenuti più personali.
In alternativa o in aggiunta, si possono utilizzare strumenti quali:
- nomina di gestori account inattivi (Google), che consentono di indicare un destinatario per i propri dati in caso di inattività;
- designazioni contrattuali sulle piattaforme che lo permettono (es. nomina del “contatto erede” su Facebook);
- depositi fiduciari di password e chiavi crittografiche presso soggetti terzi.
In prospettiva, sarebbe auspicabile una riforma legislativa che riconosca e disciplini in modo organico queste pratiche, magari sul modello della normativa statunitense (Revised Uniform Fiduciary Access to Digital Assets Act – RUFADAA), che prevede la figura del fiduciario digitale, con poteri legali per accedere ai contenuti in nome del defunto.
Sul piano internazionale, a ben vedere, diversi ordinamenti stanno cercando di disciplinare il fenomeno dell’eredità digitale. In Francia, la Loi pour une République numérique del 2016 prevede la possibilità di redigere direttive anticipate per il trattamento post mortem dei dati personali. In Germania, una storica sentenza della Corte federale ha assimilato il profilo Facebook a un diario personale e ha riconosciuto agli eredi il diritto di accesso. Negli Stati Uniti, come anticipato, esiste una normativa uniforme che attribuisce al fiduciario accesso ai beni digitali, nel rispetto delle volontà del disponente.
Queste esperienze dimostrano una crescente consapevolezza della rilevanza del fenomeno e dell’esigenza di una tutela organica dei diritti digitali post mortem.
Il ruolo del notaio
Soprattutto fino a quando non sarà colmata detta lacuna normativa, sia a livello domestico che europeo, il notaio svolgerà un ruolo indispensabile nella realizzazione della trasmissione dei dati digitali dopo la morte del titolare, rappresentando il professionista naturalmente vocato ad affrontare i temi dell’eredità digitale. Il suo intervento può articolarsi in più momenti:
- In sede di consulenza, aiutando il cliente a censire i propri beni digitali, predisporre le volontà testamentarie, nominare eventuali fiduciari, utilizzare strumenti di conservazione sicura delle credenziali.
- In fase successoria, assistendo gli eredi nella ricognizione e nella gestione del patrimonio digitale, predisponendo atti notarili dichiarativi, verbali, certificazioni da presentare alle piattaforme.
- Nella promozione culturale, contribuendo alla diffusione della consapevolezza circa l’importanza della pianificazione digitale, anche attraverso strumenti informativi e campagne di educazione giuridica.
Il notaio, in virtù della sua terzietà, competenza giuridica e costituendo un baluardo di legalità, è chiamato a svolgere un ruolo cruciale nell’adeguamento delle prassi successorie alle esigenze della società digitale.