Il recesso del socio nelle S.P.A.
Quando si parla di recesso ci si deve sempre riferire ad un negozio unilaterale recettizio, perfezionato dal socio ed avente per oggetto lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio stesso.
Quanto alla sua funzione, il recesso nelle S.P.A. rappresenta una delle forme di tutela per le minoranze assembleari, in quanto, il principio generale che governa le società di capitali è il principio maggioritario, ma il potere dispositivo riconosciuto alla maggioranza non deve essere senza limiti.
E’ necessario che la maggioranza osservi due limiti fondamentali: l’interesse sociale e la parità di trattamento.
Inoltre, in presenza di delibere modificative di particolare gravità, la minoranza è sempre indirettamente tutelata dalla previsione di “maggioranze più elevate” ai sensi dell’art. 2369 comma 5 codice civile e dal riconoscimento del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 codice civile.
Con la riforma del diritto societario del 2003, la disciplina del recesso è stata oggetto di modifiche da parte del legislatore.
Innanzitutto, sono state ampliate le ipotesi di recesso ed è stata prevista anche la liquidazione delle azioni del socio recedente al valore di mercato, tutelando, allo stesso tempo, l’integrità del capitale sociale, allo scopo di contemperare l’interesse dei soci di minoranza con quello dei creditori sociali.
Cause di recesso
Le cause di recesso si distinguono in legali inderogabili, legali derogabili e statutarie.
Le cause legali inderogabili di recesso sono, in primis, quelle previste nell’art. 2437 comma 1 codice civile, il quale dispone la possibilità di recedere, anche in maniera parziale, in base al principio di autonomia delle azioni, per i soci che non hanno concorso (assenti, dissenzienti, astenuti o privi di diritto di voto) alle deliberazioni riguardanti:
a) La modifica della clausola relativa all’oggetto sociale;
b) La trasformazione della società;
c) Il trasferimento della sede sociale all’estero;
d) La revoca dello stato di liquidazione;
e) L’eliminazione di una o più cause di recesso presente nel comma 2 dell’art. 2437 codice civile o dallo statuto sociale;
f) La modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso;
g) Le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Altre cause legali inderogabili sono previste dagli artt. 2437 commi 3 e 6, 2343 ultimo comma, 2437 quinquies e 2497 quater codice civile, 34 comma 6 del D.Lgs. n.5/2003.
Tra le cause legali derogabili, invece, abbiamo quelle previste dal comma 2 dell’art. 2437 codice civile, che fa salva una diversa previsione statutaria. Tale ipotesi di recesso riguardano le delibere di: proroga a tempo determinato del termine di durata della società e di introduzione o rimozione dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
Infine, abbiamo le clausole statutarie di recesso che possono essere inserite, in quanto ammesse espressamente dal comma 4 dell’art. 2437 codice civile soltanto, però, per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (cd. società chiuse).
Inoltre, secondo la dottrina prevalente, in contrasto con quanto asserito dal Consiglio Notarile di Milano, lo statuto deve specificare le cause di recesso e non può limitarsi genericamente a prevedere un recesso per “giusta causa” o addirittura “senza causa” per mero volere del socio (cd. recesso ad nutum).
L’unica ipotesi in cui viene fatto salvo il recesso ad nutum è il comma 3 dell’art. 2437 codice civile, il quale prevede, però, la necessità di un preavviso di almeno 180 giorni.
Termini, modalità di esercizio ed efficienza del recesso
Ai sensi del comma 1 dell’art. 2437 bis codice civile, il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima. In caso di fatto che legittima il recesso differente dalla deliberazione assunta dall’assemblea sociale, tale diritto deve essere esercitato entro il termine di 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio.
Le azioni del socio receduto devono restare depositate presso la sede sociale e non devono essere alienate, devono, dunque, restare “congelate” in attesa della revoca della delibera che legittima il recesso oppure del rimborso delle azioni stesse.
Il recesso può avere efficacia solo trascorsi 90 giorni entro i quali la delibera che lo legittima non deve essere revocata.
Si discute se il recesso abbia efficacia immediata o solo con il rimborso delle azioni.
Secondo la dottrina tradizionale, esso ha efficacia solo con il rimborso delle azioni.
Tuttavia, la dottrina più moderna, avallata anche da Triveneto e dalla giurisprudenza di legittimità, sostiene che il recesso abbia efficacia immediata, ma è sottoposto alla condizione risolutiva della revoca della deliberazione entro 90 giorni dall’assunzione della stessa.
Nella prima ipotesi, il recedente è ancora socio e ha diritto sia di voto che di intervento in assemblea.
Nel secondo caso, invece, il recedente non è più considerato socio e, di conseguenza, non viene più considerato né per il calcolo del quorum costitutivo, né deliberativo in assemblea, essendo privo del diritto di voto e di intervento.
Per quanto riguarda, invece, i criteri di determinazione del valore delle azioni ai fini della liquidazione del socio receduto, sono indicati dall’art. 2437 ter codice civile.
Procedimento di liquidazione
Il procedimento di liquidazione è articolato in modo da evitare che l’equa determinazione del valore di rimborso possa compromettere l’integrità del capitale sociale ed arrecare un danno ai creditori sociali. Ai sensi dell’art. 2437 quater codice civile, la vendita delle azioni del socio receduto è perfezionata dagli amministratori.
L’offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro 15 giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione.
Inoltre, per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a 30 giorni dal deposito dell’offerta e coloro che esercitano il diritto di opzione, purché avanzino una contestuale richiesta, hanno il diritto di prelazione nell’acquisto di tali azioni.
Se gli altri soci non acquistano le azioni del socio receduto, gli amministratori possono collocarle presso terzi e in caso di società quotate, il collocamento deve avvenire mediante offerta nei mercati regolamentati presso cui sono quotate, come stabilito dal comma 4 dell’art. 2437 quater.
In caso di mancato collocamento, la società è legittimata ad acquistarle come azioni proprie in misura eccedente la quinta parte del capitale sociale, anche in riferimento alle società aperte, senza l’obbligo di alienazione, trovando applicazione la disciplina di cui l’art. 2357 codice civile.
In particolare, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 2357 codice civile, il suddetto acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea e le azioni del socio recedente, una volta acquistate dalla società, devono essere annullate entro un anno.
La riduzione del capitale sociale a seguito del recesso
La riduzione del capitale in caso di recesso del socio è disciplinata dall’art. 2437 quater commi 6 e 7 codice civile.
La norma in commento dispone che, in assenza di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società.
In caso di delibera di riduzione, si applicano le disposizioni di cui all’art. 2445 commi 2,3 e 4 codice civile ed in caso di opposizione dei creditori sociali entro 90 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese, la società si scioglie.
Pertanto, stante queste precisazioni, si deduce che la riduzione a seguito di recesso del socio abbia una natura reale, pur essendo obbligatoria. Quindi la competenza a deliberare spetta all’assemblea straordinaria e non ordinaria, a differenza della riduzione obbligatoria e nominale di cui all’art. 2446 comma 2 codice civile.
Non si tratta, pertanto, di una riduzione “per perdite”, in quanto la liquidazione del socio receduto non può essere equiparata ad una perdita giuridica, ma piuttosto ad un rimborso del capitale al socio medesimo.
Tuttavia, anche essendo una riduzione obbligatoria, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 2445 codice civile, trattandosi eccezionalmente di una riduzione al tempo stesso reale, la cui efficacia è sospensivamente condizionata alla mancata opposizione da parte dei creditori sociali nei termini di legge.
Recesso ed esclusione del socio nelle S.R.L.: analogie e differenze con la disciplina delle S.P.A.
Nelle S.R.L., il recesso del socio è disciplinato negli artt. 2473 e 2473 bis codice civile, applicandosi, per quanto compatibile la disciplina dettata per le S.P.A. in tema di liquidazione e rimborso della partecipazione sociale.
Anche nelle S.R.L. sono previste sia cause di recesso legale, sia convenzionale. Il procedimento di liquidazione ricalca quasi del tutto quello previsto per le S.P.A. e, in caso di riduzione del capitale sociale, trova applicazione la disciplina normativa di cui all’art. 2482 codice civile.
Particolare attenzione deve essere data alle ipotesi di esclusione. Sappiamo, infatti, che l’esclusione legale del socio nelle S.R.L. è prevista dall’art. 2466 codice civile, mentre l’esclusione convenzionale è quella che si verifica in caso di recesso ed è disciplinata dall’art. 2473 bis codice civile.
Prima della riforma del 2003, si ritenevano illegittime le clausole di esclusione anche nelle S.R.L., poiché si cercava di diminuire le ipotesi di riduzione del capitale sociale ai soli casi previsti dalla legge.
Tuttavia, oggi tale avversione è stata superata e l’istituto dell’esclusione del socio, tipico delle società di persone, è stato esteso anche alla S.R.L., in considerazione di una più marcata caratterizzazione personalistica della stessa rispetto alla S.P.A.
Ai sensi dell’art. 2473 bis codice civile, infatti, l’atto costitutivo può prevedere ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. Tale esclusione è subordinata ad una previsione dell’atto costitutivo e non ad una previsione di legge.
La giusta causa deve essere intesa preferibilmente in senso soggettivo, in quanto costituisce giusta causa di esclusione del socio quella espressamente prevista nell’atto costitutivo che abbia rilevanza per i soci. Pertanto, una fattispecie qualificata come giusta causa di esclusione in una società può essere del tutto irrilevante in un’altra.
Quanto alla competenza a prendere la decisione di esclusione, nelle S.R.L. può essere rimessa alla libertà statutaria, a differenza delle società di persone dove spetta ai soci e delle società cooperative in cui è rimessa agli amministratori.
Lo statuto può rimettere tale competenza ai soci, all’organo amministrativo o al collegio sindacale, ove previsto nelle ipotesi di cui all’art. 2477 codice civile.
Il socio di cui si vuole deliberare l’esclusione non ha diritto di voto nella relativa delibera, stante un conflitto di interessi, ma ha il diritto di intervento in assemblea.
La quota deve essere rimborsata entro 180 giorni dall’esclusione ed è esclusa la possibilità di rimborso della partecipazione mediante la riduzione del capitale sociale, stante quanto stabilito nell’art. 2473 bis codice civile. Ragion per cui, in caso di impossibilità di rimborso della quota nelle modalità previste dalla legge, si passa direttamente allo scioglimento della società.
E’ discusso, inoltre, se si possa prevedere una penale a carico del socio escluso. In linea di principio ciò sembra possibile solo se l’esclusione sia dovuta ad un inadempimento di un obbligo stabilito dalla legge o dall’atto costitutivo, ma non nei casi di semplice impossibilità sopravvenuta della prestazione o di interdizione, inabilitazione o di perdita di requisiti per circostanze indipendenti dalla volontà del socio, in quanto non vi sarebbe alcun obbligo di risarcimento in capo al socio escludendo.
L’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni sociali, invece, comporta un danno economico alla società, quindi è legittima.
Una volta ammessa, la formulazione concreta della penale può essere effettuata sotto forma di una diminuzione del valore di rimborso della quota del socio escluso rispetto a quanto previsto dall’art. 2473 codice civile.