Il pegno: nozione
Il pegno è disciplinato dall’art 2784 c.c. ed è un diritto reale di garanzia su beni mobili non registrati, crediti, universalità di beni mobili e altri diritti reali mobiliari, in particolare l’usufrutto del debitore o di un terzo, che il creditore acquista mediante un apposito accordo con il proprietario, a garanzia del proprio credito, quindi si costituisce mediante contratto.
Oggetto del pegno possono essere solo cose determinate, con esclusione quindi di cose di genere e di cose future.
Non possono essere costituiti in pegno né i beni di cui non è ammessa l’espropriazione, né i crediti incedibili per legge.
Può essere costituito a garanzia di qualsiasi credito, purché determinato o determinabile, anche condizionale o futuro.
La giurisprudenza ammetta la legittimità del cd. pegno rotativo che si ha quando le parti concordano la possibilità di sostituire con altri beni originariamente costituiti in garanzia.
Peraltro, perché il creditore possa esercitare lo ius prelationis sui beni dati in sostituzione, si ritiene necessario, da un lato, che la sostituzione sia accompagnata dalla loro apprensione da parte del creditore o del terzo designato dalle parti e, dall’altro, che i beni dati in sostituzione abbiano un valore non superiore a quello dei precedenti.
E’ invece vietato il suppegno, ossia il pegno che abbia ad oggetto un altro diritto di pegno ex art 2792 c.c., dal momento che il creditore pignoratizio non può, senza il consenso del costituente, né usare la cosa, né disporne, concedendone ad altri il godimento o dandola a sua volta in pegno.
Costituzione del pegno
Un diritto di pegno regolare può essere costituito, a favore del creditore, mediante apposito accordo contrattuale, dal debitore o da un terzo.
Se si guarda agli effetti inter partes, la costituzione del pegno potrebbe avvenire anche con accordo verbale.
La costituzione si perfeziona con la consegna della cosa al creditore o ad un terzo designato dalle parti ex art 2786 c.c., quindi è un contratto reale.
E’, dunque, necessario lo spossessamento del debitore o dal terzo costituente pegno. La cosa può eventualmente essere mantenuta in custodia da entrambe le parti, ma a condizione che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza cooperazione del creditore ex art 2786 c.c.
Atteso che l’effetto principale del pegno consiste nell’attribuire al creditore una prelazione, è indispensabile che esso sia reso opponibile ai terzi. Pertanto, a tal fine è necessario che:
– Il contratto costitutivo del pegno, quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58, risulti da atto scritto (forma scritta ad substantiam);
– La relativa scrittura abbia data certa;
– Nella scrittura risultino specificatamente indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il bene costituito in pegno ex art 2787 comma 3 c.c.
Ai fini della costituzione del solo pegno di crediti, occorrono ex art 2800 c.c.:
– L’atto scritto, qualunque sia l’ammontare del credito garantito;
– La notifica al debitore della costituzione del pegno o la sua accettazione da parte di quest’ultimo con un atto avente data certa si applica la stessa regola che disciplina l’efficacia della cessione del credito rispetto ai terzi ex art 1265 c.c.
Se, in forza di più atti successivi, il diritto di pegno sul medesimo cespite è concesso a creditori diversi, il conflitto è risolto:
– In ipotesi di pegno sui beni, a favore di chi per primo ne consegna il possesso;
– In ipotesi di pegno su crediti, a favore di chi per primo notifica la costituzione del pegno al terzo debitore, ovvero di chi per prima vede accettata dal debitore la costituzione.
Effetti
Gli effetti prodotti dalla costituzione del pegno sono:
– Spossessamento: il possesso della cosa passa al creditore, il quale ha pertanto il diritto di trattenere la cosa data in pegno, ma ha, altresì, l’obbligo di custodirla ex art 2790 comma 1 c.c. Se gli viene sottratto il possesso, può esercitare l’azione di spoglio ed anche l’azione petitori di rivendicazione, se questa spetta al costituente ex art 2789 c.c.;
– Divieto di utilizzo e disposizione del bene, in capo al creditore ex art 2792 c.c., se viola questo divieto, il costituente può ottenere il sequestro della cosa stessa ex art 2793 c.c. Peraltro, il creditore può fare sui i frutti della cosa, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale;
– Obbligo di restituzione, in capo al creditore, quando il debito è stato interamente pagato ex art 2794 c.c.;
– Ius distrahendi: il creditore, per il conseguimento di quanto gli è dovuto, può far vendere coattivamente la cosa costituita in pegno, previa intimazione al debitore ai sensi degli artt 2796-2797 c.c., e può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento, fino alla concorrenza del credito, al valore stimato da un perito ex art 2798 c.c.;
– In prelationis: il pegno attribuisce al creditore un diritto di prelazione, nel senso che egli ha diritto di soddisfarsi con priorità, rispetto agli altri creditori, sul ricavato della vendita coattiva del bene, purché la cosa sia rimasta in suo possesso o presso il terzo designato dalle parti ex art 2787 c.c.; e ciò perfino se nel frattempo la cosa sia trasferita in proprietà a terzi ( cd. diritto di seguito o di sequela).
Pegno mobiliare non possessorio
La tradizionale struttura del pegno basata sullo spossessamento del bene in garanzia è poco funzionale alle esigenze di finanziamento dell’impresa, la quale, pur di ottenere il credito no può “spossessarsi” perdendo la disponibilità dei beni necessari all’attività produttiva, come ad esempio i macchinari.
Pertanto, al fine di fornire all’impresa un meccanismo di garanzia più duttile, è stato introdotto il “pegno mobiliare non possessorio” dal D.L. N.59/2016.
In generale, tale tipologia di pegno è accessibile solo a garanzia di crediti concessi ad un imprenditore purché inerenti all’esercizio dell’impresa.
Nel dettaglio, oggetto del pegno non possessorio possono essere solo:
– Beni mobili non registrati (anche immateriali) destinati all’esercizio di impresa;
– Crediti derivati da o inerenti a l’esercizio dell’impresa.
Legittimato alla costituzione del pegno non possessorio è solo che sia imprenditore, iscritti nel registro delle imprese, che può costituirlo a favore proprio o, nella veste di terzo datore di pegno, a favore di un altro imprenditore (es. pegno costituito dalla capogruppo a favore di una società controllato).
Il contratto costitutivo del pegno non possessorio deve, a pena di nullità, essere fatto per atto scritto, con l’indicazione i) del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo condente il pegno, ii) della descrizione del bene dato in garanzia, iii) del credito garantito e iv) dell’importo massimo garantito.
Per l’opponibilità ai terzi occorre, altresì, l’iscrizione dell’atto costitutivo nel cd. “registro dei pegni non possessori”, costituito presso l’Agenzia delle Entrate. A partire dal momento in cui tale iscrizione è effettuata, la garanzia pignoratizia prende grado ed è opponibile ai terzi.
I conflitti tra più creditori pignoratizi sono regolati in base al criterio dell’anteriorità dell’iscrizione.
A tale principio fa eccezione il pegno non possessorio costituito ed iscritto a garanzia di un finanziamento concesso per l’acquisto di un bene determinato, che sia destinato all’esercizio dell’impresa. Esso, infatti, prevale anche sui pegni non possessori iscritti anteriormente. L’iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile.
Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il debitore può legittimamente trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque disporre dei beni gravati da pegno. In tal caso, il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo del bene gravato, al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti la costituzione di una nuova garanzia, la cd. naturale “rotatività” del pegno non possessorio. A differenza di quanto previsto in tema di pegno rotativo, la legge non richiede che il nuovo bene assoggettato a pegno non possessorio abbia valore non superiore rispetto al precedente.
Di fronte all’inadempimento del debitore, il creditore minuti di pegno non possessorio può procedere:
– Alla vendita dei beni oggetto del pegno, trattenendone il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito fino alla concorrenza della somma garantita e con l’obbligo di restituire l’eccedenza;
– All’escussione o alla cessione dei crediti oggetto del pegno, trattenendone il ricavato fino alla concorrenza della somma garantita, con l’obbligo di restituire l’eccedenza.
In sede di contratto costitutivo di pegno non possessorio, le parti possono riconoscere al creditore rimasto insoddisfatto il diritto di appropriarsi dei beni oggetto del pegno, riconoscendo al datore della garanzia un importo pari alla differenza fra il valore del bene e l’obbligazione garantita.
Inoltre, possono riconoscergli la facoltà di procedere alla locazione del bene oggetto del pegno, imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito. In ogni caso, l’istituto del pegno non possessorio troverà concreta applicazione solo quanto verrà emanato il decreto attuativo del “registro dei pegni non possessori”.
Pegno irregolare o cauzione
Talora, a garanzia del soddisfacimento di un credito eventuale, come il pagamento delle pigioni da parte dell’inquilino, vengono consegnate al creditore cose fungibili, solitamente una somma di denaro, di cui il creditore ne acquista la disponibilità, la cd. cauzione o deposito cauzionale.
In relazione alla fonte, distinguiamo:
– Cauzioni legali;
– Cauzioni giudiziali;
– Cauzioni convenzionali.
In caso di adempimento da parte del debitore, il creditore deve restituire il tantundem eiusdem generis et qualitatis, cioè la medesima quantità di pezzi monetari o di titoli che gli era stata consegnata; in caso di inadempimento da parte del debitore (es. inquilino che non paga), il creditore insoddisfatto deve restituire res eiusdem generis et qualitatis, cioè la medesima quantità di pezzi monetari, in misura pari all’eventuale eccedenza tra il valore che le cose consegnategli hanno al momento della scadenza del credito garantito e l’importo del credito stesso: per il resto i crediti reciproci dovranno intendersi compensati.
La differenza con il pegno regolare è che questo dà luogo ad un diritto reale su cosa determinata della quale non può disporre ex art 2792 c.c., mentre il pegno irregolare prevede il passaggio della proprietà al creditore, con l’obbligo di restituzione della medesima quantità e qualità di beni ricevuti. Pertanto, al pegno irregolare non si applica la disciplina dettata dal codice civile con riferimento al primo.
Trasferibilità di beni dati in pegno
La vendita di beni oggetto di pegno è fattispecie diversa dalla vendita forzata e come tale è soggetta ad una propria, specifica disciplina.
Le cose ricevute in pegno sono infatti negoziabili dal creditore garantito nel rispetto delle leggi speciali in materia, mentre non trovano applicazione le previsioni in tema di vendita forzata di cui agli artt. 2919 e segg. c.c., in particolare il disposto dell’art. 2922 c.c., che nega all’acquirente la garanzia per i vizi della cosa venduta.
Deve considerarsi lecita e meritevole di tutela, ex art. 1322 c.c., la previsione contenuta nel regolamento d’asta con cui le parti escludono, anche implicitamente, il diritto del partecipante di far valere i vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta (ex artt. 1490 e 1497 c.c.), fatta salva l’ipotesi di vendita di aliud pro alio.
Questi, in estrema sintesi, i principi statuiti dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8881 del 13 maggio 2020.
Una società, attiva nel commercio di oro e preziosi, acquistava alcuni gioielli nel corso di un’asta organizzata da un istituto di credito.
Dopo aver riscontrato che la merce risultava viziata, la società promuoveva un accertamento tecnico peritale che confermava come in effetti i preziosi avessero caratteristiche e peso diversi rispetto a quelli riportati nei lotti d’asta.
La società conveniva quindi in giudizio l’istituto di credito, chiedendo la restituzione del prezzo pagato, unitamente all’IVA e ai diritti d’asta.
Il Tribunale rigettata la domanda, ritenendo che l’asta fosse qualificabile come “vendita forzata”, con conseguente applicazione della relativa disciplina, in particolare dell’art. 2922 c.c. che esclude per l’acquirente la garanzia per vizi della cosa (ex art. 1490 c.c.) e la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione.
La pronuncia veniva appellata ma confermata anche dai giudici di secondo grado, che escludevano peraltro la possibilità di qualificare l’acquisto in termini di aliud pro alio, come sostenuto dall’appellante.
La vicenda giungeva quindi dinanzi alla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione.
Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente censurava la qualificazione della fattispecie operata dalla Corte d’appello, secondo cui l’operazione negoziale d’acquisto configurava una “vendita forzata”, con conseguente applicazione delle relative norme.
Pur non condividendo la censura, la Corte osserva che è obiettivamente necessario correggere in diritto la motivazione della sentenza impugnata, in quanto la disciplina applicabile alla vendita di beni dati di pegno, disposta dal creditore in forma di asta, non è quella della vendita forzata di cui agli artt. 2919 e segg. c.c..
Nella normativa dedicata alla vendita del bene sottoposto a pegno – sia quella codicistica di cui agli artt. 2796 e 2797 c.c., sia quella settoriale di cui al R.D. n. 1279 del 1939, relativa all’ordinamento dei Monti di credito su pegno – non vi è in effetti alcun richiamo alla vendita forzata, mentre è espressamente prevista una vendita all’incanto con procedura speciale, non assistita dalle tradizionali garanzie.
In particolare, l’art. 2796 c.c. dispone che il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far vendere la cosa ricevuta in pegno secondo le forme stabilite dall’art. 2797 c.c., oppure può chiedere l’assegnazione del bene fino a concorrenza del debito.
La disciplina applicabile a questa speciale forma di vendita è quindi innanzitutto quella desumibile dall’art. 2797 c.c., che offre al creditore tre forme per soddisfare le proprie ragioni di credito garantite da pegno: la vendita al pubblico incanto, quella a prezzo corrente oppure “forme diverse” convenute dalle parti.
Vendita di beni in pegno: autotutela esecutiva a carattere negoziale
Proprio la previsione di questa terza, possibile forma atipica, testimonia la volontà del legislatore di non voler confinare la vendita in questione entro la disciplina dell’esecuzione forzata.
E’ prevista al contrario una particolare procedura di “esecuzione privata”, che proprio in quanto forma di autotutela esecutiva a carattere negoziale non è assimilabile – in assenza di espresso rinvio – alla tradizionale esecuzione forzata e dunque non è soggetta alla relativa disciplina.
Un’impostazione avvalorata anche dalle stesse norme sulla vendita forzata, specialmente dall’art 2911 c.c. secondo cui il creditore, titolare di pegno sui beni del debitore, non può pignorarne altri se non sottopone ad esecuzione anche i beni gravati da pegno.
Una previsione che conferma la diversa natura del procedimento di soddisfacimento del credito assistito da pegno, che ha una propria disciplina (gli artt. 2796 e 2797 c.c. e le norme settoriali di riferimento sull’ordinamento dei monti di credito su pegno) e si colloca nel novero delle forme di autotutela privata, dunque al di fuori delle procedure esecutive vere e proprie.
Ciò premesso, la Corte osserva che nel caso di specie è il regolamento d’asta accettato dai partecipanti ad avere efficacia dirimente.
Regolamento che prevedeva espressamente che partecipando all’asta il concorrente riconoscesse di aver esaminato i beni in vendita e di accettarli nello stato in cui erano, e che limitava la proponibilità di eventuali reclami alla sola fase di svolgimento dell’asta.
Non erano invece proponibili reclami postumi, relativi alla quantità, qualità o condizione degli oggetti aggiudicati.
Una vera e propria limitazione temporale alla garanzia per vizi della cosa – osserva la Corte – convenzionalmente pattuita e comunque lecita, in quanto estrinsecazione del potere di autonomia negoziale riconosciuto alle parti dal nostro ordinamento.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che tale potere si estrinsechi anche rispetto ai contratti commutativi, consentendo alle parti di modificare lo schema negoziale tipico ed incidere sull’equilibrio contrattuale, escludendo ad esempio (espressamente o implicitamente) l’applicazione dei meccanismi riequilibratori previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (artt. 1467 e 1664 c.c.).
Dovrà ovviamente rispettarsi il ben noto limite di cui all’art. 1322 secondo comma c.c., spettando al giudice verificare che lo schema negoziale configurato dalle parti persegua effettivamente interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento.
Nel caso in esame, la Corte ritiene che l’esclusione di garanzia convenuta dalle parti risponda al predetto giudizio di meritevolezza.
Le parti hanno infatti agito come pari, posto che la società acquirente era attiva nel commercio di oro e preziosi a livello professionale e aveva potuto prendere visione dei lotti già prima della vendita; il regolamento d’asta escludeva inoltre espressamente la possibilità di far valere eventuali vizi redibitori una volta conclusa l’asta.
Secondo la Corte deve quindi condividersi l’assunto per cui, nei contratti tra eguali, prevale l’autonomia contrattuale in quanto, entro certi limiti, le parti sono i miglior giudici dei propri interessi (così Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22567 del 4/11/2015).
Lo stesso non avrebbe certo potuto dirsi se il regolamento avesse previsto anche l’esclusione della garanzia nelle ipotesi di vendita aliud pro alio, tuttavia la sussistenza di questa fattispecie era stata esclusa dalla Corte di merito e non più censurata dalla ricorrente, quindi insindacabile dai giudici di legittimità.
Muovendo dalle riferite considerazioni la Corte ha quindi rigettato il ricorso, affermando il seguente principio di diritto: “In caso di vendita all’asta di bene oggetto di pegno non si applica la normativa prevista per la vendita forzata e, in particolare, il disposto di cui all’art. 2922 c.c., che nega alla parte acquirente di far valere i vizi della cosa venduta, solo in quanto le cose ricevute in pegno non sono negoziabili liberamente dal creditore garantito, comunque tenuto al rispetto delle leggi speciali inerenti alle forme particolari di costituzione di pegno e agli istituti autorizzati a fare prestiti sopra pegni, ex art. 2785 c.c.; deve considerarsi lecita, e meritevole di tutela, ex art. 1322 c.c., la previsione regolamentare e convenzionale di escludere, anche in via implicita, il diritto del partecipante all’asta di far valere i vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta ex artt. 1490 e 1497 c.c., ricavabile in via implicita anche tramite il regolamento che la disciplina, fatta salva l’eccezione di vendita di aliud pro alio”.
Sequestro conservativo
Il sequestro conservativo è disciplinato ai sensi dell’art 2905 c.c. e consiste in una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice, quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito ( es. perché ritiene che il debitore stia per alienare quell’immobile che costituisce l’unico cespite di valore esistente nel proprio patrimonio) ex artt. 2905 ss. c.c. e artt. 671 ss. c.p.c.
Presupposti
Ai fini dell’applicazione del sequestro conservativo devono sussistere determinati presupposti:
– il fumus boni iuris, ossia elementi che consentano di ritenere, con una certa probabilità, sussistente e fondato il diritto di credito di cui parte ricorrente si dichiara titolare;
– il periculum in mora, ovvero il rischio che, nel lasso di tempo occorrente al creditore per far valere le proprie ragioni, ad esempio attraverso un giudizio ordinario di cognizione, il debitore depauperi il suo patrimonio, in modo da compromettere concretamente le prospettive di esecuzione su di esso.
L’esecuzione del sequestro importa effetti analoghi a quelli dell’accoglimento dell’azione revocatoria, ossia gli atti dispositivi di cui il debitore dovesse fare oggetto il bene sequestrato non hanno effetto, ma solo nei confronti del creditore sequestrante.
Il sequestro conservativo si attua nelle stesse forme del pignoramento. E’ diverso però il titolo e lo scopo.
Il diritto di ritenzione
Diritto del creditore di rifiutare la consegna di una cosa da lui detenuta e di proprietà del debitore, fino a quando quest’ultimo non abbia adempiuto ad un’obbligazione connessa con la cosa stessa, ad esempio ex art 1152 c.c., il possessore di buona fede ha diritto di ritenere la cosa fino a che non gli siano corrisposte le indennità dovutegli per riparazioni, miglioramenti ed addizioni.
Il diritto di ritenzione non è un mezzo di conservazione della garanzia generica che il creditore vanta sul complessivo patrimonio del debitore, ma costituisce una forma di autotutela.
Esso è consentito solo nei casi espressamente previsti dalla legge ex artt. 748, 1502 e 1006 c.c., conseguentemente, le disposizioni che lo prevedono non sono suscettibili di applicazione per analogia.
Sequestro preventivo
Il sequestro preventivo, invece, viene disposto quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze del crimine. Si pensi al sequestro della droga usata per lo spaccio, dell’arma impiegata per colpire una persona, ecc. Il sequestro preventivo comporta l’indisponibilità fisica della cosa, nel senso che la stessa viene materialmente sottratta all’indagato/imputato.
Vendita di beni sequestrati
L’immobile sottoposto a sequestro conservativo può essere venduto, ma gli effetti della cessione non sono opponibili al creditore, con la conseguenza che quest’ultimo potrà ugualmente aggredire il bene come se la vendita non fosse mai avvenuta.
Sul punto la legge è molto chiara: non hanno effetto in pregiudizio del sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento.
Pertanto, se il debitore vende l’immobile che è posto sotto sequestro, il creditore potrà comunque procedere contro di esso, ad esempio chiedendo al giudice che venga messo all’asta per poi soddisfarsi sul ricavato.
L’immobile sottoposto a sequestro preventivo può essere venduto solamente su autorizzazione del giudice.
Secondo la legge, se le cose sottoposte a sequestro possono alterarsi, deperirsi o deteriorarsi, l’autorità giudiziaria ne può ordinare la vendita o perfino la distruzione.
Si pensi all’immobile fatiscente sequestrato dalle autorità perché utilizzato come base operativa da parte di un’associazione criminale: in un’ipotesi del genere, se il procedimento dura molti anni e c’è il rischio che l’edificio crolli, il giudice potrebbe disporne la vendita.
A proposito della vendita di un bene immobile sottoposto a sequestro preventivo, la Corte di Cassazione ha precisato come il deterioramento che la vendita serve ad evitare non è quello della cosa in sé per sé ma del suo valore: il concetto di deterioramento, infatti, non deve essere inteso in senso strettamente fisico ma anche comprensivo del deprezzamento del bene [3].
Il sequestro preventivo, pertanto, comporta il trasferimento in capo al giudice di uno dei contenuti del diritto di proprietà: la facoltà di disporre definitivamente del bene, soprattutto quando il vincolo è strumentale alla confisca.
L’unica cosa richiesta al giudice quando vuole alienare il bene sottoposto a sequestro è che egli dia puntualmente conto delle ragioni che rendono necessario e opportuno procedere all’alienazione. Contro il provvedimento con cui il giudice dispone la vendita del bene sequestrato è possibile proporre appello. Qualora, invece, volesse essere il proprietario dell’immobile stesso a vendere il bene, dovrebbe comunque ottenere l’autorizzazione da parte del giudice il quale, come detto, grazie al sequestro dispone della cosa.