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Clausole disciplinanti il diritto e l’obbligo di covendita delle partecipazioni

Le cd. clausole di covendita consistono in particolari tipi di clausole statutarie di derivazione anglosassone mediante le quali, nel caso di alienazione di un pacchetto azionario si convengono obblighi e diritti reciproci in capo alle parti, al fine di dare rilevanza e valore anche alle azioni che non sono oggetto diretto di trasferimento in particolare.

Il nostro ordinamento ammette tre tipi di clausole di covendita: clausole tag-along; clausole drag-along e clausole bring-along, che andremo ad analizzare separatamente in questa sede.

Clausola tag-along

Questo tipo di clausola si configura nel trasferimento da parte di un socio, in genere di maggioranza, di azioni, viene attribuito agli altri soci, solitamente di minoranza, il diritto di cedere il proprio pacchetto azionario allo stesso acquirente e alle stesse condizioni.
La clausola in oggetto determina un obbligo in capo al cedente, il quale non può vendere se non congiuntamente agli altri soci, una facoltà in capo al terzo acquirente, che non è obbligato ad acquistare, ed un diritto in capo agli altri soci, i quali non sono obbligati a vendere.

Clausola drag-along

Con questo tipo di clausola nello statuto sociale si attribuisce al socio cedente, in genere di maggioranza, il diritto di trasferire o di obbligare a trasferire il pacchetto azionario degli altri soci, in genere di minoranza, allo stesso acquirente e alle stesse condizioni.
La clausola in oggetto determina un diritto in capo al cedente, il quale può vendere insieme alle sue anche le azioni degli altri soci, una facoltà in capo al terzo acquirente, il quale non è obbligato ad acquistare ed un obbligo in capo agli altri soci, che non sono obbligati a vendere.

Clausola bring-along

Tale clausola attribuisce al terzo acquirente il diritto di acquistare, oltre il pacchetto azionario dell’offerente (generalmente socio di maggioranza) anche quello degli altri soci (di solito di minoranza) sempre alle medesime condizioni. La clausola in oggetto determina una facoltà in capo al cedente, il quale può offrire al terzo insieme alle sue anche le azioni degli altri soci, un diritto in capo al terzo acquirente, che può pretendere l’acquisto delle azioni dagli altri soci ed un obbligo in capo agli altri soci, i quali sono obbligati a vendere.

Efficacia della clausole di covendita

La dottrina prevalente attribuisce alle clausole di covendita un’efficacia meramente obbligatoria, in quanto perseguono interessi individuali dei soci la cui tutela opera esclusivamente sul piano risarcitorio.

Altra parte della dottrina, al pari di quanto previsto per le altre clausole che limitano la circolazione delle azioni ai sensi dell’art 2355 bis codice civile, ad esempio le clausole di gradimento mero e non mero oppure la clausola del “tetto massimo”, afferma che le clausole di covendita possono avere anche un’efficacia reale, nel senso che la loro violazione ha come conseguenza l’inefficacia del trasferimento delle azioni sia nei confronti della società, sia nei confronti degli altri soci.

In merito a questa considerazione, il Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 88 assoggetta le clausole di covendita ai medesimi limiti imposti dalla legislazione vigente in materia di limiti alla circolazione delle partecipazioni previsti per le ipotesi di cui all’art 2355 bis codice civile.

Maggioranze e correttivi richiesti per l’introduzione, modifica e soppressone delle clausole di covendita

Con riferimento alla introduzione, alla modifica e alla soppressione delle clausole di covendita, il Consiglio Notarile di Milano nelle massime nn. 88 e 126, ha asserito che sarebbe sufficiente, come per le altre clausole limitative della circolazione delle partecipazioni, la maggioranza, facendo salvo il diritto di recesso ai sensi dell’art 2437 codice civile (e dell’art 2473 codice civile nelle s.r.l.).

Di diverso avviso è, invece, il Comitato Triveneto dei Notai, il quale nella nota massima H.I.19, ritiene imprescindibile l’unanimità dei consensi.

Inoltre, mentre per Milano sarebbe sufficiente come correttivo per l’introduzione di tali clausole nello statuto sociale il recesso; Triveneto ritiene opportuno, al fine di assicurare un pari trattamento tra i soci di maggioranza e di minoranza, inserire un ulteriore correttivo, ovvero prevedere un’equa valorizzazione delle partecipazioni per i soci assenti o dissenzienti, che non hanno concorso all’assunzione della decisione di introduzione di queste clausole nello statuto sociale.

Attualmente, non sembra esserci un orientamento prevalente in dottrina, anche se la prassi notarile, nella maggior parte dei casi, sembrerebbe preferire la tesi di Milano.

Clausola antistallo (cd. roulette russa o cowboy

Quando in una società due o più soci detengono partecipazioni corrispondenti al 50% del capitale sociale, possono verificarsi situazioni di stallo decisionale durante le assemblee.

Per tale ragione, il nostro ordinamento, al fine di evitare il protrarsi di queste ipotesi di stallo decisionale, ammette la possibilità di introdurre delle apposite clausole volte ad uscire dallo stallo meglio note con i nomi di clausole di roulette russa o clausole cow boy.

Queste clausole hanno una funzione organizzativa di riallineamento sociale, a differenza delle clausole di covendita che, invece, svolgono una funzione di carattere espropriativo o di trascinamento, rientrando nella categoria di limitazioni alla circolazione delle partecipazioni sociali di cui all’art 2355 bis codice civile.

Contrasti dottrinali sui correttivi per l’introduzione delle clausole antistallo

Con riferimento all’introduzione nello statuto sociale delle clausole antistallo, al pari di quanto esaminato in merito alle clausole di covendita, sono sorti dei contrasti all’interno della dottrina notarile, in particolare tra il Consiglio Notarile di Milano e il Consiglio Notarile di Firenze.

Per quanto concerne Milano, la massima n. 181 ritiene obbligatoria, per l’introduzione a maggioranza di tali clausole nello statuto sociale, l’applicazione della disciplina di cui all’art 2437 sexies codice civile, ovvero una norma di carattere imperativo che ritiene indispensabile l’applicazione del correttivo del recesso unitamente ad un’equa valorizzazione delle partecipazioni dei soci assenti o dissenzienti.

Non sembra essere della stessa opinione Firenze che nella massima n. 83, in linea con la giurisprudenza di merito, ha asserito che in questa ipotesi non trova applicazione il principio di parità di trattamento tra soci e, dunque, non è necessario prevedere il correttivo dell’equa valorizzazione, ma soltanto il recesso.

Secondo il Consiglio Notarile di Firenze, infatti, avendo le clausole antistallo una mera funzione organizzativa, tesa all’eliminazione di una fase di stallo che potrebbe condurre la società allo scioglimento ai sensi dell’art 2484 codice civile, deve essere garantita la capacità di deliberare agli organi sociali.

Per questo motivo, Firenze pone l’attenzione sulla tutela dell’interesse sociale che deve essere anteposto all’interesse dei singoli soci. Infatti, il socio che si avvale della clausola antistallo non ha interesse a stabilire un prezzo iniquo nei confronti dell’altro di acquisto delle partecipazioni, ma vuole garantire un equilibrio tale da non rendere necessaria l’equa valorizzazione.

Altro motivo per cui Firenze non ritiene necessaria l’equa valorizzazione riguarda i criteri applicativi degli artt. 2437 e 2473 codice civile, relativi al recesso. Questi non devono essere osservati in fase di stallo decisionale, perché altrimenti si scioglierebbe la società; a differenza di Milano che, invece, ritiene indispensabile il rispetto di tali criteri perché non è detto che il patrimonio sociale possa dissolversi.

Clausola antistallo simmetria e asimmetrica

Il Consiglio Notarile di Firenze nella massima n. 73 elabora, altresì, una distinzione tra due tipologie di clausola antistallo:

a) Clausola antistallo simmetrica: mediante la quale ciascun socio può offrire agli altri soci l’acquisto della propria partecipazione e può liberarsi dall’obbligo di acquisto mediante la vendita della propria partecipazione;

b) Clausola antistallo asimmetrica: mediante la quale l’iniziativa della procedura di vendita delle azioni spetta ad un singolo socio nei confronti di alcuni soci selettivamente indicati o a soci che, in fase di stallo decisionale, sono titolari di un’elevata maggioranza delle partecipazioni a capitale sociale, ovvero titolari di azioni o quote di categoria speciale o a cui sono connessi particolari diritti.

Vi sarebbe poi un’ulteriore tipologia di clausola antistallo che attribuisce ad un socio il cd. diritto alla prima offerta, ovvero un diritto di iniziativa alla vendita delle proprie partecipazioni da esercitare entro un determinato termine, allo scadere del quale, spetta all’altro socio.

Anche per l’introduzione di queste particolari categorie di clausole antistallo, Firenze ritiene non necessario il correttivo dell’equa valorizzazione, ma solo il recesso.

E’ preferibile aderire alla tesi di Milano o di Firenze?

Questo contrasto dottrinale, su quale tesi prevalga, non è stato ancora risolto, non essendosi ancora pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione.

Tuttavia, la prassi notarile preferisce attualmente aderire alla tesi del Consiglio Notarile di Milano e prevedere l’applicazione dell’equa valorizzazione ai sensi dell’art 2437 bis codice civile, in quanto il principio di parità di trattamento tra soci si configura come inderogabile e, come tale, applicabile in tutte le ipotesi di exit dei soci assenti o dissenzienti, indipendentemente se siano causate o meno da una situazione di stallo decisionale.

La prassi notarile, tuttavia, è consapevole dell’esistenza dell’opposto orientamento sostenuto da Firenze, che configura le clausole antistallo non come limitative della circolazione delle partecipazioni sociali, bensì come clausole di carattere riorganizzativo per il funzionamento degli organi sociali e volte ad evitare lo scioglimento delle società, anteponendo l’interesse sociale a quello di parità di trattamento tra i soci, su cui si basa la tesi di Milano.

In sintesi, possiamo ritenere che Milano antepone la tutela del principio di parità di trattamento tra i soci; mentre Firenze ritiene indispensabile la tutela dell’interesse sociale di non scioglimento della compagine e di non dissolvimento del patrimonio della società.