L’azione surrogatoria e l’azione revocatoria
L’art. 2740 c.c. sancisce il principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore, disponendo che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, salve le limitazioni ammesse dalla legge (si pensi ai fenomeni di segregazione patrimoniale, quali costituzione di fondo patrimoniale, di vincolo di destinazione ex art 2645 ter c.c., di patrimoni destinati in ambito societario, etc.).
Il patrimonio del debitore è, quindi, la prima garanzia dell’adempimento per il creditore, il quale è, pertanto, portatore di un interesse qualificato e meritevole di tutela a ché il debitore non riduca volontariamente la propria consistenza patrimoniale, così da rendere più difficile il recupero del credito.
È per questo che il Codice civile dedica un apposito capo (Libro VI, Capo V) ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, individuati nei tre istituti dell’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.), azione revocatoria (artt. 2901 e ss. c.c.) e sequestro conservativo (artt. 2905 e ss. c.c.).
L’azione surrogatoria in generale
L’azione surrogatoria, prevista e disciplinata dall’art. 2900 c.c., legittima il creditore ad esercitare diritti ed azioni che spetterebbero al debitore verso terzi e che questi “trascura di esercitare” (dunque, non esercita per inerzia o volontariamente), così rischiando di rendere più difficile il recupero del credito che il creditore vanta nei suoi confronti.
Tale azione viene, dunque, esperita dal creditore, nella qualità di surrogante, il quale deve necessariamente citare in giudizio anche il debitore surrogato (così il comma secondo dell’art. 2900 c.c.), stante l’instaurazione di un litisconsorzio necessario tra i due ex art. 102 c.p.c.
Due sono quindi i presupposti dell’azione surrogatoria:
a. Che ci sia inerzia del debitore nell’esercizio dei diritti e azioni;
b. Che tale inerzia sia idonea a comportare un pregiudizio alle ragioni del creditore (maggiore difficoltà nella riscossione del credito).
La necessaria sussistenza di tali requisiti, nonché il carattere eccezionale dell’azione in esame, sono stati rimarcati, tra l’altro, dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 5805/2012, ove si legge che “tale azione, peraltro, conferendo al creditore la legittimazione all’esercizio d’un diritto altrui, si traduce in un’interferenza nella sfera giuridica del soggetto passivo che ha carattere necessariamente eccezionale, onde, pur essendo nel campo patrimoniale un’azione di carattere generale, esclusa soltanto per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può nondimeno essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge. Ne discende che, qualora il debitore non sia più inerte, per essersi attivato dopo esserlo stato, o tale non possa essere comunque considerato, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene a mancare il presupposto perché a lui possa sostituirsi il creditore”.
Sotto il profilo dell’oggetto, l’esercizio dell’azione surrogatoria è ammesso in relazione ad azioni che:
a. Devono essere di natura patrimoniale;
b. Non devono avere ad oggetto diritti personalissimi o essere esercitabili solo dal titolare del diritto.
Questione particolare su cui si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità è quella della ammissibilità dell’azione surrogatoria con riguardo all’esercizio dell’azione di riduzione al cui esperimento sarebbe legittimato il debitore: sul punto, la Cassazione ha risposto positivamente, statuendo che “da questa ricostruzione sistematica derivante dall’esame combinato degli artt. 457, 524 (anche in correlazione all’art. 481), 557 e 2900 c.c., scaturisce che l’azione di riduzione è direttamente esperibile in via surrogatoria da parte del creditore del legittimario pretermesso nella specifica ipotesi di inerzia colpevole di questi (non essendo, perciò, necessario in tal caso il preliminare esperimento dell’actio interrogatoria e della conseguente domanda di autorizzazione, in caso di rinunzia, ai sensi dell’art. 524 c.c.), realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori”.
Passando agli effetti, le conseguenze patrimoniali dell’esperimento dell’azione surrogatoria si producono in via diretta sul patrimonio del debitore surrogato e solo in via indiretta a beneficio del creditore surrogante: invero, l’unico vantaggio immediato che acquisisce il creditore è quello di vedere conservata e migliorata la garanzia patrimoniale.
L’azione revocatoria ordinaria.
Altro mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale è l’azione revocatoria ordinaria, prevista e disciplinata dagli artt. 2901 e ss. c.c., che è l’azione volta a rendere inopponibile al creditore che agisce un determinato atto compiuto dal debitore, che ha avuto ripercussioni in senso peggiorativo sul suo patrimonio.
Pertanto, l’effetto caratteristico che l’azione revocatoria produce è quello della cosiddetta inefficacia relativa, che consiste, appunto, nella declaratoria di inopponibilità dell’atto impugnato rispetto al creditore procedente, ferma ed inalterata la validità ed efficacia dell’atto medesimo per il resto: in concreto, l’accoglimento dell’azione revocatoria comporta la possibilità per il creditore che ha agito di esercitare sul bene, che dell’atto aveva formato oggetto, l’eventuale successiva azione cautelare o esecutiva. Pertanto, a differenza dell’azione surrogatoria, il cui esito è a favore di tutti i creditori, l’azione revocatoria opera ad esclusivo vantaggio del creditore che ha agito.
Il legittimato attivo all’esercizio dell’azione è sempre il creditore ma a differenza dell’azione surrogatoria (il cui termine di prescrizione coincide con il termine prescrizionale previsto per l’azione principale, cioè l’azione che il debitore potrebbe esercitare e non esercita per inerzia) la revocatoria è soggetta al termine di prescrizione di cinque anni.
A differenza dell’azione surrogatoria, poi, il presupposto della revocatoria non coincide con l’inerzia bensì con l’atto dispositivo del debitore modificativo del suo patrimonio in modo pregiudizievole al creditore (cosiddetto eventus damni). In aggiunta all’eventus damni, che deve sempre ricorrere, ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria, l’art. 2901 c.c. richiede la sussistenza di ulteriori presupposti, che mutano in dipendenza del momento in cui l’atto dispositivo è stato compiuto, ovvero della natura dell’atto stesso: in particolare,
a. In caso di atto successivo al sorgere del credito, è sufficiente la consapevolezza del pregiudizio da parte del debitore (cosiddetta scientia damni), laddove è invece richiesta la dolosa preordinazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, quando si tratti di un atto precedente al sorgere del credito stesso;
b. Laddove si tratti, poi, di un atto a titolo oneroso è, altresì, necessario che il terzo fosse consapevole del pregiudizio (cosiddetto consilium fraudis) e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Si precisa che la sussistenza di tutti questi presupposti deve essere provata dal creditore che agisce, il quale è dunque soggetto ad un onere probatorio particolarmente arduo.
Poste queste considerazioni generali sulla revocatoria cosiddetta ordinaria, è opportuno analizzare due ulteriori ipotesi di revocatoria, cioè la revocatoria c.d. semplificata e quella esperibile in pendenza di liquidazione giudiziale (cioè, la vecchia revocatoria fallimentare, come modificata dal codice della crisi e dell’insolvenza)
L’azione revocatoria c.d. semplificata ex art. 2929 bis c.c.
L’azione revocatoria c.d. semplificata è oggi prevista e disciplinata dall’art. 2929 bis c.c., introdotto con l. n. 132/2015, che prevede che il creditore che sia rimasto pregiudicato da un atto del debitore di costituzione di un vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, ad esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La stessa disposizione si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. La norma pertanto introduce un particolare meccanismo procedurale, finalizzato a garantire al creditore una tutela più rapida avverso gli atti di disposizione del debitore che possono rivelarsi lesivi il suo diritto: si assiste così ad un ampliamento dell’efficacia soggettiva del titolo esecutivo, consentendo al creditore di pignorare beni che non siano di proprietà del debitore ovvero che formano oggetto di un patrimonio separato nonché all’inversione del rapporto tra processo di cognizione e processo esecutivo, nel senso che l’azione esecutiva può essere esercitata sul bene oggetto dell’atto di disposizione senza la necessità del previo esperimento della revocatoria e la fase di cognizione viene intrapresa solo nell’eventualità in cui venga presentata opposizione.
La legittimazione attiva del creditore, dunque, sorge al ricorrere di due presupposti:
a. Che il creditore sia munito di un titolo esecutivo;
b. Che il suo diritto sia sorto precedentemente al compimento dell’atto pregiudizievole.
Sotto il profilo oggettivo, la dottrina si è interrogata in merito alla esperibilità della revocatoria semplificata in relazione ad atti con cui il debitore ha realizzato una liberalità indiretta: prevale, tuttavia, sul punto l’opinione negativa, che si argomenta sulla base della natura senza dubbio eccezionale dell’art. 2929 bis c.c., con conseguente inammissibilità di una interpretazione estensiva–analogica.
L’azione revocatoria in caso di apertura della liquidazione giudiziale
Il codice della crisi e dell’insolvenza, introdotto con legge n. 14/2019 (e successive modificazioni) ed entrato in vigore in data 15 luglio 2022, ha integralmente sostituito la legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), determinando la soppressione della procedura concorsuale del fallimento, che è stata sostituita dalla liquidazione giudiziale.
Per l’effetto, oggi la revocatoria ordinaria da Codice civile non si contrappone più alla classica revocatoria fallimentare (disciplinata dagli artt. 67 e ss. l.f.), bensì può essere semmai confrontata con l’azione revocatoria esperibile in caso di apertura della liquidazione giudiziale.
Sul punto, devono essere analizzati gli artt. 163 e ss. c.c.i., che disciplinano gli effetti della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori, distinguendoli in quattro macrocategorie:
i. Atti che sono automaticamente privi di effetto rispetto ai creditori (artt. 163 e 164 c.c.i.): “se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei due anni anteriori, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante, i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale o posteriormente, se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nei due anni anteriori, i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore” (questa norma si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti);
ii. Atti che sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza (art. 166 comma 1 c.c.i.):
“a) gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal debitore sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
b) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
c) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore per debiti preesistenti non scaduti;
d) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori per debiti scaduti”;
iii. Atti che sono revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza (art. 166 comma 2 c.c.i.): “i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori”;
iv. Atti che il curatore può domandare che siano revocati in base alle norme del Codice civile (art. 165 c.c.i.): tutti gli atti per cui sussistono i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria, come sopra ricostruiti.
Ai sensi del terzo comma dell’art. 166 c.c.i., non sono, invece, soggetti all’azione revocatoria:
“a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca;
c) le vendite e i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo e aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purchè alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
d) gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati. L’esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie su beni del debitore posti in essere in esecuzione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione omologato e in essi indicati, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere e dal debitore dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione. L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria;
f) i pagamenti eseguiti dal debitore a titolo di corrispettivo di prestazioni di lavoro effettuate da suoi dipendenti o altri suoi collaboratori, anche non subordinati;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza previste dal presente codice”.